D.L.vo 5 febbraio 1997, n. 22


Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio (1) (Suppl. ord. alla Gazzetta Ufficiale Serie gen. - n. 38 del 15 febbraio 1997).


 
 
TITOLO I
GESTIONE DEI RIFIUTI
CAPO I
PRINCIPI GENERALI
Art. 1 (Campo d'applicazione)
 
1. Il presente decreto disciplina la gestione dei rifiuti, dei rifiuti pericolosi, degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggi, fatte salve disposizioni specifiche particolari o complementari, conformi ai principi del presente decreto, adottate in attuazione di direttive comunitarie che disciplinano la gestione di determinate categorie di rifiuti.
2. Le regioni a statuto ordinario regolano la materia disciplinata dal presente decreto nel rispetto delle disposizioni in esso contenute che costituiscono principi fondamentali della legislazione statale ai sensi dell’articolo 117, comma 1, della Costituzione.
3. Le disposizioni di principio del presente decreto costituiscono norme di riforma economico-sociale nei confronti delle regioni a statuto speciale e delle province autonome aventi competenza esclusiva in materia, le quali provvedono ad adeguare i rispettivi ordinamenti entro un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto.
 
Art. 2 (Finalità)
1. La gestione dei rifiuti costituisce attività di pubblico interesse ed è disciplinata dal presente decreto al fine di assicurare un’elevata protezione dell’ambiente e controlli efficaci, tenendo conto della specificità dei rifiuti pericolosi.
2. I rifiuti devono essere recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all’ambiente e, in particolare:
a) senza determinare rischi per l’acqua, l’aria, il suolo e per la fauna e la flora;
b) senza causare inconvenienti da rumori o odori;
c) senza danneggiare il paesaggio e i siti di particolare interesse, tutelati in base alla normativa vigente.
3. La gestione dei rifiuti si conforma ai principi di responsabilizzazione e di cooperazione di tutti i soggetti coinvolti nella produzione, nella distribuzione, nell’utilizzo e nel consumo di beni da cui originano i rifiuti, nel rispetto dei principi dell’ordinamento nazionale e comuniario.
4. Per il conseguimento delle finalità del presente decreto lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle rispettive competenze ed in conformità alle disposizioni che seguono, adottano ogni opportuna azione avvalendosi, anche mediante accordi e contratti di programma, di soggetti pubblici e privati qualificati.
 
 
(1) Il presente articolo definisce sostanzialmente il carattere ambientale generale del decreto n. 22/97. La ratio legis infatti è chiaramente identificata ed esternata in tutta la costruzione dell’articolo 2. Le finalità sono precise ed appaiono evidentemente tese alla tutela sostanziale dell’ambiente sotto ogni profilo. Con tale enunciazione il decreto n. 22/97 si conferma come norma quadro di settore generale verso la quale tutte le altre normative in materia di inquinamento si raccordano come norme satelliti concentriche di settore parziale. Va infatti evidenziato che, ad esempio, il decreto n. 152/99 (in materia di scarichi e tutela delle acque) non è affatto una norma ambientale in senso stretto. Infatti detto ultimo decreto non proibisce l’inquinamento ma lo regolamenta. Non è inquinante per il decreto 152/99 ciò che è socialmente e biologicamente inquinante, bensì soltanto quello scarico che non rispetta il parametro formale tabellare previsto dalla norma. L’inquinamento è dunque un fatto formale, soggetto a variazione di tipo tecnico-politico e non ha alcuna incidenza e rilevanza direttamente con l’eventuale danno sostanziale su quello che la norma stessa definisce corpo ricettore. Può dirsi dunque che trattasi di una norma regolamentativa e disciplinatoria di ordine amministrativo generale ma non certamente di una norma ambientale in senso stretto. Il decreto n. 22/97 invece, proprio con la previsione dell’articolo 2, che va raccordata poi con tutti gli assi portanti dello stesso decreto (tra cui l’articolo 14 con il divieto assoluto di gettare rifiuti in un ambiente urbano o naturale e con l’articolo 17 sulle bonifiche in senso preventivo) si presenta invece in modo rinnovato come normativa quadro di tipo finalizzato squisitamente alla tutela ambientale. Si nota il rilevante passo avanti rispetto alla metodologia normativa stabilita dal D.P.R. 915/82 che in se stesso rappresentava anch’esso una norma di tipo regolamentatorio e strumentale e non finalizzato alla tutela delle risorse naturali. Come già si è avuto modo di accennare ed esporre nell’articolo introduttivo al presente capitolo, il decreto n. 22/97 rappresenta dunque oggi non certamente il testo unico in materia di inquinamento (dato che non ne ha la veste e la possibilità)ma certamente si presenta come normativa quadro generale di raccordo rispetto al settore degli inquinamenti in ordine generale e il carattere ambientale che lo contraddistingue sottolinea certamente tale aspetto di catalizzazione verso le altre normative di settore che diventano secondarie rispetto a tale impostazione generale. Anche il decreto n. 152/99 diventa dunque norma satellite e secondaria sia a livello politico istituzionale sia a livello di regolamentazione tecnica rispetto al cerchio portante del decreto n. 22/97.
Va altresì rilevato che la «gestione» dei rifiuti è il vero cardine su cui si incentra la nuova normativa, in linea tra l’altro con la disciplina comunitaria, in alternativa al pregresso concetto basato sulla nozione di rifiuto da un lato e la nozione di smaltimento dall’altra.
La gestione si articola nelle diverse fasi della raccolta, trasporto, smaltimento e recupero.
Mentre prima rientrava tutto nello smaltimento, per cui la raccolta era smaltimento, il trasporto era smaltimento, il recupero era smaltimento, oggi invece la parola d’ordine è la gestione dei rifiuti, nell’ambito della quale le attività di smaltimento si distinguono nettamente da quelle di raccolta, trasporto, smaltimento e recupero.
Quindi ogni volta che nella legge si trova scritto «gestione» (per esempio si trova scritto nella parte penale che chi non ottempera agli obblighi riguardanti la gestione dei rifiuti è soggetto a sanzione) il termine è da intendersi riferito agli obblighi riguardanti raccolta, trasporto, smaltimento e recupero.
Non è certo un caso che anche il vecchio albo oggi cambia nome e si chiama l’albo delle imprese che si occupano di gestione dei rifiuti.
La prima fase è la raccolta, che a differenza della precedente normativa acquista una maggiore dignità. Viene infatti separata da quella del trasporto e si articola in tre fasi distinte che sono: prelievo; cernita e trattamento; raggruppamento.
 
Accanto alle fasi di trasporto, di smaltimento e di recupero, il decreto legislativo «Ronchi» ricomprende nell’ambito della gestione dei rifiuti anche il commercio e l’intermediazione di rifiuti. Quest’ultimo è un fatto nuovo e di notevole importanza, perché chi ha esercitato il controllo sul territorio sa che gran parte dei soggetti che comparivano sulle varie bolle di trasporto erano soggetti che di fatto esistevano soltanto come numero telefonico, e sulle bolle spesso era scritto «per conto, per conto, per conto»; in pratica tutti questi soggetti, che erano soltanto dei numeri di cellulare, adesso sono previsti dal decreto legislativo e debbono avere un’iscrizione all’albo, devono avere un registro di carico e scarico, e devono fare un comunicazione annuale; in altre parole devono risultare.
Nell’ambito della gestione rientra anche la bonifica dei siti inquinati che, rispetto al passato, riceve una disciplina organica di particolare interesse, soprattutto sotto il profilo dell’effettività della tutela degli interessi pubblici.
 
Art. 3 (Prevenzione della produzione di rifiuti)
 
 1. Le autorità competenti adottano, ciascuna nell’ambito delle proprie attribuzioni, iniziative dirette a favorire, in via prioritaria, la prevenzione e la riduzione della produzione e della pericolosità dei rifiuti mediante:
a) lo sviluppo di tecnologie pulite, in particolare quelle che consentono un maggiore risparmio di risorse naturali;
b) la promozione di strumenti economici, eco-bilanci, sistemi di ecoaudit, analisi del ciclo di vita dei prodotti, azioni di informazione e di sensibilizzazione dei consumatori, nonché lo sviluppo del sistema di marchio ecologico ai fini della corretta valutazione dell’impatto di uno specifico prodotto sull’ambiente durante l’intero ciclo di vita del prodotto medesimo;
c) la messa a punto tecnica e l’immissione sul mercato di prodotti concepiti in modo da non contribuire o da contribuire il meno possibile, per la loro fabbricazione, il loro uso od il loro smaltimento, ad incrementare la quantità, il volume e la pericolosità dei rifiuti ed i rischi di inquinamento;
d) lo sviluppo di tecniche appropriate per l’eliminazione di sostanze pericolose contenute nei rifiuti destinati ad essere recuperati o smaltiti;
e) la determinazione di condizioni di appalto che valorizzino le capacità e le competenze tecniche in materia di prevenzione della produzione di rifiuti;
f) la promozione di accordi e contratti di programma finalizzati alla prevenzione ed alla riduzione della quantità e della pericolosità dei rifiuti.
 
 
Art. 4 (Recupero dei rifiuti)
 
 (1). 1. Ai fini di una corretta gestione dei rifiuti le autorità competenti favoriscono la riduzione dello smaltimento finale dei rifiuti attraverso:
a) il reimpiego ed il riciclaggio;
b) le altre forme di recupero per ottenere materia prima dai rifiuti;
c) l’adozione di misure economiche e le determinazioni di condizioni di appalto che prevedano l’impiego dei materiali recuperati dai rifiuti al fine di favorire il mercato dei materiali medesimi;
d) l’utilizzazione principale dei rifiuti come combustibile o come altro mezzo per produrre energia.
2. Il riutilizzo, il riciclaggio e il recupero di materia prima debbono essere considerati preferibili rispetto alle altre forme di recupero.
3. Al fine di favorire e incrementare le attività di riutilizzo, di riciclaggio e di recupero le autorità competenti ed i produttori promuovono analisi dei cicli di vita dei prodotti, ecobilanci, informazioni e tutte le altre iniziative utili.
4. Le autorità competenti promuovono e stipulano accordi e contratti di programma con i soggetti economici interessati al fine di favorire il riutilizzo, il riciclaggio ed il recupero dei rifiuti, con particolare riferimento al reimpiego di materie prime e di prodotti ottenuti dalla raccolta differenziata con la possibilità di stabilire agevolazioni in materia di adempimenti amministrativi nel rispetto delle norme comunitarie ed il ricorso a strumenti economici.
 
 
(1) Il recupero dei rifiuti rappresenta uno dei punti cardine della rinnovata formulazione giuridica del settore rifiuti da parte del decreto n. 22/97. Non va infatti sottaciuto e dimenticato che l’architrave regolamentativo dell’abrogato D.P.R. n. 915/82 basava tutta la sua regolamentazione sul concetto di smaltimento e la discarica rappresentava certamente l’asse portante in senso attivo o passivo dell’impianto normativo. Oggi la norma politicamente tende a privilegiare il recupero e la prevenzione rispetto allo smaltimento finale e dunque tutto ciò che riguarda il recupero dei rifiuti rappresenta a livello politico-istituzionale, ma anche tecnico giuridico sicuramente nota caratterizzante esaustiva di tutto l’impianto normativo in questione.
Dunque, il recupero dei rifiuti ed il loro riutilizzo (comunemente - seppur impropriamente - inteso come attività relativa alle "materie prime secondarie") rappresenta attività di "gestione" formale di rifiuti ed é disciplinata dal decreto n. 22/97.
In precedenza, la decretazione di urgenza che, vigente il D.P.R. 915/82, aveva creato il concetto di "residui" per sottrarre i rifiuti "recuperabili" alla disciplina di settore, fu dichiarata illegittima dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee su ricorso presentato dalla Pretura di Terni (proc. pen. a carico di Tombesi - ricorrente giudice Santoloci).
Infatti la Corte di Giustizia Europea con sentenza del 25 giugno 1997, offrì già a suo tempo la soluzione definitiva del problema della "definizione di rifiuto" nella legislazione italiana stabilendo che la nozione di rifiuto, ai sensi delle direttive Cee "(...) non deve intendersi nel senso che essa esclude le sostanze e gli oggetti suscettibili di riutilizzazione economica. Una normativa nazionale che adotti una definizione della nozione di rifiuti che esclude le sostanze e gli oggetti suscettibili di riutilizzazione economica non è compatibile (...)" con le Direttive CEE.
Sono seguite poi altre sentenze conformi . . . Si veda Corte di Giustizia Europea - Sentenza del 18 dicembre 1997, sez. VI - causa n. 129/96:
"(...) il mero fatto che una sostanza sia inserita, direttamente o indirettamente, in un processo di produzione industriale non la esclude dalla nozione di rifiuto ai sensi dell’art. 1 lett. a) della direttiva 75/442 (...)".
Oggi la Corte di Giustizia Europea conferma sistematicamente il principio: Corte di Giustizia Europea - V Sezione - 15 giugno 2000 (procedimenti riuniti C-418/97 e C-419/97): "La nozione di rifiuto non presuppone che il detentore che si disfa di una sostanza o di un oggetto abbia l’intenzione di escluderne ogni riutilizzazione economica da parte di altre persone".
Vediamo nel nostro ordinamento giuridico un esempio applicativo concreto: "Costituisce attività di raccolta, smaltimento e recupero di rifiuti, soggetta, come tale, ad autorizzazione amministrativa - la cui mancanza dà luogo alla configurabilità del reato previsto dall’art. 51, comma 1, lett. a), del D.L.vo n. 22/97 - anche quella che abbia ad oggetto pneumatici usurati destinati ad essere immessi, dopo la raccolta, in cicli produttivi nei quali essi vengano utilizzati come materia prima". (Cass. pen., sez. III, 18 febbraio 2000, n. 28, Pres. Avitabile).
Consegue, pertanto, che il riutilizzo (o recupero) dei rifiuti è sempre e comunque un’attività di gestione di rifiuti ai sensi dell’allegato C del D.L.vo n. 22/97 anche se l’azienda che li riceve, a sua volta, li accoglie e li utilizza come «materia prima».
 
 
 
 
 
 
 
Art. 5 (Smaltimento dei rifiuti)
 
5. (Smaltimento dei rifiuti) (3). 1. Lo smaltimento dei rifiuti deve essere effettuato in condizioni di sicurezza e costituisce la fase residuale della gestione dei rifiuti.
2. I rifiuti da avviare allo smaltimento finale devono essere il più possibile ridotti potenziando la prevenzione e le attività di riutilizzo, di riciclaggio e di recupero.
3. Lo smaltimento dei rifiuti è attuato con il ricorso ad una rete integrata ed adeguata di impianti di smaltimento, che tenga conto delle tecnologie più perfezionate a disposizione che non comportino costi eccessivi, al fine di:
a) realizzare l’autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi in ambiti territoriali ottimali;
b) permettere lo smaltimento dei rifiuti in uno degli impianti appropriati più vicini, al fine di ridurre i movimenti dei rifiuti stessi, tenendo conto del contesto geografico o della necessità di impianti specializzati per determinati tipi di rifiuti;
c) utilizzare i metodi e le tecnologie più idonei a garantire un alto grado di protezione dell’ambiente e della salute pubblica.
4. A partire dal 1° gennaio 1999 la realizzazione e la gestione di nuovi impianti di incenerimento possono essere autorizzate solo se il relativo processo di combustione è accompagnato da recupero energetico con una quota minima di trasformazione del potere calorifico dei rifiuti in energia utile, calcolata su base annuale, stabilita con apposite norme tecniche.
5. Dal 1° gennaio 1999 è vietato smaltire i rifiuti urbani non pericolosi in regioni diverse da quelle dove gli stessi sono prodotti, fatti salvi gli accordi regionali o internazionali esistenti alla data di entrata in vigore del presente decreto. Eventuali nuovi accordi regionali potranno essere promossi nelle forme previste dalla legge 8 giugno 1990, n. 142 (2), qualora gli aspetti territoriali e l’opportunità tecnico-economica di raggiungere livelli ottimali di utenza servita lo richiedano.
6. Dal 1° gennaio 2000 è consentito smaltire in discarica solo i rifiuti inerti, i rifiuti individuati da specifiche norme tecniche ed i rifiuti che residuano dalle operazioni di riciclaggio, di recupero e di smaltimento di cui ai punti D2, D8, D9, D10 e D11 di cui all’allegato B. Per casi di comprovata necessità e per periodi di tempo determinati il Presidente della Regione, d’intesa con il Ministro dell’ambiente, può autorizzare lo smaltimento in discarica nel rispetto di apposite prescrizioni tecniche e delle norme vigenti in materia (1).
6 bis. L’autorizzazione di cui al comma 6 deve indicare i presupposti della deroga e gli interventi previsti per superare la situazione di necessità, con particolare riferimento ai fabbisogni, alla tipologia e alla natura dei rifiuti da smaltire in discarica, alle iniziative ed ai tempi di attuazione delle stesse, nonché alle eventuali integrazioni del piano regionale. Ai fini dell’acquisizione dell’intesa il Ministro dell’ambiente si pronuncia entro 90 giorni dal ricevimento del relativo provvedimento, decorso inutilmente tale termine l’intesa si intende acquisita.
 
 
(1) A norma dell’art. 1, comma 1, del D.L. 16 luglio 2001, n. 286, convertito nella L. 20 agosto 2001, n. 335 «Il termine di cui all’articolo 5, comma 6, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, come modificato dall’articolo 1, comma 1, del decreto legge 30 dicembre 1999, n. 500, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 febbraio 2000, n. 33, è differito fino all’adozione delle norme tecniche previste dai medesimi articoli e dall’articolo 18, comma 2, lettera a) e l), del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, per lo smaltimento dei rifiuti in discarica, e comunque non oltre un anno dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto».
(2) Si veda, ora, il D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267.
(3) Lo smaltimento dei rifiuti rappresenta una delle due finalità principali del decreto n. 22/97 a fianco del recupero ma certamente dopo il recupero in questione come collocazione politica ed istituzionale. Va infatti ricordato, come già accennato nella nota all’articolo 4, che il D.P.R. n. 915/82 pregresso incentrava tutto il tessuto normativo sull’attività di smaltimento, mentre l’attuale decreto n. 22/97 privilegia il recupero delle sostanze. Dunque lo smaltimento rappresenta pur sempre attività importate e rilevante nel contesto disciplinatorio ma viaggia di pari passo e anzi a livello secondario rispetto all’elemento portante del recupero che rappresenta il vero obiettivo politico ed istituzionale del decreto n. 22/97. Dunque recupero e smaltimento costituiscono le due finalità portanti del decreto Ronchi attraverso il quale si sviluppa tutta la parte finale del sistema di gestione. Importante sarà l’esame del sistema sanzionatorio in ordine ad ambedue i principi.
Sottolineiamo dunque che lo smaltimento dei rifiuti deve essere effettuato in condizioni di sicurezza e, punto che va sottolineato, deve costituire la fase residuale della gestione dei rifiuti. Trattasi di concetto importante e coerente con la già accennata linea di fondo di questo decreto, che tende a ridurre al minimo di rifiuti da avviare allo smaltimento finale con connessa ed espressa tendenza a potenziare la prevenzione e le attività di riutilizzo, di ririclaggio e di recupero (con ciò differenziandosi nettamente dai concetti di base del D.P.R. 915/82). Si evidenzia su questi temi un vero momento di novità politica amministrativa nel settore.
 
 
 
 
 
 
Art. 6 (Definizioni)
 
1. Ai fini del presente decreto si intende per:
a) rifiuto (4) (5): qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportate nell’allegato A e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi (1);
b) produttore: la persona la cui attività ha prodotto rifiuti e la persona che ha effettuato operazioni di pretrattamento o di miscuglio o altre operazioni che hanno mutato la natura o la composizione dei rifiuti;
c) detentore: il produttore dei rifiuti o la persona fisica o giuridica che li detiene;
d) gestione (6): la raccolta, il trasporto, il recupero e lo smaltimento dei rifiuti, compreso il controllo di queste operazioni, nonché il controllo delle discariche e degli impianti di smaltimento dopo la chiusura;
e) raccolta: l’operazione di prelievo, di cernita e di raggruppamento dei rifiuti per il loro trasporto;
f) raccolta differenziata: la raccolta idonea a raggruppare i rifiuti urbani in frazioni merceologiche omogenee, [compresa la frazione organica umida, destinate al riutilizzo, al riciclaggio ed al recupero di materia prima] (2);
g) smaltimento: le operazioni previste nell’allegato B;
h) recupero: le operazioni previste nell’allegato C;
i) luogo di produzione dei rifiuti (7): uno o più edifici o stabilimenti o siti infrastrutturali collegati tra loro all’interno di un’area delimitata in cui si svolgono le attività di produzione dalle quali originano i rifiuti;
l) stoccaggio: le attività di smaltimento consistenti nelle operazioni di deposito preliminare di rifiuti di cui al punto D15 dell’allegato B, nonché le attività di recupero consistenti nelle operazioni di messa in riserva di materiali di cui al punto R13 dell’allegato C;
m) deposito temporaneo (8): il raggruppamento dei rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti alle seguenti condizioni:
1) i rifiuti depositati non devono contenere policlorodibenzodiossine, policlorodibenzofurani, policlorodibenzofenoli in quantità superiore a 2,5 ppm né policlorobifenile, policlorotrifenili in quantità superiore a 25 ppm;
2) i rifiuti pericolosi devono essere raccolti ed avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento con cadenza almeno bimestrale indipendentemente dalle quantità in deposito, ovvero, in alternativa, quando il quantitativo di rifiuti pericolosi in deposito raggiunge i 10 metri cubi; il termine di durata del deposito temporaneo è di un anno se il quantitativo di rifiuti in deposito non supera i 10 metri cubi nell’anno o se, indipendentemente dalle quantità, il deposito temporaneo è effettuato in stabilimenti localizzati nelle isole minori;
3) i rifiuti non pericolosi devono essere raccolti ed avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento con cadenza almeno trimestrale indipendentemente dalle quantità in deposito, ovvero, in alternativa, quando il quantitativo di rifiuti non pericolosi in deposito raggiunge i 20 metri cubi; il termine di durata del deposito temporaneo è di un anno se il quantitativo di rifiuti in deposito non supera i 20 metri cubi nell’anno o se, indipendentemente dalle quantità, il deposito temporaneo è effettuato in stabilimenti localizzati nelle isole minori;
4) il deposito temporaneo deve essere effettuato per tipi omogenei e nel rispetto delle relative norme tecniche, nonché, per i rifiuti pericolosi, nel rispetto delle norme che disciplinano il deposito delle sostanze pericolose in essi contenute;
5) devono essere rispettate le norme che disciplinano l’imballaggio e l’etichettatura dei rifiuti pericolosi;
n) bonifica (9): ogni intervento di rimozione della fonte inquinante e di quanto dalla stessa contaminato fino al raggiungimento dei valori limite conformi all’utilizzo previsto dell’area;
o) messa in sicurezza: ogni intervento per il contenimento o isolamento definitivo della fonte inquinante rispetto alle matrici ambientali circostanti;
p) combustibile da rifiuti: il combustibile ricavato dai rifiuti urbani mediante trattamento finalizzato all’eliminazione delle sostanze pericolose per la combustione ed a garantire un adeguato potere calorico, e che possieda caratteristiche specificate con apposite norme tecniche;
q) compost da rifiuti: prodotto ottenuto dal compostaggio della frazione organica dei rifiuti urbani nel rispetto di apposite norme tecniche finalizzate a definirne contenuti e usi compatibili con la tutela ambientale e sanitaria, e in particolare a definirne i gradi di qualità.
 
 
(1) Per l’interpretazione autentica della definizione di «rifiuto» si veda l’art. 14 del D.L. 8 luglio 2002, n. 138, convertito, con modificazioni, nella L. 8 agosto 2002, n. 178.
(2) Le parole fra parentesi quadrate sono state soppresse dall’art. 12, comma 1, della L. 23 marzo 2001, n. 93.
 
(3) Le definizioni preliminari nella moderna normativa ambientale e in particolare sia nel D.L.vo n. 22/97 sia nel D.L.vo n. 152/99 rappresentano punti essenziali e rilevanti per la lettura dei codici di accesso in ordine ad ambedue le normative. Si tende infatti spesso a sottovalutare le definizioni preliminari e a concentrare l’esame immediatamente verso la normativa in modo sostanziale. In realtà va specificato che in particolar modo nelle norme ambientali, con particolare riferimento ai due decreti in questione, tutto ciò che viene formalmente predeterminato e stabilito nelle definizioni preliminari rappresenta la chiave di lettura per l’applicazione interpretativa autorizzatoria, gestionale e sanzionatoria dei due decreti. In modo particolare nel decreto n. 22/97 il sistema di definizione preliminare offre spunti di chiarificazione valutativa ed interpretativa in ordine a concetti importantissimi quali ad esempio (e questo è punto cardine per l’applicazione di tutto il decreto) del concetto di rifiuto. Va infatti sottolineato che nel contesto di queste normative si deve astrarre e separarsi dai concetti ordinai di gergo comune in ordine alle concettualità di uso corrente e soltanto quello che viene definito tra virgolette come parafrasi formale nelle definizioni preliminari deve essere inteso come vigente nella normativa in questione. Dunque, ad esempio, sarà «rifiuto» soltanto quello che rientra nella definizione formale contenuta in questo articolo. Tutte le altre cose che nel nostro gergo comune o in legislazioni parallele o comunque secondo la logica ordinaria vengono definite come rifiuto non sono «rifiuto» in senso tecnico-giuridico e dunque non possono costituire nozione propedeutica per l’applicazione attiva o passiva del decreto n. 22/97. Pertanto approfondire bene tutto l’articolo 6 in ordine alle definizioni preliminari rappresenta attività particolarmente importante come chiave di lettura per entrare poi in tutto l’alveo disciplinatorio e sanzionatorio del decreto in questione.
(4) La definizione di rifiuto appare concetto importissimo e preliminare per entrare nel contesto genetico del decreto Ronchi. Va sottolineato che in ordine a tale concettualità, naturalmente, si sono sviluppate in questo periodo di prima applicazione le più diversificate interpretazioni. Molte volte queste interpretazioni sono mirate a creare esclusivamente confusione applicativa ed operativa con il fine a volte non totalmente mascherato di inibire la pratica applicazione del decreto stesso. Non c’è dubbio, infatti, che minando alla radice la concettualità di rifiuto si intacca la struttura genetica del decreto n. 22/97 e quindi in qualche modo si va ad ostacolare la pratica applicazione di tutto il sistema non solo autorizzatorio ma anche e soprattutto sanzionatorio. Noi non condividiamo la confusione interpretativa che si è sviluppata in questi anni intorno alla concettualità di rifiuto e riteniamo che tale concetto sia chiarissimo a livello di espressione e di interpretazione già nella struttura genetica della norma che va letta in modo parallelo rispetto alle chiarissime prese di posizione della Corte europea di giustizia che già si è pronunciata ripetutamente in ordine a tale elemento predominante. Va infatti rilevato che sul punto specifico della nozione di rifiuto già prima dell’entrata in vigore del decreto n. 22/97, e cioè in occasione della vigenza dei decreti d’urgenza varati dall’allora Governo che aveva ideato il concetto anomalo di «residuo», la Corte Europea si pronunciò in ordine alla concettualità di rifiuto stabilendo alcuni parametri di punti fermi interpretativi che sono rimasti assolutamente inalterati anche dopo l’emanazione in Italia del decreto n. 22/97. Per un approfondimento della nozione di rifiuto, anche alla luce della decisione della Corte Europea, rinviamo alla introduzione del presente capitolo ove il tema è affrontato in modo articolato.
(5) Si veda quanto dispone l’art. 14 del D.L. 8 luglio 2002, n. 138, conv., nella L. 8 agosto 2002, n. 178.
(6) Il concetto di gestione rappresenta il cuore vitale dell’asse costruttivo del decreto n. 22/97. Infatti, la gestione è il punto centrale di tutto quanto l’impianto normativo previsto dal decreto Ronchi e delimitare esattamente i parametri in ordine alle varie fasi di gestione significa collocare esattamente poi tutto il sistema autorizzatorio e tutto il sistema sanzionatorio. Non vi è dubbio che il decreto esprime il concetto di gestione in modo estremamente preciso attraverso le quattro fasi essenziali.
Appare evidente, quindi, che il concetto di gestione è vastissimo e ricomprende un arco estremamente più ampio rispetto al vecchio e più limitato concetto di smaltimento espresso dal D.P.R. 915/82. Lo smaltimento viene infatti definito dal decreto in vigore come un’attività inerente le operazioni previste nell’allegato B allo stesso decreto; rileviamo che tra le operazioni previste in detto allegato al punto D1 è indicato il «deposito sul suolo (ad esempio discarica)».
 
Ecco dunque che, coerentemente con lo spirito di fondo di questa nuova norma tendente a limitare la discarica a casi residuali (privilegiando invece la prevenzione e il riutilizzo), il riversamento dei rifiuti discarica (che per il D.P.R. 915/82 costituiva asse portante di tutto il sistema dello smaltimento) assume oggi una figura se non residuale quanto meno secondaria. Appare così soltanto una delle possbilità di smaltimento, il quale a sua volta è una delle operazione ricomprese nella attività di gestione la quale, abbiamo già notato, è sottodivisa nelle quattro operazioni principali entro le quali il recupero assume valore paritario rispetto allo smaltimento finale. Ancora. L’attività di recupero, estremamente importante nel contesto della norma, è definita come operazione di cui all’allegato C dello stesso decreto; in questo allegato sono previste tredici tipologie di attività di recupero.
Lo stoccaggio, in modo anomalo rispetto alle altre attività di smaltimento, é definito sempre dall’art. 6, primo comma, lettera l), autonomamente rispetto alle altre attività di smaltimento, come operazioni di deposito preliminare di rifiuti di cui al punto D15 dell’allegato B, e rispetto alle altre attività di recupero consistenti nelle operazioni di messa in riserva di materiali di cui al punto R13 dell’allegato C.
In sede di costruzione sistematica avremmo dunque che lo stoccaggio é una delle attività di smaltimento (a sua volta compreso nella gestione) preliminare alle altre operazioni di smaltimento indicate nell’allegato B e consiste nel deposito temporaneo effettuato non nel luogo di produzione.
Ancora come attività di stoccaggio il punto R13 dell’allegato C riguarda la messa in riserva di rifiuti per sottoporli a una delle operazioni indicate dai punti da R1 a R12 (escluso il deposito temporaneo prima raccolta nel luogo in cui sono prodotti). Va operata su questo concetto analoga costruzione, deducendo che la seconda attività di stoccaggio riguarda sostanzialmente tutte le attività di deposito fuori del luogo di produzione preliminari a quelle di recupero dell’allegato C.
Va sottolineato che lo stoccaggio dei rifiuti è sempre un’attività transitoria e momentanea e non può diventare permanente e definitiva. Si veda ad esempio: «Lo stoccaggio provvisorio dei rifiuti è definito dalla Cassazione come "raccolta ed immagazzinamento dei rifiuti in attesa della loro eliminazione definitiva" (Cass. pen., sez. III, 25 gennaio 1999, n. 902, ud. 11 dicembre 1998, Convertini). Dunque il termine ed il concetto di «stoccaggio definitivo» rappresenta una evidente contraddizione logica e formale e non può essere considerato lecito: trattasi in tal caso di una discarica.
(7) Il concetto di «luogo di produzione dei rifiuti» appare importissimo in relazione a diverse attività disciplinatorie nel contesto del D.L.vo n. 22/97 e in particolare per il deposito temporaneo. Infatti il deposito temporaneo potrà essere effettuato esclusivamente nel luogo in cui sono prodotti i rifiuti e dunque nel contesto di tale concetto si esaurisce completamente le ipotesi applicative del deposito temporaneo. Pertanto la concettualità così delineata dalla norma appare propedeutica per la vitalità della importissima prassi del deposito temporaneo, il quale negli aspetti illegali rappresenta uno delle attività principali per mascherare discariche abusive o stoccaggi impropri di rifiuti spesso a livello extra aziendale.
Va sottolineato che il «deposito temporaneo» essendo limitato al «luogo di produzione» (che è concetto più ristretto rispetto all’«azienda» ed alle sue eventuali sedi distaccate o legali) non può varcare la soglia del cancello di tale specifico luogo. Dunque, appena i rifiuti vengono trasferiti in qualunque modo al di là del cancello del luogo di produzione in senso stretto varcando i confini specifici dell’area medesima, e magari immettendosi sul circuito stradale pubblico, si attua un «trasporto» e rientriamo ipso iure nella «gestione». Cessa dunque ogni concettualità relativa al deposito temporaneo, e questo anche se trattasi di brevi percorsi realizzati, magari, per raggiungere siti aziendali sempre propri ed a modesta distanza.
 
(8) Il deposito temporaneo si è confermato, come era stato puntualmente previsto subito dopo l’emanazione del decreto n. 22/97, come uno dei punti centrali della costruzione normativa del decreto Ronchi. Il deposito temporaneo rappresenta certamente una delle grandi novità della normativa sui rifiuti e per certi versi è un utile punto di vantaggio per le piccole aziende per evitare di dover ricorrere a situazioni di smaltimento troppo oneroso in modo sproporzionato rispetto al regime produttivo. Ma a fronte di tali indubbi vantaggi, il deposito temporaneo ha presentato certamente (grazie anche alla seconda formulazione piuttosto forzata) un’agile e dinamico mezzo per mascherare attività fraudolente ed illecite come discariche abusive palesi, stoccaggi irregolari e comunque ogni altra sorta di attività irregolari, che mascherate sotto il comodo paravento del deposito temporaneo sono state presentate a livello interpretativo ed applicativo come sostanzialmente lecite. Il concetto di deposito temporaneo va dunque chiarito nella sua esatta portata, e l’importanza e in qualche modo la pericolosità di tale istituto è stato anche recepito dalla Corte Europea di giustizia la quale si è pronunciata espressamente su tale concettualità ponendo dei punti fermi molto precisi per ribadire che in fin dei conti il deposito temporaneo deve essere un’attività eccezionale e limitata nell’uso e nella prassi e deve in qualche modo attivare le procedure di rigida sorveglianza da parte delle amministrazioni pubbliche. Questo naturalmente perché si è appurato sia in sede nazionale che in sede internazionale le possibilità di contrabbando di tale concetto con attività illegali anche a vastissimo respiro e sfruttate fino a livello di criminalità organizzata nel traffico nazionale dei rifiuti.
L’art. 28 (che disciplina l’autorizzazione all’esercizio delle operazioni di smaltimento e recupero), dopo aver previsto il regime della prassi amministrativa a carico degli interessati, stabilisce nel comma 5 che le disposizioni dello stesso articolo non si applicano al deposito temporaneo (ecco dunque il carattere di eccezione del relativo concetto) effettuato nel rispetto delle condizioni di cui all’art. 6 comma 1 lettera m), che é soggetto unicamente agli adempimenti dettati con riferimento al registro di carico e scarico di cui all’art. 12 ed al divieto di miscelazione di cui all’art. 9.
Per la costruzione delle diverse ipotesi di realizzazione di deposito temporaneo rinviamo alla introduzione del presente capitolo ove il tema è affrontato approfonditamente.
In questa sede vogliamo invece tracciare una nota integrativa in ordine al deposito temporaneo va tuttavia evidenziato un concetto di scarsa chiarezza e di potenziale pericolosità in ordine alle possibili violazioni.
Il punto centrale della verifica è rappresentato dai registri di carico e scarico dai quali si possono trarre tutte le informazioni quantitativo-temporali del caso. Ma va rilevato che il sistema sanzionatorio connesso ai registri è tuttavia depenalizzato. È dunque potenzialmente conveniente per il responsabile (nei casi più gravi) affrontare la sanzione amministrativa per omessa e/o carente tenuta dei registri impedendo così la verifica del deposito temporaneo irregolare che, secondo i casi, potrebbe determinare sanzioni penali anche pesanti (ad esempio per discarica abusiva, o quantomeno stoccaggio abusivo e/o altro). L’organo di vigilanza dovrà quindi ricorrere a metodi di accertamento indiretti ed induttivi per supplire alla carenza documentale in materia di registri di carico e scarico per ricostruire tutte le necessarie informazioni quantitativo-temporali del caso. Si dovrà, dunque, verificare il budget, i documenti contabili, fatture e bolle, cicli produttivi, entrate ed uscite di prodotti e materie prime per raggiungere induttivamente queste informazioni in via surrogatoria rispetto ai registri di carico e scarico non tenuti o conservati in modo incompleto ed inesatto.
(9) La bonifica dei siti inquinati rappresenta uno dei punti cardine di tutto l’impianto normativo e strutturale previsto dal decreto n. 22/97. Si tratta di una novità assoluta per la nostra legislazione ambientale. Il tema è specificamente trattato e delineato nel successivo art. 17, con la sinergica e necessaria integrazione del decreto ministeriale applicativo n. 471/99. Detto concetto di bonifica deve essere peraltro letto e coordinato con il parallelo ma certe angolazioni diverso principio di bonifica previsto nel contesto del decreto acque n. 152/99. Per un approfondimento del tema della bonifica in linea generale e per un parallelo di confronto tra le specifiche procedure di bonifica previste dai due decreti n. 22/97 e n. 152/99 rinviamo alla introduzione del presente capitolo sui rifiuti ed alla introduzione sul capitolo delle acque, ove sono riportati ampi approfondimenti relativi ai due concetti.
 
 
Art. 7 (Classificazione)
 
1. Ai fini dell’attuazione del presente decreto i rifiuti sono classificati, secondo l’origine, in rifiuti urbani e rifiuti speciali, e, secondo le caratteristiche di pericolosità, in rifiuti pericolosi e rifiuti non pericolosi.
2. Sono rifiuti urbani:
a) i rifiuti domestici, anche ingombranti, provenienti da locali e luoghi adibiti ad uso di civile abitazione;
b) i rifiuti non pericolosi provenienti da locali e luoghi adibiti ad usi diversi da quelli di cui alla lettera a), assimilati ai rifiuti urbani per qualità e quantità, ai sensi dell’articolo 21, comma 2, lettera g);
c) i rifiuti provenienti dallo spazzamento delle strade;
d) i rifiuti di qualunque natura o provenienza, giacenti sulle strade ed aree pubbliche o sulle strade ed aree private comunque soggette ad uso pubblico o sulle spiagge marittime e lacuali e sulle rive dei corsi d’acqua;
e) i rifiuti vegetali provenienti da aree verdi, quali giardini, parchi e aree cimiteriali;
f) i rifiuti provenienti da esumazioni ed estumulazioni, nonché gli altri rifiuti provenienti da attività cimiteriale diversi da quelli di cui alle lettere b), c) ed e).
3. Sono rifiuti speciali:
a) i rifiuti da attività agricole e agro-industriali;
b) i rifiuti derivanti dalle attività di demolizione, costruzione, nonché i rifiuti pericolosi che derivano dalle attività di scavo (4) (5);
c) i rifiuti da lavorazioni industriali, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 8, comma 1, lettera f quater) (1);
d) i rifiuti da lavorazioni artigianali;
e) i rifiuti da attività commerciali;
f) i rifiuti da attività di servizio;
g) i rifiuti derivanti dalla attività di recupero e smaltimento di rifiuti, i fanghi prodotti dalla potabilizzazione e da altri trattamenti delle acque e dalla depurazione delle acque reflue e da abbattimento di fumi;
h) i rifiuti derivanti da attività sanitarie;
i) i macchinari e le apparecchiature deteriorati ed obsoleti;
l) i veicoli a motore, rimorchi e simili fuori uso e loro parti;
l bis) il combustibile derivato da rifiuti [qualora non rivesta le caratteristiche qualitative individuate da norme tecniche finalizzate a definirne contenuti e usi compatibili con la tutela ambientale] (2) (3).
4. Sono pericolosi i rifiuti non domestici precisati nell’elenco di cui all’allegato D sulla base degli allegati G, H ed I.
 
 
(1) Questa lettera è stata così sostituita dall’art. 1 del D.L. 7 marzo 2002, n. 22, convertito, con modificazioni, nella L. 6 maggio 2002, n. 82.
(2) Questa lettera è stata aggiunta dall’art. 7, comma 11, lett. a), del D.L. 28 dicembre 2001, n. 452, convertito, con modificazioni, nella L. 27 febbraio 2002, n. 16.
(3) Le parole poste fra parentesi quadrate sono state abrogate dall’art. 23, comma 1, lett. a), della L. 31 luglio 2002, n. 179.
(4) A norma dell’art. 1, comma 17, della L. 21 dicembre 2001, n. 443, questa lettera si interpreta nel senso che le terre e rocce da scavo, anche di gallerie, non costituiscono rifiuti e sono, perciò, escluse dall’ambito di applicazione del medesimo decreto legislativo, anche quando contaminate, durante il ciclo produttivo, da sostanze inquinanti derivanti dalle attività di escavazione, perforazione e costruzione, sempreché la composizione media dell’intera massa non presenti una concentrazione di inquinanti superiore ai limiti massimi previsti dalle norme vigenti.
(5) Si veda quanto prescrive l’art. 1, comma 17, della L. 21 dicembre 2001, n. 443.
(6) Il presente articolo traccia il quadro preliminare e assolutamente rilevante in ordine al rinnovato sistema di classificazione dei rifiuti. Va sottolineato che rispetto alla previgente disciplina del D.P.R. n. 915/82 le modifiche non sono soltanto nominative e di facciata ma profondamente sostanziali (come del resto questi primi anni di applicazione pratica del nuovo decreto hanno confermato anche a livello di dottrina e giurisprudenza). Dunque, tenere presente in via propedeutica prima di ogni attività applicativa dei principi generali del decreto la presente classificazione è certamente importante per garantire ogni successiva attività sia a livello di operatività amministrativa che gestionale al pari delle interpretazioni conseguenti a livello sanzionatorio.
Alla pregressa classificazione dei rifiuti in urbani, speciali e tossico nocivi, si sostituisce quella in urbani e speciali; che a loro volta si differenziano in pericolosi e non pericolosi.
In altre parole possiamo avere le seguenti categorie di rifiuti:
-rifiuti urbani non pericolosi;
-rifiuti urbani pericolosi;
-rifiuti speciali non pericolosi;
-rifiuti speciali pericolosi.
Il campo di applicazione della norma è comunque più vasto perché viene espressamente precisato che oltre che a dette categorie di rifiuti si tende alla disciplina anche degli imballaggi e dei rifiuti da imballaggi.
Qualche osservazione sul concetto di rifiuto in senso generale.
La definizione formale è fornita dall’art. 6, primo comma, lett. a) nel quale si stabilisce che per rifiuto deve intendersi «qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportate nell’allegato A e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi».
 
Per un approfondimento del concetto di «rifiuto» (anche alla luce dell’intervento della Corte Europea) rinviamo all’introduzione del presente capitolo. Vogliamo qui sottolineare che appare importante la esatta percezione ed individuazione del preliminare e generale concetto di «rifiuto» prima ancora di passare alle ipotesi di classificazione che appaiono naturalmente successive all’individuazione del bene nella categoria appunto gestita dal decreto n. 22/97. Quindi, l’approfondimento del concetto di «rifiuto» apre automaticamente la strada poi al rinnovato criterio classificatorio. Va ricordato che le denominazioni comuni di rifiuto usate nel nostro comune modo di vedere non sempre corrispondono alla definizione ufficiale e formale di «rifiuto» previsto dal decreto in esame. E su tali passaggi verte il principale problema applicativo della normativa di settore).
 
 
Art. 8 (Esclusioni)
 
8. (Esclusioni) (5). 1. Sono esclusi dal campo di applicazione del presente decreto gli effluenti gassosi emessi nell’atmosfera, nonché, in quanto disciplinati da specifiche disposizioni di legge:
a) i rifiuti radioattivi;
b) i rifiuti risultanti dalla prospezione, dall’estrazione, dal trattamento, dall’ammasso di risorse minerali o dallo sfruttamento delle cave;
c) le carogne ed i seguenti rifiuti agricoli: materie fecali ed altre sostanze naturali non pericolose utilizzate nell’attività agricola ed in particolare i materiali litoidi o vegetali riutilizzati nelle normali pratiche agricole e di conduzione dei fondi rustici e le terre da coltivazione provenienti dalla pulizia dei prodotti vegetali eduli;
d) (Omissis);
e) le acque di scarico, esclusi i rifiuti allo stato liquido;
f) i materiali esplosivi in disuso;
f bis) le terre e le rocce da scavo destinate all’effettivo utilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati, con esclusione di materiali provenienti da siti inquinati e da bonifiche con concentrazione di inquinanti superiore ai limiti di accettabilità stabiliti dalle norme vigenti (2) (3) (5);
f ter) i materiali vegetali non contaminati da inquinanti in misura superiore ai limiti stabiliti dal decreto del Ministro dell’ambiente 25 ottobre 1999, n. 471, provenienti da alvei di scolo ed irrigui, utilizzabili tal quale come prodotto (2);
f quater) il coke da petrolio utilizzato come combustibile per uso produttivo (4).
1 bis. Non sono in ogni caso assimilabili ai rifiuti urbani i rifiuti derivanti dalle lavorazioni di minerali e di materiali da cava (1).
 
 
(1) Questo comma è stato aggiunto dall’art. 4, comma 22, della L. 9 dicembre 1998, n. 426.
(2) Questa lettera è stata aggiunta dall’art. 10, comma 1, della L. 23 marzo 2001, n. 93.
(3) Si veda quanto prescrive l’art. 1, comma 17, della L. 21 dicembre 2001, n. 443.
(3) Questa lettera è stata aggiunta dall’art. 1, comma 1, lett. b), del D.L. 7 marzo 2002, n. 22, convertito, con modificazioni, nella L. 6 maggio 2002, n. 82.
(4) A norma dell’art. 1, comma 17, della L. 21 dicembre 2001, n. 443, questa lettera si interpreta nel senso che le terre e rocce da scavo, anche di gallerie, non costituiscono rifiuti e sono, perciò, escluse dall’ambito di applicazione del medesimo decreto legislativo, anche quando contaminate, durante il ciclo produttivo, da sostanze inquinanti derivanti dalle attività di escavazione, perforazione e costruzione, sempreché la composizione media dell’intera massa non presenti una concentrazione di inquinanti superiore ai limiti massimi previsti dalle norme vigenti.
(5) Il regime delle esclusioni appare particolarmente importante perché delinea il confine applicativo del decreto n. 22/97 e traccia la sinergia di parallelo con altre normative satelliti. In modo particolare si rileva che in questo articolo si ritrova la chiave di lettura per uscire dalla normativa specifica del decreto n. 22/97 ed entrare automaticamente nell’alveo disciplinatorio del decreto acque n. 152/99 (decreto che a sua volta prevede nell’art. 36 la chiave di lettura opposta che prevede l’uscita automatica dal decreto acque per tornare alla disciplina generale del decreto n. 22/97 in occasione degli ex scarichi indiretti oggi classificati come «rifiuti liquidi costituiti da acque reflue»).
Particolare sottolineatura va operata dunque in ordine al punto e) del primo comma laddove esclude dall’applicazione della norma in esame le acque di scarico esclusi i rifiuti allo stato liquido. Questa classificazione appare estremamente chiarificatrice rispetto al rapporto tra il decreto legislativo in questione e il decreto acque n. 152/99 e sembra questa volta porre termini ad un dibattito dottrinario e giurisprudenziale che per anni ha investito il rapporto tra la pregressa normativa del D.P.R. 915/82 e la legge-Merli.
Si rileva quindi che, conseguentemente alla dizione attualmente in vigore, trova conferma la teoria (da noi da tempo sostenuta in precedenza anche su queste pagine) in base alla quale la legge in materia di rifiuti (fino a ieri il D.P.R. 915/82 ed oggi il decreto in esame) assume valore di legge quadro in tutto il settore dei rifiuti, intendendo questi ultimi a livello concettuale in senso lato ed omnicomprensivo. Le altre normative appaiono, seppure la costruzione potrebbe apparire impropria in quanto norme pregresse, come legislazioni satelliti disciplinanti - a livello di deroga ed eccezione - alcuni settori particolari di rifiuti; tra queste, il nuovo decreto n. 152/99 assume carattere di primo rilievo.
 
Infatti, l’eccezione in questione conferma la costruzione in base alla quale il decreto legislativo in esame rappresenta la legge-quando in materia di rifiuti, mentre i rifiuti stessi, qualora siano costituiti da acque di scarico «dirette» (sottinteso: da insediamenti industriali o domestici o urbani) vengono disciplinati - in deroga come eccezione - dal decreto n. 152/99. Ancora: se i rifiuti allo stato liquido non provengono da detta specifica fonte (e cioè gli scarichi «diretti») ci troviamo di fronte all’ex «scarico indiretto» che non è più tale ma viene classificato come «rifiuto liquido costituito da acque reflue» ed in tale ultimo caso torniamo alla disciplina generale per i rifiuti prevista dal decreto n. 22/97. Dobbiamo dunque sottolineare che viene confermato il concetto in base al quale il decreto acque é norma satellite di deroga rispetto alla disciplina generale sui rifiuti (e tale concetto sarà basilare e di primaria importanza in ordine ad alcune applicazioni concrete che riguardano - ad esempio - il trasporto mediante autospurgo di reflui provenenti da insediamenti industriali e per i quali appare indirettamente chiarata la disciplina). Per un ampio approfondimento in ordine al confine tra decreto n. 22/97 sui rifiuti e decreto n. 152/99 sugli scarichi rinviamo alle introduzioni del presente capitolo e del capitolo sulle acque, ove il tema è trattato in modo approfondito ed articolato.
 
Art. 9 (Divieto di miscelazione di rifiuti pericolosi)
 
1. È vietato miscelare categorie diverse di rifiuti pericolosi di cui all’allegato G ovvero rifiuti pericolosi con rifiuti non pericolosi.
2. In deroga al divieto di cui al comma 1, la miscelazione di rifiuti pericolosi tra loro o con altri rifiuti, sostanze o materiali, può essere autorizzata ai sensi dell’articolo 28 qualora siano rispettate le condizioni di cui all’articolo 2, comma 2, ed al fine di rendere più sicuro il recupero e lo smaltimento dei rifiuti.
3. Fatta salva l’applicazione delle sanzioni di cui all’articolo 51, comma 5, chiunque viola il divieto di cui al comma 1 è tenuto a procedere a proprie spese alla separazione dei rifiuti miscelati qualora sia tecnicamente ed economicamente possibile e per soddisfare le condizioni di cui all’articolo 2, comma 2.
 
Art. 10 (Oneri dei produttori e dei detentori)
 
 1. Gli oneri relativi alle attività di smaltimento sono a carico del detentore che consegna i rifiuti ad un raccoglitore autorizzato o ad un soggetto che effettua le operazioni individuate nell’allegato B al presente decreto, e dei precedenti detentori o del produttore dei rifiuti.
2. Il produttore dei rifiuti speciali assolve i propri obblighi con le seguenti priorità:
a) autosmaltimento dei rifiuti;
b) conferimento dei rifiuti a terzi autorizzati ai sensi delle disposizioni vigenti;
c) conferimento dei rifiuti ai soggetti che gestiscono il servizio pubblico di raccolta dei rifiuti urbani, con i quali sia stata stipulata apposita convenzione;
d) esportazione dei rifiuti con le modalità previste dall’articolo 16 del presente decreto.
3. La responsabilità del detentore per il corretto recupero o smaltimento dei rifiuti è esclusa:
a) in caso di conferimento dei rifiuti al servizio pubblico di raccolta;
b) in caso di conferimento dei rifiuti a soggetti autorizzati alle attività di recupero o di smaltimento, a condizione che il detentore abbia ricevuto il formulario di cui all’articolo 15 controfirmato e datato in arrivo dal destinatario entro tre mesi dalla data di conferimento dei rifiuti al trasportatore, ovvero alla scadenza del predetto termine abbia provveduto a dare comunicazione alla provincia della mancata ricezione del formulario. Per le spedizioni transfrontaliere di rifiuti tale termine è elevato a sei mesi e la comunicazione deve essere effettuata alla regione.
 
Art. 11 (Catasto dei rifiuti)
1. Entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, il Ministro dell’ambiente, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e Bolzano di cui all’articolo 12 della legge 23 agosto 1988, n. 400, provvede con proprio decreto alla riorganizzazione del Catasto dei rifiuti istituito ai sensi dell’articolo 3 del decreto legge 9 settembre 1988, n. 397, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 novembre 1988, n. 475, e successive modificazioni, in modo da assicurare un quadro conoscitivo completo e costantemente aggiornato, anche ai fini della pianificazione delle connesse attività di gestione, sulla base del sistema di raccolta dei dati relativi alla gestione dei rifiuti di cui alla legge 25 gennaio 1994, n. 70, utilizzando la nomenclatura prevista nel Catalogo europeo dei rifiuti istituito con decisione della Commissione delle comunità europee del 20 dicembre 1993, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee n. 5 del 7 gennaio 1994.
2. Il Catasto è articolato in una sezione nazionale, che ha sede in Roma presso l’Agenzia Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (ANPA) e in sezioni regionali o delle province autonome presso le corrispondenti Agenzie regionali e delle province autonome per la protezione dell’ambiente (ARPA) e, ove tali Agenzie non siano ancora costituite, presso la Regione.
3. Chiunque effettua a titolo professionale attività di raccolta e di trasporto di rifiuti, compresi i commercianti e gli intermediari di rifiuti, ovvero svolge le operazioni di recupero e di smaltimento dei rifiuti, nonché le imprese e gli enti che producono rifiuti pericolosi e le imprese e gli enti che producono rifiuti non pericolosi di cui all’articolo 7, comma 3, lettere c), d) e g), sono tenuti a comunicare annualmente con le modalità previste dalla legge 25 gennaio 1994, n. 70, le quantità e le caratteristiche qualitative dei rifiuti oggetto delle predette attività. Sono esonerati da tale obbligo gli imprenditori agricoli di cui all’articolo 2135 del codice civile con un volume di affari annuo non superiore a lire quindicimilioni e, limitatamente alla produzione di rifiuti non pericolosi, i piccoli imprenditori artigiani di cui all’articolo 2083 del codice civile che non hanno più di tre dipendenti. Nel caso in cui i produttori di rifiuti conferiscano i medesimi al Servizio pubblico di raccolta, la comunicazione è effettuata dal gestore del servizio limitatamente alla quantità conferita (1).
4. I comuni, o loro consorzi o comunità montane ovvero aziende speciali con finalità di smaltimento dei rifiuti urbani e assimilati comunicano annualmente secondo le modalità previste dalla legge 25 gennaio 1994, n. 70, le seguenti informazioni relative all’anno precedente:
a) la quantità dei rifiuti urbani raccolti nel proprio territorio;
b) i soggetti che hanno provveduto alla gestione dei rifiuti, specificando le operazioni svolte, le tipologie e la quantità dei rifiuti gestiti da ciascuno;
c) i costi di gestione e di ammortamento tecnico e finanziario degli investimenti per le attività di gestione dei rifiuti, nonché i proventi della tariffa di cui all’articolo 49;
d) i dati relativi alla raccolta differenziata.
5. Le Sezioni regionali e provinciali e delle Province autonome del Catasto provvedono all’elaborazione dei dati ed alla successiva trasmissione alla Sezione nazionale entro 30 giorni dal ricevimento, ai sensi dell’articolo 2, comma 2, della legge 25 gennaio 1994, n. 70, delle informazioni di cui ai commi 3 e 4. L’ANPA elabora i dati, evidenziando le tipologie e le quantità dei rifiuti prodotti, raccolti, trasportati, recuperati e smaltiti, nonché gli impianti di smaltimento e di recupero in esercizio, e ne assicura la pubblicità.
6. Fino all’emanazione del decreto di cui al comma 1 continuano ad applicarsi le disposizioni vigenti in materia.
7. La riorganizzazione del Catasto di cui ai commi 1 e 2 non deve comportare oneri ulteriori ed aggiuntivi per il bilancio dello Stato.
 
 
(1) Si veda il D.M. 4 agosto 1998, n. 372.
(2) Comma così modificato dall’art. 1, comma 16, della L. 9 dicembre 1998, n. 426.
C’è da segnalare una certa ambiguità di tale disposizione normativa, in particolare con riferimento a quanto dispone l’ultimo paragrafo. In specifico ci si può domandare se tale norma sia circoscritta alla tenuta del solo MUD» (e non anche dei registri) e se tale disposizione si riferisca a «tutti» i rifiuti.
Per quanto concerne il primo aspetto non si può fare a meno di notare che c’è chi (ad es. S. BELTRAME, I nuovi modelli per il formulario di accompagnamento e per i registri di carico/scarico) circoscrive la portata della norma «agli oneri della comunicazione annuale e non può in alcun modo estendersi agli obblighi di cui all’art. 12, atteso che quest’ultimo richiama esclusivamente i soggetti ivi individuati e non le modalità di adempimento inerenti la comunicazione, a cui si riferisce espressamente la citata proposizione».
In realtà la Circ. (Ind.) 5 marzo 1998, n. 3434/c ha espressamente puntualizzato che «i soggetti tenuti alla presentazione del MUD sono quelli indicati all’art. 11, comma 3, del D.L.vo 22/97». Dunque, in ordine ai soggetti obbligati, tendenzialmente «registri di carico e scarico e MUD coincidono» (così, FICCO e GERARDINI, La gestione dei rifiuti), in quanto tra i due obblighi esiste «un rapporto di causa/effetto».
Peraltro la norma parla esplicitamente di comunicazione e non di altro, con diretto riferimento alle «modalità previste dalla legge 25 gennaio 1994, n. 70». Quindi si riferisce solo ed esclusivamente al MUD.
 
Ciò premesso, è doveroso a questo punto chiedersi il significato della parola «rifiuti» nell’ambito della norma in questione.
Si concorda in proposito con chi (FICCO e GERARDINI, op. cit., pp. 123,124) esclude dall’obbligo di compilazione del MUD tutti i produttori di rifiuti speciali (pericolosi o non pericolosi) che conferiscano i propri rifiuti al servizio pubblico di raccolta. In questo caso «il MUD è compilato dal gestore del servizio stesso... Ciò vale anche nel caso in cui il servizio pubblico agisca sui rifiuti diversi da quelli assimilati, quindi, in regime di convenzione ed al pari di un privato. Il che, però, nulla toglie alla sua qualifica pubblica del servizio prestato. Poiché l’art. 11, comma 3, si esprime in termini lapidari, qualunque interpretazione diversa (in difetto di precisazioni ufficiali) si ritiene sia assolutamente infondata».
Tale norma - se interpretata estensivamente - costituisce un evidente, importante contributo alla sburocratizzazione voluta dallo spirito del D.L.vo 22/97, evitando duplicazioni inutili per ciò che concerne la comunicazione relativa ai medesimi rifiuti, comunicazione che ha peraltro una valenza prettamente statistica (v. art. 3 L. 70/94).
Alcuni commentatori in realtà si sono limitati a sottolineare come l’ultima modifica apportata alla norma è stata approntata solo per chiarire che non basta conferire i rifiuti al servizio pubblico per essere esenti dal Mud in ordine a tutti i rifiuti prodotti. Ciò è vero, ma è altrettanto vero che con riferimento a tutti i rifiuti conferiti al servizio pubblico di raccolta (e non a un servizio pubblico) le aziende sono esentate a presentare il Mud.
F.C. SPRIANO, La nuova normativa sui rifiuti, al proposito, ha scritto: «La comunicazione annuale a carico dei produttori dovrà essere fatta dal gestore del pubblico servizio, nel caso in cui i produttori conferiscano i rifiuti al Servizio pubblico di raccolta; in tal modo si avrà un sostituto nell’obbligo ed il produttore non dovrà in tal caso ottemperare all’obbligo assunto in sua vece dal gestore pubblico».
Si potrebbe far notare che i limiti del «servizio pubblico» sono definiti dal regolamento comunale che lo istituisce e che (art. 21, comma 5 del «Ronchi») «i comuni possono istituire... servizi integrativi per la gestione dei rifiuti speciali non assimilati ai rifiuti urbani».
Può essere a questo punto interessante chiedersi cosa si intenda per «servizi integrativi». Potrebbe essere di qualche aiuto il comma 2 dell’art. 39 della L. Comunitaria del 1994 (L. 146/94) il quale specifica che «i comuni possono istituire servizi pubblici integrativi, i cui costi sono a carico di ciascun detentore dei rifiuti sulla base di apposite convenzioni.
Qualora il comune istituisca i servizi pubblici integrativi, i detentori sono tenuti a conferire i rifiuti al soggetto che gestisce detti servizi, salvi i casi di autosmaltimento e di conferimento a terzi autorizzati ai sensi delle vigenti disposizioni».
Sono da effettuare al proposito alcune considerazioni:
a) tale norma non solo è precedente al «Ronchi» ma è stata espressamente abrogata dalla L. 24 aprile 1998, n. 128 (art. 17, comma 3);
b) ammesso e non concesso che per «servizi integrativi» si possano intendere quelli di cui all’ultimo paragrafo del comma 3 dell’art. 11 del «Ronchi», se il comune non istituisce tale servizio («possono»), e non si dà un’interpretazione estensiva (peraltro avvalorata dalla più rilevante dottrina del settore) della norma in oggetto cosa si potrebbe verificare, nella pratica? Il produttore di rifiuti (anche dei più pericolosi) non avrebbe interesse alcuno a conferire i rifiuti al soggetto gestore del servizio pubblico di raccolta (ovvero quello al quale il Comune affida, per garanzie di qualità e di efficienza offerte, il compito di effettuare un servizio particolarmente delicato e gravoso dal punto di vista ambientale e di tutela della salute) se non avesse almeno «in cambio» la possibilità di essere esentato dalla tenuta di MUD, operazione che, comunque, per quei rifiuti conferiti, è già svolta dal gestore del servizio pubblico. Non sarebbe forse tentato di conferire i rifiuti al primo soggetto che gli offra semplicemente il servizio meno oneroso economicamente?
E, dunque, se i produttori di rifiuti in ambito comunale si rivolgono al soggetto gestore del servizio pubblico per effettuare lo smaltimento dei propri rifiuti, non c’è forse tutto l’interesse pubblico (e nell’ambito della ratio del «Ronchi») ad agevolare tale procedura nel massimo dell’efficienza e della sicurezza?
Infine, e per mantenersi nell’ambito letterale della norma, non si capisce perché il legislatore parli di «rifiuti» senza specificare null’altro (urbani, assimilati, assimilabili....), né perché parli tout court di «produttori di rifiuti», riconducibili alla generica definizione di cui all’art. 6, comma 1, lett. b), del decreto Ronchi: se avesse voluto specificare in tal senso la norma avrebbe avuto tutte le possibilità per farlo.
 
 
 
 
 
 
Art. 12 (Registri di carico e scarico)
 1. I soggetti di cui all’articolo 11, comma 3, hanno l’obbligo di tenere un registro di carico e scarico, con fogli numerati e vidimati dall’Ufficio del registro, su cui devono annotare, le informazioni sulle caratteristiche qualitative e quantitative dei rifiuti, da utilizzare ai fini della comunicazione annuale al Catasto. Le annotazioni devono essere effettuate:
a) per i produttori almeno entro una settimana dalla produzione del rifiuto e dallo scarico del medesimo;
b) per i soggetti che effettuano la raccolta e il trasporto almeno entro una settimana dalla effettuazione del trasporto;
c) per i commercianti e gli intermediari almeno entro una settimana dalla effettuazione della transazione relativa;
d) per i soggetti che effettuano le operazioni di recupero e di smaltimento entro ventiquattro ore dalla presa in carico dei rifiuti.
2. Il registro tenuto dagli stabilimenti e dalle imprese che svolgono attività di smaltimento e di recupero di rifiuti deve, inoltre, contenere:
a) l’origine, la quantità, le caratteristiche e la destinazione specifica dei rifiuti;
b) la data del carico e dello scarico dei rifiuti ed il mezzo di trasporto utilizzato;
c) il metodo di trattamento impiegato.
3. I registri sono tenuti presso ogni impianto di produzione, di stoccaggio, di recupero e di smaltimento di rifiuti nonché presso la sede delle imprese che effettuano attività di raccolta e trasporto, e presso la sede dei commercianti e degli intermediari. I registri integrati con i formulari relativi al trasporto dei rifiuti sono conservati per cinque anni dalla data dell’ultima registrazione, ad eccezione dei registri relativi alle operazioni di smaltimento dei rifiuti in discarica, che devono essere conservati a tempo indeterminato ed al termine dell’attività devono essere consegnati all’autorità che ha rilasciato l’autorizzazione.
3 bis. I registri di carico e scarico relativi ai rifiuti prodotti dalle attività di manutenzione delle reti e delle utenze diffuse svolte dai soggetti pubblici e privati titolari di diritti speciali o esclusivi ai sensi della direttiva 93/38/CE attuata con il decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 158, che installano e gestiscono, direttamente o mediante appaltatori, reti ed impianti per l’erogazione di forniture e servizi di interesse pubblico, possono essere tenuti, nell’ambito della provincia dove l’attività è svolta, presso le sedi di coordinamento organizzativo o altro centro equivalente comunicato preventivamente alla provincia medesima.
4. I soggetti la cui produzione annua di rifiuti non eccede le 5 tonnellate di rifiuti non pericolosi ed una tonnellata di rifiuti pericolosi, possono adempiere all’obbligo della tenuta dei registri di carico e scarico dei rifiuti anche tramite le organizzazioni di categoria interessate o loro società di servizi che provvedono ad annotare i dati previsti con cadenza mensile, mantenendo presso la sede dell’impresa copia dei dati trasmessi.
5. Le informazioni contenute nel registro sono rese in qualunque momento all’autorità di controllo che ne fa richiesta.
6. In attesa dell’individuazione del modello uniforme di registro di carico e scarico e degli eventuali documenti sostitutivi, nonché delle modalità di tenuta degli stessi, continuano ad applicarsi le disposizioni vigenti che disciplinano le predette modalità di tenuta dei registri.
6 bis. Sono esonerati dall’obbligo di cui al comma 1 i consorzi di cui agli articoli 40, 41, 47 e 48 del presente decreto e i consorzi di cui all’articolo 9 quinquies del decreto legge 9 settembre 1988, n. 397, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 novembre 1988, n. 475, e all’articolo 11 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 95 (1).
 
 
(1) Questo comma è stato aggiunto dall’art. 23, comma 1, lett. c), della L. 31 luglio 2002, n. 179.
(2) Si veda il D.M. 1 aprile 1998, n. 148.
(3) L’articolo 12 riguarda un punto cardine della normativa in questione: i registri di carico e scarico.
Appare evidente l’importanza di tale registro in quanto esso rappresenta la fotografia immediata del flusso dei rifiuti gestititi dal titolare stesso e costituisce specchio diretto di quanto accaduto utilizzabile in sede di controllo e di verifiche.
Va purtroppo rilevato che, a fronte di tanta importanza rivestita dall’esatto e puntuale adempimento di tenuta di questi registri di carico e scarico, oggi la norma prevede per le violazioni esclusivamente una sanzione amministrative e questo anche se trattasi di rifiuti pericolosi (art. 52, secondo comma con duplice ipotesi - per rifiuti non pericolosi e pericolosi - ma sempre amministrativa).
 
In particolare va rilevato che detta violazione, ritenuta impropriamente di carattere meramente formale, in realtà rappresenta molto spesso chiave di lettura per illeciti di profondo ordine sostanziale. Si pensi ad esempio al deposito temporaneo irregolare che in linea di massima può mascherare efficacemente una grande discarica abusiva e in tale caso l’unico elemento diretto di riscontro a livello di vigilanza per verificare la differenza formale tra i due concetti va individuata nei dati contenuti nei registri di carico e scarico. Sarà infatti in tali registri che è possibile decifrare i tempi e le quantità del cumulo dei rifiuti per verificarne la rispondenza rispetto ai parametri formali previsti per la prassi del deposito temporaneo. In assenza o in carenza parziale di tali verifiche di dati l’organo di vigilanza è praticamente e sostanzialmente inibito nell’azione di controllo e non può far fronte efficacemente (e spesso far fronte affatto) al principio dell’onere della prova. Così la violazione apparentemente formale e documentale sulla omessa tenuta o parziale tenuta dei registri di carico e scarico (sanzionata amministrativamente) consente di celare efficacemente il ben più grave reato di gestione di discarica abusiva (soggetto a sanzione penale). In tal caso dunque il comportamento omissivo non è valutabile soltanto in se stesso ma dovrebbe essere letto e considerato anche in relazione all’uso mediato e strumentale ed alle conseguenze fraudolente ipotizzabili. Ma questo aspetto specifico della materia è ancora oggetto di grande dibattito politico.
 
Art. 13 (Ordinanze contingibili e urgenti)
 1. Fatto salvo quanto previsto dalle disposizioni vigenti in materia tutela ambientale, sanitaria e di pubblica sicurezza, qualora si verifichino situazioni di eccezionale ed urgente necessità di tutela della salute pubblica e dell’ambiente, e non si possa altrimenti provvedere, il Presidente della giunta regionale o il Presidente della provincia ovvero il sindaco possono emettere, nell’ambito delle rispettive competenze, ordinanze contingibili ed urgenti per consentire il ricorso temporaneo a speciali forme di gestione dei rifiuti, anche in deroga alle disposizioni vigenti, garantendo un elevato livello di tutela della salute e dell’ambiente. Dette ordinanze sono comunicate al Ministro dell’ambiente, al Ministro della sanità e al presidente della regione entro tre giorni dall’emissione ed hanno efficacia per un periodo non superiore a sei mesi.
2. Entro centoventi giorni dall’adozione delle ordinanze di cui al comma 1, il Presidente della Giunta regionale promuove ed adotta le iniziative necessarie per garantire la raccolta differenziata, il riutilizzo, il riciclaggio e lo smaltimento dei rifiuti. In caso di inutile decorso del termine e di accertata inattività, il Ministro dell’ambiente diffida il Presidente della Giunta regionale a provvedere entro un congruo termine, e in caso di protrazione dell’inerzia può adottare in via sostitutiva tutte le iniziative necessarie ai predetti fini.
3. Le ordinanze di cui al comma 1 indicano le norme a cui si intende derogare e sono adottate su parere degli organi tecnici o tecnico-sanitari locali, che lo esprimono con specifico riferimento alle conseguenze ambientali.
4. Le ordinanze di cui al comma 1 non possono essere reiterate per più di due volte. Qualora ricorrano comprovate necessità, il Presidente della regione d’intesa con il Ministro dell’ambiente può adottare, sulla base di specifiche prescrizioni, le ordinanze di cui al comma 1 anche oltre i predetti termini.
5. Le ordinanze di cui al comma 1 che consentono il ricorso temporaneo a speciali forme di gestione dei rifiuti pericolosi sono comunicate dal Ministro dell’ambiente alla Commissione dell’Unione Europea.
 
 
(1) La disciplina le ordinanze contingibili ed urgenti dei sindaci (per la realizzazione di discariche in casi particolari e momentanei), che aveva costituito tema oggetto di ampio dibattito vigente il D.P.R. 915/82, continua a rappresentare tema di massima importanza anche in questi primi anni di applicazione del decreto 22/97.
È noto che il ricorso alle ordinanze contingibili ed urgenti, vigente la pregressa disciplina ha dato luogo a una serie di non pochi abusi o prassi abnormi ed abituali, talché molti Sindaci usando ed abusando del vecchio articolo 12, D.P.R. 915/82 in questione hanno di fatto realizzato discariche permanenti del proprio territorio reiterando le proprie ordinanze per anni ed anni di seguito senza alcuna soluzione di continuità.
Sulla materia si è espressa ripetutamente, ed in modo piuttosto preciso, la giurisprudenza della Corte di cassazione per contrastare il ricorso a detta prassi e negli ultimi mesi di vita (o agonia) del D.P.R. 915/82 abbiamo assistito ad un fortissimo contrasto giurisprudenziale sempre in sede di Corte di cassazione laddove la stessa Suprema Corte dopo avere per anni stabilito un concetto assolutamente restrittivo di applicabilità citato dall’art. 12 a casi realmente caratterizzati da necessità ed urgenza assoluta, alla fine con una pronuncia a sorpresa ha stabilito un concetto del tutto opposto legittimando in modo indiretto il già criticato operato di molti sindaci.
L’attuale articolo 13 riscrive ex novo tutta la materia e modella allo stato genetico iniziale tutto il principio.
Viene stabilito questa volta che il verificarsi delle situazioni di eccezionale e urgente necessità di tutela della salute pubblica e dell’ambiente non legittima sic et simpliciter il provvedimento del sindaco (come di fatto è accaduto in passato) ma devono sussistere altre condizioni preliminari. Infatti è espressamente previsto che il ricorso a detta prassi sia inevitabile perché non si può altrimenti provvedere, e che il potere in questione ricade in capo al Presidente della Giunta Regionale o al Presidente della Provincia ovvero al Sindaco con la espressa limitazione di consentire il ricorso temporaneo a speciali forme di gestione dei rifiuti anche in derogaalle dispozioni vigenti; viene tuttavia evidenziato che non devono sussistere conseguenze di danno o di pericolo per la salute e per l’ambiente (ed ancora una volta detta previsione è coerente con le finalità politiche programmatiche espresse in apertura nell’articolo 2 come dichiarazioni di principio per la tutela dell’ambiente).
Dette ordinanze devono essere comunicate al Ministero dell’ambiente e della sanità e hanno efficacia per un periodo non superiore a sei mesi. Sono previsti poi adempimenti della pubblica amministrazione in seguito ad emanazione di dette ordinanze.
Fin qui la norma apparirebbe corretta, ed in qualche modo il fare ricadere in capo ad un organo sovraordinato superiore il potere in questione (tra i quali il Presidente della Giunta Regionale) con i vincoli specificamente indicati sembra voler esprimere la tendenza del legislatore a limitare l’uso e l’abuso di detta prassi.
 
Ma ecco che inevitabilmente, la stratificazione dei diversi interventi di questo testo fatto a strati emerge anche in questa sede in modo prepotente giacché il concetto così espresso trova subito, poi, alla fine incollata in calce una eccezione, sostanzialmente e di fatto demolitoria, al quarto comma, laddove si prevede prima che queste ordinanze non possono essere reiterate per più di due volte (e fin qui il limite sarebbe oggettivo ed accettabile); ma poi, con la solita formula generica della esistenza di «comprovate necessità» (concetto entro il quale si può far rientrare tutto e il contrario di tutto) il Presidente della Regione d’intesa con il Ministero dell’ambiente può adottare le stesse ordinanze anche oltre i predetti termini.
Ecco, dunque, che il sistema delle eccezioni che vanifica la norma base appare in questo caso estremamente esemplificativo.
Di fatto quest’ultima disposizione, per la quale va rilevato che non sussiste un termine massimo prestabilito, significa che potrebbe reiterarsi in futuro l’infausta prassi già verificatasi sotto la vigenza del D.P.R. 915/82 semplicemente con uno spostamento di competenze amministrative ma sostanzialmente senza alcun vincolo pregiudiziale espresso e soprattutto, senza alcuna termine finale affatto espresso e quindi in teoria anche ad infinitum.
Sul tema va tuttavia registrata una importante sentenza della Cassazione: «In materia di smaltimento di rifiuti, poiché l’ordinanza contingibile ed urgente, disciplinata prima dall’art. 12 del D.P.R. n. 915/82 ed ora dall’art. 13 del D.L.vo n. 22/97, può comportare una lesione di diritti soggettivi, il giudice penale ha il potere-dovere di applicare tale ordinanza solo in quanto sia conforme alle prescrizioni delle leggi suddette, ai sensi dell’art. 5 della L. n. 2248/1865, all. E.» (Cass. pen., sez. III, 15 aprile 1998, n. 377, Pioletti).
Nella motivazione si legge: «(...) Va considerato che l’ordinanza contingibile e urgente disciplinata prima dall’articolo 12 del D.P.R. n. 915/82 e ora dall’art. 13 del D.L.vo n. 22/97 ha natura e funzione giuridica diversa dall’autorizzazione prescritta prima dall’art. 6, lett. e), D.P.R. n. 915/82 e ora dell’art. 28 del D.L.vo 22/1997. Questa autorizzazione tende a rimuovere un ostacolo al libero esercizio del diritto di gestire professionalmente l’attività di smaltimento e recupero dei rifiuti, tanto che gestire lo smaltimento senza l’autorizzazione integra un reato (rispettivamente previsto dall’art. 25 del D.P.R. 915/82 e dall’art. 51 D.L.vo 22/97). L’ordinanza contingibile e urgente, invece, ha la funzione di consentire in situazioni eccezionali il ricorso a forme straordinarie di gestione dei rifiuti anche in deroga alla normativa vigente, e per conseguenza può configurarsi come causa speciale di giustificazione per quelle attività di smaltimento che integrerebbero reato ai sensi della normativa vigente, ma che vengono discriminate solo per effetto dal ordinanza straordinaria. Da questa differenza ontologica e funzionale dei due provvedimenti amministrativi - ad avviso del collegio - derivano conseguenze importanti, in particolare riguardo al potere di sindacato che compete al giudice penale relativamente agli stessi provvedimenti. In ordine alla autorizzazione regionale per lo smaltimento dei rifiuti, infatti, sono pacificamente applicabili, o almeno sono generalmente applicati, i principi elaborati dalla nota sentenza Giordano delle sezioni unite, secondo cui il giudice penale non ha, ai sensi degli artt. 4 e 5 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, il potere di disapplicare gli atti amministrativi illegittimi (...)». La Corte precisa dunque che l’ ordinanza in questione che travalica i limiti di legge comporta «(...) una lesione di diritti soggettivi (...)» e da qui «(...) deriva il potere-dovere del giudice ordinario di applicare detta ordinanza solo in quanto sia conforme alla legge, ai sensi dell’art. 5 della legge 5 marzo 1865, n. 2248, all. E. In particolare il giudice penale dovrà sindacare la legittimità dell’ordinanza e potrà valutarla come discriminante speciale solo in quanto conforme alla legge. In tal senso, con varie motivazioni, è la giurisprudenza prevalente di questa Corte, laddove ha statuito il potere-dovere del giudice penale di verificare i presupposti di legittimità delle ordinanze contingibili e urgenti in materia di rifiuti (fra tutte Cass., sez. III, 21 gennaio 1994, n. 2180 (c.c. 21 ottobre 1993), P.M. in proc. Baffoni; Cass., sez. III, del 23 marzo 1994, n. 3511 (ud. 17 gennaio 1994) Cerchiara).
Siffatta conclusione risulta ancor più evidente dall’esame delle innovazioni che il D.L.vo n. 22/97 ha apportato all’istituto delle ordinanze contingibili e urgenti. Per quello che interessa ai nostri fini, infatti, l’art. 13 di questo decreto - come l’omologo art. 12 del D.P.R. n. 915/82 - affida al presidente della giunta regionale il potere di emanare ordinanze straordinarie per consentire il ricorso temporaneo a speciali forme di gestione dei rifiuti, anche in deroga alle disposizioni vigenti; ma - in aggiunta al predetto art. 12 - introduce ulteriori requisiti, e precisamente:
-fa «salvo quanto previsto dalle disposizioni vigenti in materia di tutela ambientale, sanitaria e di pubblica sicurezza»;
-richiede che «non si possa altrimenti provvedere»;
-richiede come presupposto una «situazione eccezionale e urgente necessità di tutela della salute pubblica e dell’ambiente» (anziché di tutela della salute pubblica o dell’ambiente, come richiedeva la norma previgente);
 
-inserisce come condizione che l’ordinanza non produca «conseguenze di danno o di pericolo per la salute e per l’ambiente» (secondo il testo originario) ovvero che l’ordinanza garantisca «un elevato livello di tutela della salute e dell’ambiente» (secondo il testo modificato dal D.L.vo 8 novembre 1997, n. 389);
-prescrive che l’ordinanza indichi specificamente «le norme a cui intende derogare»;
-dispone che l’ordinanza venga adottata su parere obbligatorio degli organi tecnici o tecnici-sanitari, che lo esprimono con specifico riferimento riferimento alle conseguenze ambientali;
-introduce come termine di efficacia dell’ordinanza quello massimo di sei mesi;
-vieta la reiterazione delle ordinanze più di due volte, salvo potere di deroga in casi di comprovata necessità, d’intesa con il ministro dell’ambiente;
-prescrive, infine, che entro centoventi giorni dalla ordinanza, il presidente della giunta regionale adotti e promuova le iniziative necessarie per garantire la raccolta differenziata, il riutilizzo, il riciclaggio e lo smaltimento dei rifiuti.
Da queste innovazioni risulta evidente l’intento del legislatore del 1997 di predisporre ulteriori limiti e vincoli al potere di emanare ordinanze contingibili e urgenti, proprio a tutela dei diritti soggettivi individuati e collettivi in tema di salute e di ambiente. Ne deriva per il giudice penale un più penetrante dovere di controllo sul rispetto di quei limiti e quei vincoli, cioè sulla legittimità dell’ordinanza, al fine di garantire i diritti alla salute e all’ambiente, che costituiscono i beni tutelati dalle norme penali in materia di rifiuti. (...)».
Nella fattispecie risultava che l’ordinanza contingibile emanata esplicitamente sulla base dell’art. 13 del D.L.vo 22/97, era stata preceduta da numerose altre ordinanze contigibili, emanata dal 1991 al febbraio 1996, sulla base dell’art. 12 del D.P.R. 915/82 (...)» e dunque la Cassazione censura tale prassi prospettando l’ipotesi di uno sviamento di potere, e più esattamente una deviazione dell’atto dalle sue finaltià istituzionali, allo scopo di eludere fraudolentemente la disciplina di legge, ledendo in tal modo i diritti tutelati dalla legge stessa.
Ed ancora: «Con riguardo al reato di gestione di discarica non autorizzata, non è idonea a scriminare la condotta del sindaco l’adozione di ordinanza contingibile ed urgente ai sensi dell’art. 12 del D.P.R. n. 915/82 (ora prevista dall’art. 13 del D.L.vo n. 22/97), con efficacia protratta per oltre un quinquennio, essendo palese manistazione di uno sconfinamento dal potere extra ordinem riconosciuto dall’ordinamento dell’Autorità comunale». (Cass., sez. III, 29 maggio 1998, n. 6292, Tridico).
 
 
Art. 14 (Divieto di abbandono)
1. L’abbandono e il deposito incontrollati di rifiuti sul suolo e nel suolo sono vietati.
2. È altresì vietata l’immissione di rifiuti di qualsiasi genere, allo stato solido o liquido, nelle acque superficiali e sotterranee.
3. Fatta salva l’applicazione delle sanzioni di cui agli articoli 50 e 51, chiunque viola i divieti di cui ai commi 1 e 2 è tenuto a procedere alla rimozione, all’avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa. Il sindaco dispone con ordinanza le operazioni a tal fine necessarie ed il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all’esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate.
4. Qualora la responsabilità del fatto illecito di cui al comma 1 sia imputabile ad amministratori o rappresentanti di persona giuridica, ai sensi e per gli effetti del comma 3 sono tenuti in solido la persona giuridica ed i soggetti che subentrano nei diritti della persona stessa.
 
 
(1) Questo articolo prevede il principio-base (che caratterizza tutto l’impianto del D.L.vo n. 22/1997) del divieto di abbandono e di deposito incontrollato di rifiuti sul suolo e nel suolo; analogamente lo stesso articolo vieta la parallela immissione di rifiuti di qualsiasi genere allo stato solido o liquido nelle acque superficiali e sotterranee.
Il sistema sanzionatorio conseguente è articolato negli artt. 50 e 51.
In primo luogo, si rileva che alla luce delle evoluzioni normative ed applicative appare rafforzata la nostra interpretazione iniziale (esposta nelle precedenti edizioni di questo codice) in base alla quale detto art. 50 riguarda la fattispecie dell’abbandono/deposito incontrollato di rifiuti operato da privati cittadini, mentre se la stessa attività illecita è commessa da un titolare di ente o impresa si applica la sanzione penale di cui all’art. 51, secondo comma.
Ed infatti la novella apportata dal «Ronchi-bis» al testo originario del decreto inserisce preliminarmente all’inizio del comma primo dell’art. 50 l’inciso «fatto salvo quanto disposto dall’art. 51 comma secondo».
Il che significa, in modo dichiaratamente espresso, che la previsione dell’art. 51, comma secondo è fattispecie totalmente e sostanzialmente diversificata rispetto al corpo di previsione dall’art. 50: poiché l’art. 51, comma secondo prevede espressamente l’abbandono-deposito incontrollato operato da titolari d’impresa e responsabili di enti (con comportamento assolutamente identico e parallelo rispetto a quello previsto dall’art. 50) , appare chiarissimo che lo stesso comportamento viene diversificato a livello di responsabilità soggettiva.
Infatti a parità di abbandono o deposito incontrollato, se il soggetto è un privato va incontro alla sanzione amministrativa di cui all’art. 50, primo comma, mentre se è un responsabile di impresa o ente è soggetto alla sanzione penale di cui all’art. 51 secondo comma.
Evidentemente con ciò il legislatore ha ritenuto potenzialmente più pericolosa l’attività illecita da parte di quest’ultima categoria di persone rispetto a quella dei privati.
In calce al primo comma dell’art. 50 (che, giova ripeterlo, vede il divieto basilare di abbandono/deposito incontrollato da parte dei privati) è stata inserita una ipotesi sanzionatoria minore nel caso in cui il comportamento illecito riguardi un abbandono (e non anche un deposito incontrollato) soltanto sul suolo (e non anche nelle acque) di rifiuti non pericolosi e non ingombranti.
In tal caso il privato in luogo della sanzione amministrativa da euro 103 a euro 619 soggiace alla sanzione amministrativa ridotta da euro 25 a euro 154.
Si badi, e questo va sottolineato, che detta ipotesi sanzionatoria minore non riguarda sic et simpliciter tutto l’impianto di cui all’art. 50, primo comma, ma soltanto una ipotesi specifica e selettiva.
Infatti la prima parte di detto comma riguarda un’ipotesi generale di abbandono e/o deposito incontrollato di rifiuti naturalmente sul suolo ed espressamente anche nelle acque superficiali o sotterranee (sia che si tratti di rifiuti pericolosi che non pericolosi).
Vediamo, invece, che la nuova sanzione amministrativa ridotta inserita dalla modifica normativa non riguarda tutte queste ipotesi ma prevede espressamente l’abbandono di rifiuti sul suolo (quindi implicitamente escludendo dalla sua previsione il deposito incontrollato sul suolo, nonché l’immissione nelle acque superficiali e sotterranee).
Si evidenzia l’attenzione del legislatore nella consapevolezza del maggior pericolo ambientale connesso all’abbandono di qualsiasi tipo di rifiuto nelle acque. Non è tanto per la rilevanza che nella fattispecie minore presenta il rischio quanto nel principio che si vuole affermare.
Peraltro, a livello oggettivo i rifiuti devono avere la doppia (e non alternativa) caratteristica di «rifiuti non pericolosi e non ingombranti». Il che significa, a titolo esemplificativo, che il deposito incontrollato o l’immissione in acqua di rifiuti, seppure non pericolosi e non ingombranti continua a essere disciplinato dalla prima parte dell’art. 50 e dunque il responsabile soggiace alla sanzione amministrativa di maggiore entità.
 
Si può facilmente intuire da detta rinnovata costruzione che la novella normativa è stata redatta dal legislatore per fotografare la realtà dei piccoli abbandoni quotidiani di rifiuti sul suolo (tipo il gettito in terra di lattine di bevande, il sacchetto di piccoli rifiuti durante una gita, la carta di involucro di confezioni alimentari da passeggio) i quali sarebbero altrimenti andati incontro a una sanzione amministrativa effettivamente sproporzionata.
Il legislatore ha disciplinato in modo differenziato l’abbandono e il deposito incontrollato di rifiuti, prevedendo sanzioni diverse a seconda che la fattispecie sia posta in essere dal privato cittadino o da titolari di enti o imprese, non con riferimento al soggetto che materialmente compie l’atto, ma in riferimento alla imputabilità dello stesso, indipendentemente dal soggetto che materialmente lo compie.
Si vuole cioè dire che se il cittadino abbandona rifiuti prodotti nell’esercizio di impresa risponderà non con la sanzione prevista per l’abbandono del privato ma in concorso con il responsabile dell’impresa che quei rifiuti ha prodotto (sanzione penale).
Ulteriore principio importante è stabilito nel secondo comma dell’art. 14, laddove, a parte l’irrogazione delle sanzioni (amministrative o penali secondo i casi), in ambedue i casi (violazione del divieto da parte di privato o da parte di titolari di imprese/responsabili di enti) viene stabilito l’obbligo a carico del soggetto autore dei fatti di procedere alla rimozione, all’avvio al recupero o allo smaltimento dei rifiuti e al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa.
Al riguardo è espressamente previsto che il Sindaco dispone con ordinanza le operazioni a tal fine necessarie e il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all’esecuzione in danno dei soggetti obbligati e al recupero delle somme anticipate.
Il sindaco emette una ordinanza specifica diretta verso il responsabile (in solido con i soggetti sopra menzionati obbligati alla rimozione e al ripristino dello stato dei luoghi) e costoro debbono provvedere all’attuazione. In caso di omessa ottemperanza per l’ordinanza, e questo è altro punto che va sottolineato, è prevista una sanzione penale dall’art. 50, secondo comma (arresto fino ad un anno) per chi non esegue quanto stabilito in detta ordinanza. Ma punto ancora più rilevante, è che con la sentenza di condanna (sia ordinaria che di patteggiamento) il beneficio della sospensione condizionale della pena può essere subordinato alla esecuzione di quanto stabilito nell’ordinanza e/o contenuto sostanzialmente nell’obbligo stesso non attuato.
In ordine all’inciso della responsabilità solidale tra soggetto autore dell’abbandono o deposito incontrollato e proprietario e titolare di diritti reali o personali di godimento sull’area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o di colpa, va naturalmente sottolineato che l’onere della prova ricade sull’organo di vigilanza e non potrà mai trattarsi in tali casi di responsabilità oggettiva o formale.
In altre parole, non basta verificare a livello meramente catastale (o di informazioni di altro tipo) che quell’abbandono o quel deposito incontrollato è stato effettuato sul terreno di proprietà di un soggetto o che altro soggetto sia titolare di diritti reali o personali di godimento su quell’area per farlo soggiacere automaticamente alla sanzione amministrativa per il caso di abbandono o deposito operato da un privato o denunciarlo penalmente nel caso di abbandono o deposito effettuato da titolare di impresa o ente. Infatti, la specifica posizione del proprietario o titolare di diritti sull’area va esaminata in modo più approfondito, giacché la norma correttamente ed espressamente prevede che a suo carico l’organo di vigilanza riscontri il dolo o la colpa. Dunque, la semplice titolarità dell’area non equivale a responsabilità oggettiva, né a livello amministrativo né, a maggior ragione, a livello penale. Si dovrà infatti verificare caso per caso se quel proprietario o titolare di diritti sull’area aveva in qualche modo espressamente e volontariamente autorizzato l’abbandono e il deposito incontrollato (dolo) oppure se, in ipotesi, a suo carico possa riscontrarsi una qualche forma di imprudenza, imperizia, negligenza operativa attiva o passiva tale da determinare una colpa in senso penale (naturalmente è rilevante anche la colpa omissiva nella mancata vigilanza attiva o segnalazione tempestiva alle autorità di un fatto nel quale egli non ha avuto un ruolo di concorso, ma che ha passivamente e quindi colpevolmente tollerato per un certo periodo di tempo).
Se non sussiste la dimostrazione del dolo o della colpa, secondo i principi generali dell’ordinamento, il proprietario o il responsabile dell’area non può essere chiamato a rispondere di tale sistema sanzionatorio. Va ribadito e sottolineato che l’onere della prova, in questo come del resto in tutti gli altri casi, non può essere invertito e dunque ricade sull’organo di vigilanza l’incombenza di dimostrare questa sussistenza di elemento soggettivo a carico di tali figure.
 
Va ancora rilevato, a livello squisitamente di prassi di principio, che l’organo di vigilanza non deve naturalmente limitarsi ad attivare la procedura per l’irrogazione della sanzione amministrativa (caso di soggetto privato) o ad inoltrare la comunicazione di notizia di reato al Pubblico Ministero (caso di responsabile di ente o impresa) ma deve contestualmente, con atto separato a parte, informare il sindaco del luogo ove è ubicato il sito di quanto accaduto fornendo sia gli estremi del fatto che, soprattutto, le generalità del soggetto individuato come responsabile.
Infatti il sindaco deve essere messo in condizione conoscitiva formale per poter poi immediatamente redigere l’ordinanza prevista dalla legge. Quindi l’informativa che l’organo di vigilanza (anche se di polizia giudiziaria, e non puramente di vigilanza amministrativa) dovrà inviare al sindaco, assume primaria importanza in questo senso e non va sottovalutata, giacché senza detta informativa il sindaco non ha conoscenza del fatto e quindi non potrà emettere l’ordinanza.
Ma al di là dell’ordinanza sindacale, che riveste sicuramente importantissimo rilievo di principio, non va dimenticato che l’organo di vigilanza nel momento in cui coglie sul fatto un soggetto (privato o titolare di impresa-ente) mentre abbandona o effettua deposito incontrollato di rifiuti sul suolo (o comunque li riversa illecitamente nelle acque) , al di là della perseguibilità con il sistema sanzionatorio sopra evidenziato, conserva pur sempre a nostro avviso un potere di ordine immediato affinché le conseguenze antigiuridiche di quel comportamento vengano spezzate e immediatamente rimosse. In altre parole riteniamo che, nella immediatezza e flagranza del fatto, l’organo di vigilanza può comunque intimare legittimamente al soggetto responsabile l’immediata rimozione ed asporto dei rifiuti che stava in quel momento abbandonando o comunque depositando in modo incontrollato. Tale ordine deve essere considerato legittimo nel contesto di motivi di igiene (e comunque anche di giustizia in senso lato).
La mancata osservanza di detto ordine (legalmente dato per motivi urgenti inerenti l’igiene e la giustizia) integra a nostro avviso senza dubbio la contravvenzione di cui all’art. 650 c.p., essendo l’organo di vigilanza in quel caso considerato autorità agli effetti dello stesso art. 650 c.p.
Questo, indipendentemente e preventivamente rispetto comunque alla segnalazione che l’organo stesso invierà al sindaco per la successiva ordinanza formale che resta sempre prassi stabilita dalla legge e quindi da osservare.
Va ancora svolta qualche osservazione sul concetto di deposito incontrollato. Se il concetto di abbandono è chiaro e lineare, il concetto di deposito incontrollato può dar luogo a qualche perplessità giacché la legge non lo stabilisce in modo espresso.
Del resto crediamo che la dizione debba essere interpretata a livello letterale, e cioè deposito incontrollato non può essere che quello di un cumulo di rifiuti sistemato in qualche sito che appaia con caratteristiche pericolose per l’ambiente e la salute pubblica appunto perché attuato attraverso sistemi privi di un controllo logico-operativo e quindi si trovi all’opposto dei concetti espressamente codificati del deposito temporaneo (controllato) e dello stoccaggio in linea generale.
Quindi il deposito incontrollato è letteralmente un deposito che venga eseguito in un sito presumibilmente che determini un pericolo di conseguenze negative per l’ambiente e la pubblica incolumità e che quindi esuli dai concetti rigidamente schematici previsti dalla legge in ordine, ad esempio, al deposito temporaneo (sottinteso: controllato) di rifiuti, lo stoccaggio e le altre attività di gestione dei rifiuti stessi.
Il presente articolo stabilisce dunque con il divieto di abbandono un concetto cardine per una normativa di settore. In realtà il concetto espresso in detto articolo è strettamente sinergico con il carattere ambientalista della norma in questione come sopra espresso ed evidenziato e con quanto espressamente esposto nell’articolo 2 in ordine alla necessità di tutela dell’ambiente naturale.
Va sottolineato infatti il principio di sbarramento generale laddove proibisce in senso assoluto l’abbandono e il deposito incontrollato di rifiuti sul suolo e nel suolo e l’immissione di rifiuti di qualsiasi genere allo stato solido o liquido, nelle acque superficiali e sotterraneo.
È questo un principio importantissimo, che conforta e legittima il carattere di disciplina ambientale-quadro delle previsioni del decreto in esame in quanto, giova ribadirlo in altre discipline di settore (in primo luogo il D.L.vo n. 152/99) analoghi divieti di sbarramento di fondo non sono affatto previsti.
Del resto tutta la costruzione in ordine alla gestione dei rifiuti è conseguente a questo divieto primario, ed anzi potremmo dire il divieto stabilito dall’articolo 14 è la base iniziale sulla quale poi va costruito tutta l’impianto giuridico del decreto legislativo in esame giacché, premesso che è proibito abbandonare i rifiuti solidi e liquidi sul suolo nel sottosuolo e nelle acque superficiali e sotterranee, si devono stabilire attraverso quale prassi i rifiuti, che oggettivamente esistono e sempre esisteranno, devono essere gestiti e in qualche modo smaltiti o riutilizzati.
L’articolo 14 rappresenta, dunque, a nostro avviso un momento fondamentale in ordine all’impianto di tutto il decreto in esame.
 
Art. 15 (Trasporto dei rifiuti)
1. Durante il trasporto effettuato da enti o imprese i rifiuti sono accompagnati da un formulario di identificazione dal quale devono risultare, in particolare, i seguenti dati:
a) nome ed indirizzo del produttore e del detentore;
b) origine, tipologia e quantità del rifiuto (3) (4);
c) impianto di destinazione;
d) data e percorso dell’istradamento;
e) nome ed indirizzo del destinatario.
2. Il formulario di identificazione di cui al comma 1 deve essere redatto in quattro esemplari, compilato, datato e firmato dal detentore dei rifiuti, e controfirmato dal trasportatore. Una copia del formulario deve rimanere presso il detentore, e le altre tre, controfirmate e datate in arrivo dal destinatario, sono acquisite una dal destinatario e due dal trasportatore, che provvede a trasmetterne una al detentore. Le copie del formulario devono essere conservate per cinque anni.
3. Durante la raccolta ed il trasporto i rifiuti pericolosi devono essere imballati ed etichettati in conformità alle norme vigenti in materia.
4. Le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano al trasporto di rifiuti urbani effettuato dal soggetto che gestisce il servizio pubblico né ai trasporti di rifiuti che non eccedano la quantità di trenta chilogrammi al giorno o di trenta litri al giorno effettuati dal produttore dei rifiuti stessi (1).
5. Il modello uniforme di formulario di identificazione di cui al comma 1 è adottato entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto (5).
5 bis. I formulari di identificazione di cui al comma 1 devono essere numerati e vidimati dall’ufficio del registro o dalle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, e devono essere annotati sul registro IVA-acquisti. La vidimazione dei predetti formulari di identificazione è gratuita e non è soggetta ad alcun diritto o imposizione tributaria.
 
 
(1) Le parole da: «... né ai trasporti ...» fino al punto sono state aggiunte dall’art. 4, comma 23, della L. 9 dicembre 1998, n. 426.
(2) Il trasporto dei rifiuti oggi, dopo l’entrata in vigore del D.L.vo n. 152/99 sugli scarichi, non riguarda più soltanto i rifiuti in senso stretto ma anche quella vastissima categoria di ex «scarichi indiretto» che oggi assumono la veste giuridica nuova di «rifiuti liquidi costituiti da acque reflue» e sfuggono quindi alla disciplina del decreto-acque per essere assorbiti nelle regole del decreto 22/97. È questa una realtà nuova che interesse un numero elevatissimo di aziende ed anche la pubblica ammpinistrazione. Il tema è approfonditamente trattato nella introduzione delo capitolo acque in riferilmento al confinre tra i due decreti circa lo scarico ed il rifiuto liquido.
In linea generale, va osservato che il trasporto è stato da sempre, e lo sarà per il futuro, uno dei punti vitali dal sistema di gestione di rifiuti ed uno dei punti di maggiore interesse e pericolosità entro tale sistema, in quanto è noto che l’ecomafia concentra proprio sul traffico dei rifiuti i propri affari. Appare infatti inevitabile che i rifiuti pericolosi smaltiti in modo illecito devono partire dal sito aziendale per raggiungere le discariche abusive della criminalità organizzata, e ciò avviene attraverso un viaggio. Concetto elementare, ma apparentemente spesso sottovalutato.
Peraltro non si deve considerare soltanto il trasporto dei rifiuti al quale è interessata la criminalità organizzata di grande livello, ma vi è a livello regionale o anche provinciale una microrealtà di piccole attività di smaltimento abusivo di rifiuti mediante trasporti attraverso aziende di comodo o piccoli privati giuridicamente inesistenti, le quali seppur non raggiungono i livelli di intensità sistematica dell’ecomafia, comunque rappresentano una insidiosa realtà di gravissimo danno ambientale perché tutti insieme hanno intessuto una diffusa ragnatela di microilleicità le quali, sommate tutte insieme, danno luogo ad un vero e proprio stile di vita diffuso improntato a violazione sistematica delle norme.
È dato di fatto ormai noto, e soltanto chi è in malafede può sostenere il contrario, che la maggiore pericolosità in materia di smaltimento illecito di rifiuti viaggia su ruote ed in altre parole, dato l’elevatissimo flusso di trasporto di rifiuti pericolosi a livello interregionale a favore dell’ecomafia e a livello regionale o provinciale a favore delle microviolazioni diffuse, è proprio sulle strade che un’intesa e intelligente (oltre che professionalmente competente) attività di vigilanza e controllo può trovare agevolmente le prove dei traffici illeciti di rifiuti.
L’articolo 15 del decreto legislativo disciplina, dunque, proprio questa delicatissima e pericolosissima realtà del trasporto dei rifiuti. Ma a nostro avviso, lo fa in modo del tutto insoddisfacente.
In pratica, il viaggio di colui che trasporta i rifiuti deve essere accompagnato da un formulario di identificazione dal quale devono risultare il nome e l’indirizzo del produttore e del detentore, l’originale, la tipologia e la quantità del rifiuto, l’impianto di destinazione, la data e il percorso dell’istradamento, il nome e l’indirizzo del destinatario. Detto formulario deve essere redatto in quattro esemplari, compilato e firmato dal detentore dei rifiuti e controfirmato dal trasportatore, cosìcche una copia rimane presso il detentore e le altre tre, controfirmate e datate in arrivo dal destinatario, sono acquisite una dal destinatario stesso e due dal trasportatore che provvede a trasmetterne una al detentore. La responsabilità solidale del detentore iniziale cessa soltanto a questo punto o se, non ricevendo entro tre mesi la quarta copia controfirmata, denuncia il fatto alla Provincia.
 
Il sistema si presenta potenzialmente efficace nel senso che finalmente, al contrario di quanto accadeva nel contesto stratificato dal D.P.R. 915/82, è finalmente stabilito in modo chiaro e schematico quale deve essere il documento che deve accompagnare il viaggio dei rifiuti e dunque per l’operatore di vigilanza su strada sembrano aprirsi spazi di chiarezza in ordine al controllo perché, in fin dei conti e a ben guardare, si deve verificare passo per passo a livello documentale sullo stesso atto partenza, viaggio, destinazione e natura dei rifiuti.
Il sistema sanzionatorio, punto vitale per l’applcazione del principio teorico, é così impostato in modo piuttosto articolato. Per un approfondimento di tutto il tema del trasporto dei rifiuti (anche in relazione al sistema sanzionatorio) rinviamo alle introduzioni del presente capitolo e del capitolo sulle acque ove l’argomento è trattato in modo completo (anche in relazione alla figura dell’intermediario che opera il trasporto).
(3) Si veda il D.M. 1 giugno 1998, n. 145.
(4) Va evidenziato che nel caso in cui il formulario dei rifiuti non venga compilato nella parte relativa alla quantità, ma venga però indicato il numero dei colli trasportati, si evidenzia una incompletezza del formulario stesso.
La struttura formale del decreto n. 22/97 presuppone e prevede che nel formulario di identificazione debba essere indicata la quantità dei rifiuti trasportati. Questo è certamente un campo del formulario estremamente importante e rilevante, in quanto la quantità è elemento essenziale per la corretta qualificazione e verifica del viaggio. Perché un viaggio senza quantità indicata è un viaggio che può essere spacciato in modo fraudolento in una maniera ripetitiva, senza alcun tipo di controllo. Quindi l’elemento quantità è per forza di cose essenziale nella struttura del formulario.
Deve essere un elemento veritiero e non meramente formale e virtuale, ma deve riportare effettivamente la reale portata quantitativa dei rifiuti trasportati. Quindi evidentemente il sistema sanzionatorio, laddove va a colpire pesantemente la mancata indicazione dei punti essenziali del formulario anche in ordine soprattutto alla quantità sottintende che la sanzione è prevista per quell’attività fraudolenta che tende ad inibire il controllo su strada non mettendo in condizione l’operatore di verifica di appurare quanto rifiuto viene trasportato.
Di conseguenza, potremmo argomentare che in linea generale viene violato sostanzialmente (e non soltanto in modo meramente formale) questo campo del formulario laddove la percezione immediata in loco durante un controllo su strada dell’elemento quantitativo del rifiuto trasportato sia inibita all’organo di controllo. Questo accade naturalmente laddove la quantità non sia affatto indicata o addirittura in quei casi ibridi (da taluno maldestramente avallati) in base al quale la quantità viene indicata «a destino». Durante il percorso il campo viene lasciato in bianco e soltanto una volta arrivato a destinazione il rifiuto viene pesato e viene riempito il formulario. Un escamotage a disposizione di tutti coloro che vogliono viaggiare con un formulario in bianco senza riportare l’indicazione sulla quantità del rifiuto, sfuggendo così ad ogni controllo.
Le omissioni totali, grossolane o in modo più sofisticato mascherate sotto il profilo della indicazione «a destino» rientrano certamente nel sistema sanzionatorio previsto dal decreto n. 22/97.
Nel caso in cui un trasportatore effettui durante il percorso più viaggi per diversi mittenti verso un unico destinatario, caricando sul proprio mezzo più colli degli stessi rifiuti, deve raccogliere i rifiuti ben confezionati nelle forme rituali e identificabili già all’origine (e quindi in itinere verso il destino) per quantità e qualità. In altre parole su ogni collo (leggi in pratica contenitore sigillato e repertato) deve essere indicata non soltanto la qualità del rifiuto ma anche la quantità contenuta. In tal caso non vi è dubbio che, leggendo la norma in modo sostanziale e non meramente formale, il quantitativo dei rifiuti è frazionato per ogni contenitori e dunque la somma dei contenitori ci dà, mittente per mittente, viaggio per viaggio, la somma complessiva della quantità sostanziale dei rifiuti trasportati.
Quindi una modesta deroga sostanziale alla compilazione del formulario potrebbe ragionevolmente consentire di accettare come conforme alla norma questa ipotesi. Anche perché in tal caso non vi sarebbe attività fraudolenta in quanto l’inibizione verso l’organo di controllo è praticamente inesistente e l’eventuale frode sarebbe comunque immediatamente percepibile semplicemente pesando uno o più dei contenitori trasportati.
Se invece si pretende di trasportare contenitori pre-sigillati che indicano soltanto la qualità del rifiuto, ma non anche la quantità specifica per ogni scatolone, appellandosi alla citata concettualità (del tutto infondata) della verifica «a destino» torniamo al caso di illegalità sopra precisato. Infatti non vi è alcuna differenza tra l’ipotesi di colui che carica rifiuti allo stato libero e non preconfezionati su un camion e pretende di viaggiare fino all’impianto di destinazione finale senza indicare minimamente nessuna quantità salvo riempire al momento del riversamento nell’impianto finale il formulario, e coloro che caricano una serie di pacchi preconfezionati i quali riportano soltanto la qualità del rifiuto ma non anche la quantità, assumendo la stessa pretesa di peso finale «a destino». In tal caso la norma viene violata in modo palese e il sistema sanzionatorio del decreto n. 22/97 naturalmente è applicabile.
 
(5) È corretto trasportare rifiuti senza indicare in partenza il peso (magari per difficoltà tecniche di pesatura nell’azienda committente) e trascrivere solo il peso «a destino» e cioè al momento dell’arrivo presso il sito finale? L’allegato B del D.M. 1 aprile 1998, n. 145, riporta il modello di formulario di accompagnamento dei rifiuti. Al punto (6), relativo alle quantità da dichiarare, vi sono due opzioni: «(-) kg o litri» oppure« (-) Peso da verificarsi a destino». È dunque possibile indicare solo la seconda, specialmente in caso di difficoltà di valutazione precisa del peso dei rifiuti trasportati?
No, ciò costituisce palese violazione del regime del formulario (come abbiamo già in precedenza evidenziato). Infatti il D.M. 1° aprile 1998, n. 145 recante il formulario di accompagnamento dei rifiuti ex art. 15, D.L.vo 22/1997:  allegato B, casella 6, «Quantità». Sul punto l’allegato C al medesimo D.M. 145/1998 chiarisce che in tale casella (6) «dovranno» essere riportati le «quantità di rifiuti trasportati espressa in kg o in litri (in partenza o da verificare a destino)».
In ordine a tale ultimo punto (in partenza o da verificare a destino) con la Circolare 4 agosto 1998, i Ministeri dell’ambiente e dell’industria hanno chiarito che «alla voce "quantità" della casella 6, terza sezione, dell’allegato B, al decreto ministeriale n. 145/1998, deve sempre essere indicata la quantità di rifiuti trasporti. Inoltre dovrà essere contrassegnata la casella (...) relativa alla voce "peso da verificarsi a destino" nel caso in cui per la natura del rifiuto o per l’indisponibilità di un sistema di pesatura si possano, rispettivamente, verificare variazioni di peso durante il trasporto o una non precisa corrispondenza tra la quantità di rifiuti in partenza e quella a destinazione».
Ciò significa che le due opzioni non sono alternative.
In altri termini è sempre necessario indicare la quantità di rifiuti in kg o in litri, ed è proprio solo nei casi in cui vi sia la concreta impossibilità a misurare con una certa precisione il peso del carico è possibile barrare anche la seconda opzione che, sostanzialmente, funge da «liberatoria» in caso di divergenze anche notevoli tra il peso dichiarato e quello reale, anche e specialmente per evitare possibili episodi di frode.
 
Art. 16 (Spedizioni transfrontaliere)
 1. Le spedizioni transfrontaliere dei rifiuti sono disciplinate dal regolamento CEE n. 259/93 del Consiglio dell’1 febbraio 1993, e successive modifiche ed integrazioni.
2. Sono fatti salvi ai sensi dell’articolo 19 del regolamento CEE n. 259/93, gli accordi in vigore tra lo Stato della Città del Vaticano, la Repubblica di San Marino e la Repubblica italiana. Alle importazioni di rifiuti solidi urbani e assimilati provenienti dallo Stato della Città del Vaticano e dalla Repubblica di San Marino non si applicano le disposizioni di cui all’articolo 20 del regolamento CEE n. 259/93.
3. Entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto il Ministro dell’ambiente, di concerto con i Ministri dell’industria, del commercio e dell’artigianato, della sanità, del tesoro e dei trasporti e della navigazione, nel rispetto delle norme del regolamento CEE n. 259/93 disciplina:
a) i criteri per il calcolo degli importi minimi delle garanzie finanziarie da prestare per le spedizioni dei rifiuti, di cui all’articolo 27 del regolamento;
b) le spese amministrative poste a carico dei notificatori ai sensi dell’articolo 33, paragrafo 1, del regolamento;
c) le specifiche modalità per il trasporto dei rifiuti prodotti negli Stati di cui al comma 2.
4. Ai sensi e per gli effetti del regolamento:
a) le autorità competenti di spedizione e di destinazione sono le regioni e le province autonome;
b) l’autorità di transito è il Ministero dell’ambiente;
c) corrispondente è il Ministero dell’ambiente.
5. Le regioni e le province autonome comunicano le informazioni di cui all’articolo 38 del regolamento CEE n. 259/93 al Ministero dell’ambiente, per il successivo inoltro alla Commissione dell’Unione Europea.
 
 
Art. 17 (Bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati)
1. Entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto il Ministro dell’ambiente, avvalendosi dell’Agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente (ANPA) (1), di concerto con i Ministri dell’industria, del commercio e dell’artigianato e della sanità, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, definisce:
a) i limiti di accettabilità della contaminazione dei suoli, delle acque superficiali e delle acque sotterranee in relazione alla specifica destinazione d’uso dei siti;
b) le procedure di riferimento per il prelievo e l’analisi dei campioni;
c) i criteri generali per la messa in sicurezza, la bonifica ed il ripristino ambientale dei siti inquinati, nonché per la redazione dei progetti di bonifica;
c bis) tutte le operazioni di bonifica di suoli e falde acquifere che facciano ricorso a batteri, a ceppi batterici mutanti, a stimolanti di batteri naturalmente presenti nel suolo al fine di evitare i rischi di contaminazione del suolo e delle falde acquifere.
1 bis. I censimenti di cui al decreto del Ministro dell’ambiente 16 maggio 1989, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 121 del 26 maggio 1989, sono estesi alle aree interne ai luoghi di produzione, raccolta, smaltimento e recupero dei rifiuti, in particolare agli impianti a rischio di incidente rilevante di cui al decreto del Presidente della Repubblica 17 maggio 1988, n. 175, e successive modificazioni. Il Ministro dell’ambiente dispone, eventualmente attraverso accordi di programma con gli enti provvisti delle tecnologie di rilevazione più avanzate, la mappatura nazionale dei siti oggetto dei censimenti e la loro verifica con le regioni.
2. Chiunque cagiona, anche in maniera accidentale, il superamento dei limiti di cui al comma 1, lettera a), ovvero determina un pericolo concreto ed attuale di superamento dei limiti medesimi, è tenuto a procedere a proprie spese agli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale delle aree inquinate e degli impianti dai quali deriva il pericolo di inquinamento. A tal fine:
a) deve essere data, entro 48 ore, notifica al Comune, alla Provincia ed alla Regione territorialmente competenti, nonché agli organi di controllo sanitario e ambientale, della situazione di inquinamento ovvero del pericolo concreto ed attuale di inquinamento del sito;
b) entro le quarantotto ore successive alla notifica di cui alla lettera a), deve essere data comunicazione al Comune ed alla Provincia ed alla Regione territorialmente competenti degli interventi di messa in sicurezza adottati per non aggravare la situazione di inquinamento o di pericolo di inquinamento, contenere gli effetti e ridurre il rischio sanitario ed ambientale;
c) entro trenta giorni dall’evento che ha determinato l’inquinamento ovvero dalla individuazione della situazione di pericolo, deve essere presentato al Comune ed alla Regione il progetto di bonifica delle aree inquinate.
3. I soggetti e gli organi pubblici che nell’esercizio delle proprie funzioni istituzionali individuano siti nei quali i livelli di inquinamento sono superiori ai limiti previsti, ne danno comunicazione al Comune, che diffida il responsabile dell’inquinamento a provvedere ai sensi del comma 2, nonché alla Provincia ed alla Regione.
4. Il Comune approva il progetto ed autorizza la realizzazione degli interventi previsti entro novanta giorni dalla data di presentazione del progetto medesimo e ne dà comunicazione alla Regione. L’autorizzazione indica le eventuali modifiche ed integrazioni del progetto presentato, ne fissa i tempi, anche intermedi, di esecuzione, e stabilisce le garanzie finanziarie che devono essere prestate a favore della Regione per la realizzazione e l’esercizio degli impianti previsti dal progetto di bonifica medesimo. Se l’intervento di bonifica e di messa in sicurezza riguarda un’area compresa nel territorio di più comuni il progetto e gli interventi sono approvati ed autorizzati dalla regione.
5. Entro sessanta giorni dalla data di presentazione del progetto di bonifica la Regione può richiedere al Comune che siano apportate modifiche ed integrazioni ovvero stabilite specifiche prescrizioni al progetto di bonifica.
6. Qualora la destinazione d’uso prevista dagli strumenti urbanistici in vigore imponga il rispetto di limiti di accettabilità di contaminazione che non possono essere raggiunti neppure con l’applicazione delle migliori tecnologie disponibili a costi sopportabili, l’autorizzazione di cui al comma 4 può prescrivere l’adozione di misure di sicurezza volte ad impedire danni derivanti dall’inquinamento residuo, da attuarsi in via prioritaria con l’impiego di tecniche e di ingegneria ambientale, nonché limitazioni temporanee o permanenti all’utilizzo dell’area bonificata rispetto alle previsioni degli strumenti urbanistici vigenti, ovvero particolari modalità per l’utilizzo dell’area medesima. Tali prescrizioni comportano, ove occorra, variazione degli strumenti urbanistici e dei piani territoriali.
6 bis. Gli interventi di bonifica dei siti inquinati possono essere assistiti, sulla base di apposita disposizione legislativa di finanziamento, da contributo pubblico entro il limite massimo del 50 per cento delle relative spese qualora sussistano preminenti interessi pubblici connessi ad esigenze di tutela igienico-sanitaria e ambientale o occupazionali. Ai predetti contributi pubblici non si applicano le disposizioni di cui ai commi 10 e 11.
 
7. L’autorizzazione di cui al comma 4 costituisce variante urbanistica, comporta dichiarazione di pubblica utilità, di urgenza e di indifferibilità dei lavori, e sostituisce a tutti gli effetti le autorizzazioni, le concessioni, i concerti, le intese, i nulla osta, i pareri e gli assensi previsti dalla legislazione vigente per la realizzazione e l’esercizio degli impianti e delle attrezzature necessarie all’attuazione del progetto di bonifica.
8. Il completamento degli interventi previsti dai progetti di cui al comma 2, lettera c), è attestato da apposita certificazione rilasciata dalla Provincia competente per territorio.
9. Qualora i responsabili non provvedano ovvero non siano individuabili, gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale sono realizzati d’ufficio dal Comune territorialmente competente e ove questo non provveda dalla Regione, che si avvale anche di altri enti pubblici. Al fine di anticipare le somme per i predetti interventi le Regioni possono istituire appositi fondi nell’ambito delle proprie disponibilità di bilancio.
10. Gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale nonché la realizzazione delle eventuali misure di sicurezza (5) costituiscono onere reale sulle aree inquinate di cui ai commi 2 e 3. L’onere reale deve essere indicato nel certificato di destinazione urbanistica ai sensi e per gli effetti dell’articolo 18, comma 2, della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (9).
11. Le spese sostenute per la messa in sicurezza, la bonifica ed il ripristino ambientale delle aree inquinate nonché per la realizzazione delle eventuali misure di sicurezza, ai sensi dei commi 2 e 3, (6) sono assistite da privilegio speciale immobiliare sulle aree medesime, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 2748, secondo comma, del codice civile. Detto privilegio si può esercitare anche in pregiudizio dei diritti acquistati dai terzi sull’immobile. Le predette spese sono altresì assistite da privilegio generale mobiliare (2).
11 bis. Nel caso in cui il sito inquinato sia soggetto a sequestro, l’autorità giudiziaria che lo ha disposto autorizza l’accesso al sito per l’esecuzione degli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale delle aree, anche al fine di impedire l’ulteriore propagazione degli inquinanti ed il conseguente peggioramento della situazione ambientale (7).
12. Le Regioni predispongono sulla base delle notifiche dei soggetti interessati ovvero degli accertamenti degli organi di controllo un’anagrafe dei siti da bonificare che individui:
a) gli ambiti interessati, la caratterizzazione ed il livello degli inquinanti presenti;
b) i soggetti cui compete l’intervento di bonifica;
c) gli enti di cui la Regione intende avvalersi per l’esecuzione d’ufficio in caso di inadempienza dei soggetti obbligati;
d) la stima degli oneri finanziari.
13. Nel caso in cui il mutamento di destinazione d’uso di un’area comporti l’applicazione dei limiti di accettabilità di contaminazione più restrittivi, l’interessato deve procedere a proprie spese ai necessari interventi di bonifica sulla base di un apposito progetto che è approvato dal Comune ai sensi di cui ai commi 4 e 6. L’accertamento dell’avvenuta bonifica è effettuato dalla Provincia ai sensi del comma 8.
13 bis. Le procedure per gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale disciplinate dal presente articolo possono essere comunque utilizzate ad iniziativa degli interessati.
13 ter. Gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale previsti dal presente articolo vengono effettuati indipendentemente dalla tipologia, dalle dimensioni e dalle caratteristiche dei siti inquinati nonché dalla natura degli inquinamenti (8).
14. I progetti relativi ad interventi di bonifica di interesse nazionale sono presentati al Ministero dell’ambiente ed approvati, ai sensi e per gli effetti delle disposizioni che precedono, con decreto del Ministro dell’ambiente, di concerto con i Ministri dell’industria, del commercio e dell’artigianato e della sanità, d’intesa con la Regione territorialmente competente. L’approvazione produce gli effetti di cui al comma 7 e, con l’esclusione degli impianti di incenerimento e di recupero energetico, sostituisce, ove prevista per legge. la pronuncia di valutazione di impatto ambientale degli impianti da realizzare nel sito inquinato per gli interventi di bonifica (1).
15. I limiti, le procedure, i criteri generali di cui al comma 1 ed i progetti di cui al comma 14 relativi ad aree destinate alla produzione agricola e all’allevamento sono definiti ed approvati di concerto con il Ministero delle risorse agricole, alimentari e forestali.
15 bis. Il Ministro dell’ambiente, di concerto con il Ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica e con il Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato, emana un decreto recante indicazioni ed informazioni per le imprese industriali, consorzi di imprese, cooperative, consorzi tra imprese industriali ed artigiane che intendano accedere a incentivi e finanziamenti per la ricerca e lo sviluppo di nuove tecnologie di bonifica previsti dalla vigente legislazione (3).
15 ter. Il Ministero dell’ambiente e le regioni rendono pubblica, rispettivamente, la lista di priorità nazionale e regionale dei siti contaminati da bonificare (3).
 
 
(1) Le parole: «, avvalendosi dell’Agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente (ANPA)», sono state inserite dall’art. 1, comma 8, della L. 9 dicembre 1998, n. 426.
(2) Il periodo: «Le predette spese sono altresì assistite da privilegio generale mobiliare», è stato aggiunto dall’art. 1, comma 11, della L. 9 dicembre 1998, n. 426.
 
(3) Questo comma è stato aggiunto dall’art. 1, comma 9, della L. 9 dicembre 1998, n. 426.
(4) Si veda il D.M. 25 ottobre 1999, n. 471.
(5) Le parole: «nonché la realizzazione delle eventuali misure di sicurezza» sono state inserite dall’art. 9, comma 1, della L. 23 marzo 2001, n. 93.
(6) Le parole: «di cui ai commi 2 e 3» sono state così sostituite dalle attuali: «nonché per la realizzazione delle eventuali misure di sicurezza, ai sensi dei commi 2 e 3» dall’art. 9, comma 2, della L. 23 marzo 2001, n. 93.
(7) Questo comma è stato inserito dall’art. 9, comma 3, della L. 23 marzo 2001, n. 93.
(8) Questo comma è stato inserito dall’art. 9, comma 4, della L. 23 marzo 2001, n. 93.
(9) Si veda l’art. 30 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.
(10) La bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati rappresenta uno degli elementi cardine e portanti di tutto l’impianto del D.L.vo n. 22/97 sui rifiuti. Trattasi di una rilevantissima novità giuridica e procedurale per il nostro ordinamento giuridico in linea con le nuove tendenze d’intervento europeo sulle questioni ambientali. Detta procedura, fino ad oggi sottovalutata, investe e riguarda in prima e diretta persona sia le aziende, sia la pubblica amministrazione (comuni, province e regioni), sia gli organi di vigilanza in senso generale. In realtà tutta la prassi in questione vede le procedure formalmente e sostanzialmente nella fase di avvio ed applicazione concreta dopo l’emanazione da parte del Ministero dell’ambiente del relativo regolamento esecutivo. Detto provvedimento è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 15 dicembre 1999, n. 293 (supplemento numero 218/L) rendendo così esecutivo il principio.
Il decreto detta i criteri applicativi e procedurali per la pratica attuazione della procedura di bonifica prevista dall’articolo 17 in esame. La pubblicazione di tale decreto ministeriale è fondamentale e vitalizzante ai fini della attuazione della prassi di bonifica perché tutto l’impianto previsto dall’articolo 17 del decreto sui rifiuti non era operativo a livello pratico e concreto senza le formulazioni regolamentative che erano rimandate alla stesura del decreto ministeriale in questione. Oggi dunque la sinergia tra le norme e i regolamenti è conclusa e la procedura di bonifica di cui l’articolo 17 del decreto Ronchi sui rifiuti ed indirettamente anche la procedura connessa (con i limiti e le tarature conseguenti) dell’articolo 58 del decreto acque numero 152/99 sono perfezionate e dunque le due bonifiche sono oggi perfettamente e totalmente operative.
Va sottolineata la differenza tra la bonifica dei siti prevista dal decreto n. 22/97 e dal decreto n. 152/99, nonchè tra le bonifiche e l’ordinanza sindacale per la rimozione dei rifiuti e ripristino dello stato dei luoghi.
Si è infatti spesso creata una pericolosa situazione di equivoco interpretativo tra le tre procedure sopra citate ritenendo erroneamente che sotto il concetto generale di «bonifiche» vada ricompreso tutto il pacchetto procedurale così espresso. In realtà si tratta di tre principi (e connesse procedure applicative) del tutto differenti che non vanno assolutamente confuse nonostante alcune pericolose omonimie tra i termini tecnici previsti dalla norma. In primo luogo va chiarita ed approfondita la differenza tra le procedura di «bonifica» in senso stretto previste dai due decreti rifiuti-acque e l’ordinanza sindacale per la rimozione dei rifiuti e la remissione in pristino dello stato dei luoghi. Trattasi infatti in questo caso preliminare di due concettualità totalmente ed assolutamente dissimili.
Per un ampio approfondimento sull’argomento delle bonifiche e dei rapporti con le altre procedure rinviamo alle introduzioni del presente capitolo e del capitolo sulle acque, ove il tema è trattato in modo approfondito ed articolato.
Vogliamo qui solo ricordare che le violazioni connesse all’obbligo della bonifica dei siti inquinati in relazione alle procedure di cui all’art. 17 del decreto legislativo in esame sono disciplinate dall’art. 51 bis del decreto 22/97.
Detto articolo recita testualmente: «Chiunque cagiona l’inquinamento o un pericolo concreto e attuale di inquinamento previsti dall’art. 17, comma 2, è punito con la pena dell’arresto da sei mesi a un anno e con l’ammenda da euro 2.582 a euro 25.822 se non provvede alla bonifica secondo il procedimento di cui all’art. 17. Si applica la pena dell’arresto da un anno a due anni e la pena dell’ammenda da euro 5.164 a euro 51.645 se l’inquinamento è provocato da rifiuti pericolosi».
Si deve rilevare che la sanzione (sia per i rifiuti non pericolosi che per i rifiuti pericolosi) riguarda in modo trasversale e generale la violazione dell’obbligo di bonifica «secondo il procedimento di cui all’art. 17». Il che significa, si ritiene, che tutto il sistema di procedura previsto dal citato art. 17 rientra sotto la comminatoria della sanzione penale prevista dall’art. 51 bis e non soltanto una parte di tale procedura, giacché nel concetto di procedimento generale certamente rientra ogni fase compresa quella iniziale.
Va ricordato che vigente il D.P.R. 915/82 gli aspetti propositivi di recupero delle zone offese dal riversamento minimo, ma anche macroscopico, delle masse di rifiuti, era stato sempre un punto dolente ed affatto affrontato in modo razionale, talché ampio è stato sempre il dibattito su chi era competente per provvedere in tal senso, e soprattutto con quali strumenti e sulla base di quali parametri.
 
Qualche sforzo giurisprudenziale tendente a subordinare le rimessione in ripristino dello stato dei luoghi alla mancata esecuzione pratica della pena hanno sortito effetti limitati, in parallelo con alcuni tentativi giurisprudenziali di subordinare, in modo dichiarato ma spesso sottinteso, il dissequestro delle aree inquinate a una ripulitura sommaria delle stesse. Tutti tentativi finalizzati, evidentemente, alla necessità di non relegare l’applicazione della norma al mero carattere repressivo (in se stesso scarsamente utile per la corretta gestione di conservazione dell’ambiente naturale) ma per adeguare ed equilibrare invece gli aspetti repressivi con quelli pratico conseguenziali in ordine al recupero delle aree soggette alla brutalizzazione degli inquinamenti.
La previsione dell’attuale articolo 17, invece, pone già a livello amministrativo, e quindi prima ancora e indipendentemente dalla fase penale, una risoluzione (potenzialmente valida in teoria) per questo storico problema. Certo, si tratta di una previsione come tante altre pur valide in passato, ma poi rimaste lettera morta. C’è quindi da augurarsi che, almeno in questo caso, alla teoria seguirà poi la pratica, perché questo punto rappresenta una delle chiavi di volta per la risoluzione del destino delle aree soggette a gravi episodi di inquinamento da rifiuti.
 
 
CAPO II
COMPETENZE
 
 
Art. 18 (Competenze dello Stato)
 1. Spettano allo Stato:
a) le funzioni di indirizzo e coordinamento necessarie all’attuazione del presente decreto da adottare ai sensi dell’articolo 8 della legge 15 marzo 1997, n. 59;
b) la definizione dei criteri generali e delle metodologie per la gestione integrata dei rifiuti, nonché l’individuazione dei fabbisogni per lo smaltimento dei rifiuti sanitari, anche al fine di ridurne la movimentazione;
c) l’individuazione delle iniziative e delle misure per prevenire e limitare, anche mediante il ricorso a forme di deposito cauzionale sui beni immessi al consumo, la produzione dei rifiuti, nonché per ridurre la pericolosità degli stessi;
d) l’individuazione dei flussi omogenei di produzione dei rifiuti con più elevato impatto ambientale, che presentano le maggiori difficoltà di smaltimento e particolari possibilità di recupero sia per le sostanze impiegate nei prodotti base sia per la quantità complessiva dei rifiuti medesimi;
e) la definizione dei piani di settore per la riduzione, il riciclaggio, il recupero e l’ottimizzazione dei flussi di rifiuti;
f) l’indicazione delle misure atte ad incoraggiare la razionalizzazione della raccolta, della cernita e del riciclaggio dei rifiuti;
g) l’individuazione delle iniziative e delle azioni, anche economiche, per favorire il riciclaggio ed il recupero di materia prima dai rifiuti, nonché per promuovere il mercato dei materiali recuperati dai rifiuti ed il loro impiego da parte della pubblica amministrazione e dei soggetti economici;
h) l’individuazione degli obiettivi di qualità dei servizi di gestione dei rifiuti;
i) la determinazione dei criteri generali per l’elaborazione dei piani regionali di cui all’articolo 22, ed il coordinamento dei piani stessi;
l) l’indicazione dei criteri generali relativi alle caratteristiche delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento dei rifiuti;
m) l’indicazione dei criteri generali per l’organizzazione e l’attuazione della raccolta differenziata dei rifiuti urbani;
n) la determinazione d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano dei criteri generali e degli standard di bonifica dei siti inquinati, nonché la determinazione dei criteri per individuare gli interventi di bonifica che, in relazione al rilievo dell’impatto sull’ambiente connesso all’estensione dell’area interessata, alla quantità e pericolosità degli inquinanti presenti, rivestono interesse nazionale.
2. Sono inoltre di competenza dello Stato:
a) l’adozione delle norme tecniche per la gestione dei rifiuti, dei rifiuti pericolosi e di specifiche tipologie di rifiuti, nonché delle norme e delle condizioni per l’applicazione delle procedure semplificate di cui agli articoli 31, 32 e 33;
b) la determinazione e la disciplina delle attività di recupero dei prodotti di amianto e dei beni e dei prodotti contenenti amianto;
c) la determinazione dei limiti di accettabilità e delle caratteristiche chimiche, fisiche e biologiche di talune sostanze contenute nei rifiuti in relazione a specifiche utilizzazioni degli stessi;
d) la determinazione dei criteri qualitativi e quantitativi per l’assimilazione, ai fini della raccolta e dello smaltimento, dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani;
e) la definizione del modello e dei contenuti del formulario di identificazione di cui all’articolo 15, commi 1 e 5 (1);
f) la definizione dei metodi, delle procedure e degli standard per il campionamento e l’analisi dei rifiuti;
g) la determinazione dei requisiti soggettivi e delle capacità tecniche e finanziarie per l’esercizio delle attività di gestione dei rifiuti;
h) la riorganizzazione e la tenuta del Catasto Nazionale dei rifiuti;
i) la regolamentazione del trasporto dei rifiuti e la definizione del formulario di cui all’articolo 15;
l) l’individuazione delle tipologie di rifiuti che per comprovate ragioni tecniche, ambientali ed economiche possono essere smaltiti direttamente in discarica;
m) l’adozione del modello uniforme del registro di cui all’articolo 12 e la definizione delle modalità di tenuta dello stesso, nonché l’individuazione degli eventuali documenti sostitutivi del registro stesso (2);
n) l’individuazione dei beni durevoli di cui all’articolo 44;
o) l’aggiornamento degli allegati al presente decreto;
p) l’adozione delle norme tecniche, delle modalità e delle condizioni di utilizzo del prodotto ottenuto mediante compostaggio, con particolare riferimento all’utilizzo agronomico come fertilizzante, ai sensi della legge del 19 ottobre 1984, n. 748, e successive modifiche e integrazioni, del prodotto di qualità ottenuto mediante compostaggio da rifiuti organici selezionati alla fonte con raccolta differenziata;
p bis) l’autorizzazione allo smaltimento di rifiuti nelle acque marine in conformità alle disposizioni stabilite dalle norme comunitarie e dalle convenzioni internazionali vigenti in materia; tale autorizzazione è rilasciata dal Ministro dell’ambiente, sentito il Ministro delle politiche agricole, su proposta dell’autorità marittima nella cui zona di competenza si trova il porto più vicino al luogo dove deve essere effettuato lo smaltimento ovvero si trova il porto da cui parte la nave con il carico di rifiuti da smaltire.
3. Salvo che non sia diversamente disposto dal presente decreto, le funzioni di cui al comma 1 sono esercitate ai sensi della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro dell’ambiente, di concerto con i Ministri dell’industria, del commercio e dell’artigianato e della sanità, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano.
 
4. Salvo che non sia diversamente disposto dal presente decreto, le norme regolamentari e tecniche di cui al comma 2 sono adottate, ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, con decreti del Ministro dell’ambiente, di concerto con i Ministri dell’industria, del commercio e dell’artigianato e della sanità, nonché, quando le predette norme riguardano i rifiuti agricoli ed il trasporto dei rifiuti, di concerto, rispettivamente, con i Ministri delle risorse agricole, alimentari e forestali e dei trasporti e della navigazione (1) (2).
 
 
(1) Si veda il D.M. 1 aprile 1998, n. 145.
(2) Si veda il D.M. 1 aprile 1998, n. 148.
 
Art. 19 (Competenze delle Regioni)
1. Sono di competenza delle Regioni, nel rispetto dei principi previsti dalla normativa vigente e dal presente decreto:
a) la predisposizione, l’adozione e l’aggiornamento, sentiti le province ed i comuni, dei piani regionali di gestione dei rifiuti di cui all’articolo 22;
b) la regolamentazione delle attività di gestione dei rifiuti, ivi compresa la raccolta differenziata dei rifiuti urbani, anche pericolosi, con l’obiettivo prioritario della separazione dei rifiuti di provenienza alimentare, degli scarti di prodotti vegetali e animali, o comunque ad alto tasso di umidità, dai restanti rifiuti;
c) l’elaborazione, l’approvazione e l’aggiornamento dei piani per la bonifica di aree inquinate;
d) l’approvazione dei progetti di nuovi impianti per la gestione dei rifiuti, anche pericolosi, e l’autorizzazione alle modifiche degli impianti esistenti;
e) l’autorizzazione all’esercizio delle operazioni di smaltimento e di recupero dei rifiuti, anche pericolosi;
f) le attività in materia di spedizioni transfrontaliere dei rifiuti che il regolamento CEE n. 259/93 attribuisce alle autorità competenti di spedizione e di destinazione;
g) la delimitazione, in deroga all’ambito provinciale, degli ambiti ottimali per la gestione dei rifiuti urbani e assimilati;
h) le linee guida ed i criteri per la predisposizione e l’approvazione dei progetti di bonifica e di messa in sicurezza, nonché l’individuazione delle tipologie di progetti non soggetti ad autorizzazione;
i) la promozione della gestione integrata dei rifiuti, intesa come il complesso delle attività volte ad ottimizzare il riutilizzo, il riciclaggio, il recupero e lo smaltimento dei rifiuti;
l) l’incentivazione alla riduzione della produzione dei rifiuti ed al recupero degli stessi;
m) la definizione dei contenuti della relazione da allegare alla comunicazione di cui agli articoli 31, 32 e 33;
n) la definizione dei criteri per l’individuazione, da parte delle Province, delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti;
n bis) la definizione dei criteri per l’individuazione dei luoghi o impianti adatti allo smaltimento e la determinazione, nel rispetto delle norme tecniche di cui all’articolo 18, comma 2, lettera a), di disposizioni speciali per rifiuti di tipo particolare.
2. Per l’esercizio delle funzioni di cui al comma 1 le regioni si avvalgono anche degli organismi individuati ai sensi del decreto legge 4 dicembre 1993, n. 496, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 gennaio 1994, n. 61.
3. Le regioni privilegiano la realizzazione di impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti in aree industriali, compatibilmente con le caratteristiche delle aree medesime, incentivando le iniziative di autosmaltimento. Tale disposizione non si applica alle discariche.
4. Entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del suddetto decreto (2) le regioni, sulla base delle metodologie di calcolo e della definizione di materiale riciclato stabilite da apposito decreto del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, di concerto con i Ministeri delle attività produttive e della salute, sentito il Ministro per gli affari regionali, adottano le disposizioni occorrenti affinché gli uffici e gli enti pubblici, e le società di prevalente capitale pubblico, anche di gestione dei servizi, coprano il fabbisogno annuale dei manufatti e beni, indicati nel medesimo decreto, con una quota di prodotti ottenuti da materiale riciclato non inferiore al 30 per cento del fabbisogno medesimo (1).
4 bis. Nelle aree portuali la gestione dei rifiuti prodotti dalle navi è organizzata dalle autorità portuali, ove istituite, o dalle autorità marittime, che provvedono anche agli adempimenti di cui agli articoli 11 e 12.
 
 
(1) Questo comma è stato così sostituito dall’art. 52, comma 56, lettera a), della L. 28 dicembre 2001, n. 448.
(2) Le originali parole: «Entro il 31 marzo 2002» sono state così sostituite dall’art. 23, comma 1, lett. d), della L. 31 luglio 2002, n. 179.
 
Art. 20 (Competenze delle province)
 1. In attuazione dell’articolo 14 della legge 8 giugno 1990, n. 142 (2), alle province competono, in particolare:
a) le funzioni amministrative concernenti la programmazione e l’organizzazione dello smaltimento dei rifiuti a livello provinciale;
b) il controllo e la verifica degli interventi di bonifica e del monitoraggio ad essi conseguenti;
c) il controllo periodico su tutte le attività di gestione, di intermediazione e di commercio dei rifiuti, ivi compreso l’accertamento delle violazioni del presente decreto;
d) la verifica ed il controllo dei requisiti previsti per l’applicazione delle procedure semplificate di cui agli articoli 31, 32 e 33;
e) l’individuazione, sulla base delle previsioni del piano territoriale di coordinamento di cui all’articolo 15, comma 2, della legge 8 giugno 1990, n. 142 (2), ove già adottato, e delle previsioni di cui all’articolo 22, comma 3, lettere c) ed e), sentiti i comuni, delle zone idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti urbani, con indicazioni plurime per ogni tipo di impianto, nonché delle zone non idonee alla localizzazione di impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti;
f) l’iscrizione delle imprese e degli enti sottoposti alle procedure semplificate di cui agli articoli 31, 32 e 33 ed i relativi controlli;
g) l’organizzazione delle attività di raccolta differenziata dei rifiuti urbani e assimilati sulla base di ambiti territoriali ottimali delimitati ai sensi dell’articolo 23.
2. Per l’esercizio delle attività di controllo sulla gestione dei rifiuti le province possono avvalersi anche delle strutture di cui all’articolo 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, come sostituito dall’articolo 8 del decreto legislativo 7 dicembre 1993, n. 517, con le modalità di cui al comma 3, nonché degli organismi individuati ai sensi del decreto legge 4 dicembre 1993, n. 496, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 gennaio 1994, n. 61.
3. Ai fini dell’esercizio delle proprie funzioni le province possono altresì avvalersi di organismi pubblici con specifiche esperienze e competenze tecniche in materia, con i quali stipulano apposite convenzioni.
4. Gli addetti al controllo sono autorizzati ad effettuare ispezioni, verifiche e prelievi di campioni all’interno di stabilimenti, impianti o imprese che producono o che svolgono attività di gestione dei rifiuti. Il segreto industriale non può essere opposto agli addetti al controllo, che sono tenuti all’obbligo della riservatezza ai sensi della normativa vigente.
5. Il personale appartenente al Nucleo Operativo Ecologico dell’Arma dei Carabinieri è autorizzato ad effettuare le ispezioni e le verifiche necessarie ai fini dell’espletamento delle funzioni di cui all’articolo 8 della legge 8 luglio 1986, n. 349. Restano ferme le altre disposizioni vigenti in materia di vigilanza e controllo.
6. Nell’ambito delle competenze di cui al comma 1, le Province sottopongono ad adeguati controlli periodici gli stabilimenti e le imprese che smaltiscono o recuperano rifiuti, curando, in particolare, l’effettuazione di adeguati controlli periodici sulle attività sottoposte alle procedure semplificate di cui agli articoli 31, 32 e 33, e che i controlli concernenti la raccolta ed il trasporto di rifiuti pericolosi riguardino, in primo luogo, l’origine e la destinazione dei rifiuti.
 
 
(1) Il ruolo primario della Provincia emerge chiarissimo dalla previsione del presente articolo. In via sinergica anche il decreto-acque ed il nuovo T.U. sui vincoli ambientali ricollegano alla Provincia una posizione prioritaria nell’attuale fase politica-amministrativa della gestione ambientale.
Tuttavia in ordine allo specifico aspetto dei controlli e della vigilanza va tracciato un chiarimento. Da parte di alcuni si è ipotizzato che stante la dizione complessiva del presente articolo le funzioni di controllo preventivo-repressivo in ordine agli illeciti previsti dal decreto sui rifiuti sarebbero di competenza esclusiva ed assorbente degli organi (anche di polizia) della Provincia. Il concetto è assolutamente inesatto.
In ordine a quanto previsto dalla norma, trattasi esclusivamente di una vigilanza intesa in senso amministrativo preventivo in ordine alla corretta applicazione e gestione puramente e semplicemente amministrativa e burocratica del regime di legge. Non deve assolutamente equivocarsi e tradursi questo termine di vigilanza con la vigilanza repressiva di ordine di polizia giudiziaria ambientale sulle violazioni soprattutto penali in ordine alla normativa in senso generale. Nessuno quindi deve oggi iniziare di nuovo a trarre, come aveva fatto in modo maldestro in passato, l’idea che gli organi di polizia statale e/o locali non siano competenti per andare a verificare gli illeciti (soprattutto penali) in ordine alla violazione del decreto sui rifiuti (o sulle acque). Si sottolinea e ribadisce che come vigilanza si intende esclusivamente una attività di monitoraggio preventivo in ordine alle prassi amministrative, mentre la vigilanza resta puramente e semplicemente di competenza di tutta la polizia giudiziaria relativamente al sistema sanzionatorio. La individuazione della competenza per l’accertamento e la repressione dei reati ambientali continua a rappresentare infatti ancora oggi un punto nevralgico preliminare per la corretta ed efficace applicazione dei principi delineati dalla normativa di settore e previsioni come quella citata possono generare qualche equivoco in sede di interpretazione ed applicazione.
 
Si deve dunque anche in questa sede riaffermare il principio in base al quale nel nostro ordinamento giuridico la competenza per i reati ambientali, per tutti indistintamente i reati ambientali, appartiene come diritto-dovere a tutti gli organi di polizia giudiziaria statali e locali. Non esiste a livello di principio un organo di polizia giudiziaria ambientale unico ed esclusivo e dunque la competenza è ripartita a livello generale e diffusa secondo i principi generali del codice di rito al pari, e certamente non di meno, degli altri reati che magari investono la tutela del patrimonio privato.
Il concetto potrebbe apparire logico e banale. Ma, evidentemente, così non è stato nella realtà delle cose concrete se la Corte di cassazione è dovuta intervenire ripetutamente con diverse sentenze per affermare e ribadire questi principi.
Si veda, ad esempio, che la Suprema Corte già con la sentenza Cass. pen., sez. III, 27 settembre 1991, n. 1872, Pres. Gambino, Est. Postiglione sancisce dunque da tempo remoto espressamente che «i reati in materia ambientale sono di competenza di tutta la polizia Giudiziaria, senza distinzione di competenze selettive o esclusive per settori, anche se di fatto esistono delle specializzazioni». La Suprema Corte, per ovviare a realistiche problematiche derivanti da una mancata qualificazione professionale su specifici e particolari punti tecnici da parte della P.G. in generale, aggiunge che «naturalmente la P.G. potrà avvalersi di "persone idonee" nella qualità di "ausiliari" e l’accertamento tecnico che ne consegue deve considerarsi atto della stessa P.G.».
Va evidenziato che hanno contribuito ad alimentare confusioni interpretative in questo settore le citazioni espresse di alcuni organi che a volte in testi normativi ambientali (come nel caso di specie) vengono indicati come «affidatari» principali della vigilanza in relazione agli illeciti della stessa norma.
Trattasi, in realtà, di meri di rafforzamenti a livello politico-istituzionale del ruolo di organi ora amministrativi (come nel caso di specie) ora di polizia specifici su certi temi e settori che tendono a proporre il ruolo preminente e per certi versi significativamente visibile degli stessi organi in quel determinato settore anche come punto di riferimento primario per le altre istituzioni ed i cittadini. Ma nulla di più.
Dette citazioni, dunque, devono essere considerate espressioni di principi politici generali perché non esonerano, e non potrebbero esonerare, altre forze di polizia ad operare in quel settore (specialmente in seguito alla realizzazione di un reato) e non costituiscono deroga al principio-base in base al quale tutta la P.G. é sempre e comunque competente per tutti i reati ambientali, ovunque commessi.
(2) Si veda, ora, il D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267.
 
Art. 21 (Competenze dei comuni)
1. I comuni effettuano la gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento in regime di privativa nelle forme di cui alla L. 8 giugno 1990, n. 142 (2), e dell’art. 23.
2. I comuni disciplinano la gestione dei rifiuti urbani con appositi regolamenti che, nel rispetto dei principi di efficienza, efficacia ed economicità, stabiliscono in particolare:
a) le disposizioni per assicurare la tutela igienico-sanitaria in tutte le fasi della gestione dei rifiuti urbani;
b) le modalità del servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti urbani;
c) le modalità del conferimento, della raccolta differenziata e del trasporto dei rifiuti urbani al fine di garantire una distinta gestione delle diverse frazioni di rifiuti e promuovere il recupero degli stessi;
d) le norme atte a garantire una distinta ed adeguata gestione dei rifiuti urbani pericolosi, e dei rifiuti da esumazione ed estumulazione di cui all’articolo 7, comma 2, lettera f);
e) le disposizioni necessarie a ottimizzare le forme di conferimento, raccolta e trasporto dei rifiuti primari di imballaggio in sinergia con altre frazioni merceologiche, fissando standard minimi da rispettare;
f) le modalità di esecuzione della pesata dei rifiuti urbani prima di inviarli al recupero e allo smaltimento;
g) l’assimilazione per qualità e quantità dei rifiuti speciali non pericolosi ai rifiuti urbani ai fini della raccolta e dello smaltimento sulla base dei criteri fissati ai sensi dell’articolo 18, comma 2, lettera d). Sono comunque considerati rifiuti urbani, ai fini della raccolta, del trasporto e dello stoccaggio, tutti i rifiuti provenienti dallo spazzamento delle strade ovvero, di qualunque natura e provenienza, giacenti sulle strade ed aree pubbliche o sulle strade ed aree private comunque soggette ad uso pubblico o sulle strade marittime e lacuali e sulle rive dei corsi d’acqua.
3. È, inoltre, di competenza dei comuni l’approvazione dei progetti di bonifica dei siti inquinati ai sensi dell’articolo 17.
4. Nell’attività di gestione dei rifiuti urbani, i comuni si possono avvalere della collaborazione delle associazioni di volontariato e della partecipazione dei cittadini e delle loro associazioni.
5. I comuni possono istituire, nelle forme previste dalla L. 8 giugno 1990, n. 142 (2), e successive modificazioni, servizi integrativi per la gestione dei rifiuti speciali non assimilati ai rifiuti urbani.
6. I comuni sono tenuti a fornire alla regione ed alla provincia tutte le informazioni sulla gestione dei rifiuti urbani dalle stesse richieste.
7. La privativa di cui al comma 1 non si applica alle attività di recupero dei rifiuti urbani e assimilati, a far data dal 1° gennaio 2003 (3).
8. Sono fatte salve le disposizioni di cui all’articolo 6, comma 1, della L. 28 gennaio 1994, n. 84 (1), e relativi decreti attuativi.
 
 
(1) Riordino della legislazione in materia portuale.
(2) Si veda, ora, il D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267.
(3) Questo comma è stato così sostituito dall’art. 23, comma 1, lett. e), della L. 31 luglio 2002, n. 179.
 
CAPO III
PIANI DI GESTIONE DEI RIFIUTI
Art. 22 (Piani regionali)
 
 1. Le regioni, sentite le province ed i comuni, nel rispetto dei principi e delle finalità di cui agli articoli 1, 2, 3, 4 e 5, ed in conformità ai criteri stabiliti dal presente articolo, predispongono piani regionali di gestione dei rifiuti assicurando adeguata pubblicità e la massima partecipazione dei cittadini, ai sensi dell’articolo 25 della L. 7 agosto 1990, n. 241.
2. I piani regionali di gestione dei rifiuti promuovono la riduzione delle quantità, dei volumi e della pericolosità dei rifiuti.
3. Il piano regionale di gestione dei rifiuti prevede inoltre:
a) le condizioni ed i criteri tecnici in base ai quali, nel rispetto delle disposizioni vigenti in materia, gli impianti per la gestione dei rifiuti, ad eccezione delle discariche, possono essere localizzati nelle aree destinate ad insediamenti produttivi;
b) la tipologia ed il complesso degli impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti urbani da realizzare nella regione, tenendo conto dell’obiettivo di assicurare la gestione dei rifiuti urbani non pericolosi all’interno degli ambiti territoriali ottimali di cui all’art. 23, nonché dell’offerta di smaltimento e di recupero da parte del sistema industriale;
c) il complesso delle attività e dei fabbisogni degli impianti necessari a garantire la gestione dei rifiuti urbani secondo criteri di efficienza e di economicità, e l’autosufficienza della gestione dei rifiuti urbani non pericolosi all’interno di ciascuno degli ambiti territoriali ottimali di cui all’articolo 23, nonché ad assicurare lo smaltimento dei rifiuti speciali in luoghi prossimi a quelli di produzione al fine di favorire la riduzione della movimentazione di rifiuti;
d) la stima dei costi delle operazioni di recupero e di smaltimento;
e) i criteri per l’individuazione, da parte delle Province, delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti, nonché per l’individuazione dei luoghi o impianti adatti allo smaltimento dei rifiuti;
f) le iniziative dirette a limitare la produzione dei rifiuti ed a favorire il riutilizzo, il riciclaggio ed il recupero dei rifiuti;
g) le iniziative dirette a favorire il recupero dai rifiuti di materiali e di energia;
h) le misure atte a promuovere la regionalizzazione della raccolta, della cernita e dello smaltimento dei rifiuti urbani;
h bis) i tipi, le quantità e l’origine dei rifiuti da recuperare o da smaltire;
h ter) la determinazione, nel rispetto delle norme tecniche di cui all’articolo 18, comma 2, lettera a), di disposizioni speciali per rifiuti di tipo particolare.
4. Il piano regionale di gestione dei rifiuti è coordinato con gli altri piani di competenza regionale previsti dalla normativa vigente ove adottati.
5. Costituiscono parte integrante del piano regionale i piani per la bonifica delle aree inquinate che devono prevedere:
a) l’ordine di priorità degli interventi, basato su un criterio di valutazione del rischio elaborato dall’ANPA (1);
b) l’individuazione dei siti da bonificare e delle caratteristiche generali degli inquinamenti presenti;
c) le modalità degli interventi di bonifica e risanamento ambientale, che privilegino prioritariamente l’impiego di materiali provenienti da attività di recupero di rifiuti urbani;
d) la stima degli oneri finanziari;
e) le modalità di smaltimento dei materiali da asportare.
6. L’approvazione del piano regionale o il suo adeguamento è condizione necessaria per accedere ai finanziamenti nazionali.
7. La regione approva o adegua il piano entro due anni dalla data di entrata in vigore del presente decreto; in attesa restano in vigore i piani regionali vigenti (2).
8. In caso di inutile decorso del termine di cui al comma 7 e di accertata inattività, il Ministro dell’ambiente diffida gli organi regionali competenti ad adempiere entro un congruo termine e, in caso di protrazione dell’inerzia, adotta, in via sostitutiva, i provvedimenti necessari alla elaborazione del piano regionale.
9. Qualora le autorità competenti non realizzino gli interventi previsti dal piano regionale nei termini e con le modalità stabiliti e tali omissioni possono arrecare un grave pregiudizio all’attuazione del piano medesimo, il Ministro dell’ambiente diffida le autorità inadempienti a provvedere entro un termine non inferiore a 180 giorni. Decorso inutilmente detto termine, il Ministro dell’ambiente può adottare, in via sostitutiva, tutti i provvedimenti necessari ed idonei per l’attuazione degli interventi contenuti nel piano. A tal fine può avvalersi anche di commissari delegati.
10. I provvedimenti di cui al comma 9 possono riguardare interventi finalizzati a:
a) attuare la raccolta differenziata dei rifiuti;
b) provvedere al reimpiego, al recupero e al riciclaggio degli imballaggi conferiti al servizio pubblico;
c) introdurre sistemi di deposito cauzionale obbligatorio sui contenitori;
d) favorire operazioni di trattamento dei rifiuti urbani ai fini del riciclaggio e recupero degli stessi;
e) favorire la realizzazione e l’utilizzo di impianti per il recupero dei rifiuti solidi urbani.
11. Sulla base di appositi accordi di programma stipulati con il Ministro dell’ambiente, di concerto con il Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato, d’intesa con la regione, possono essere autorizzati, ai sensi degli articoli 31 e 33, la costruzione e l’esercizio o il solo esercizio all’interno di insediamenti industriali esistenti di impianti per il recupero di rifiuti urbani non previsti dal piano regionale qualora ricorrano le seguenti condizioni:
a) siano riciclati e recuperati come materia prima rifiuti provenienti da raccolta differenziata, sia prodotto composto da rifiuti oppure sia utilizzato combustibile da rifiuti;
 
b) siano rispettate le norme tecniche di cui agli artt. 31 e 33;
c) siano utilizzate le migliori tecnologie di tutela dell’ambiente;
d) sia garantita una diminuzione delle emissioni inquinanti.
 
 
(1) Lettera così modificata dall’art. 1, comma 12, della L. 9 dicembre 1998, n. 426.
(2) Comma così modificato dall’art. 1, comma 13, della L. 9 dicembre 1998, n. 426.
 
 
Art. 23 (Gestione dei rifiuti urbani in ambiti territoriali ottimali)
1. Salvo diversa disposizione stabilita con legge regionale, gli ambiti territoriali ottimali per la gestione dei rifiuti urbani sono le Province. In tali ambiti territoriali ottimali le Province assicurano una gestione unitaria dei rifiuti urbani e predispongono piani di gestione dei rifiuti, sentiti i Comuni, in applicazione degli indirizzi e delle prescrizioni del presente decreto.
2. Per esigenze tecniche o di efficienza nella gestione dei rifiuti urbani, le Province possono autorizzare gestioni anche a livello sub-provinciale purché, anche in tali ambiti territoriali sia superata la frammentazione della gestione.
3. I comuni di ciascun ambito territoriale ottimale di cui al comma 1, entro il termine perentorio di sei mesi dalla delimitazione dell’ambito medesimo, organizzano la gestione dei rifiuti urbani secondo criteri di efficienza, di efficacia e di economicità.
4. I comuni provvedono alla gestione dei rifiuti urbani mediante le forme, anche obbligatorie, previste dalla L. 8 giugno 1990, n. 142 (1), come integrata dall’articolo 12 della legge 23 dicembre 1992, n. 498.
5. Per le finalità di cui ai commi 1, 2 e 3 le province, entro il termine di dodici mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, coordinano, sulla base della legge regionale adottata, ai sensi della legge 8 giugno 1990, n. 142 (1), e successive modificazioni, le forme ed i modi della cooperazione tra gli enti locali ricadenti nel medesimo ambito ottimale. Nei casi in cui la forma di cooperazione sia attuata per gli effetti dell’articolo 24 della L. 8 giugno 1990, n. 142 (1), le province individuano gli enti locali partecipanti, l’ente locale responsabile del coordinamento, gli adempimenti ed i termini previsti per l’assicurazione delle convenzioni di cui all’articolo 24, comma 1, della legge 8 giugno 1990, n. 142 (1). Dette convenzioni determinano in particolare le procedure che dovranno essere adottate per l’assegnazione del servizio di gestione dei rifiuti, le forme di vigilanza e di controllo, nonché gli altri elementi indicati all’articolo 24, comma 2, della legge 8 giugno 1990, n. 142 (1). Decorso inutilmente il predetto termine le regioni e le province autonome provvedono in sostituzione degli enti inadempienti.
 
 
(1) Si veda, ora, il D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267.
 
Art. 24 (Contributo per lo smaltimento di rifiuti in discarica)
 
 1. In ogni ambito territoriale ottimale deve essere assicurata una raccolta differenziata dei rifiuti urbani pari alle seguenti percentuali minime di rifiuti prodotti:
a) 15% entro due anni dalla data di entrata in vigore del presente decreto;
b) 25% entro quattro anni dalla data di entrata in vigore del presente decreto;
c) 35% a partire dal sesto anno successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto.
2. Il coefficiente di correzione di cui all’articolo 3, comma 29, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 (1), è determinato anche in relazione al conseguimento degli obiettivi di cui al comma 1.
2 bis. Con decreto del Ministro dell’ambiente, di concerto con il Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato, d’intesa con la Conferenza dei Presidenti delle regioni e delle province autonome, vengono stabiliti la metodologia e i criteri di calcolo delle percentuali di cui al comma 1 (2).
 
 
(1) Misure di razionalizzazione della finanza pubblica.
(2) Questo comma è stato aggiunto dall’art. 12, comma 2, della L. 23 marzo 2001, n. 93.
 
Art. 25 (Accordi e contratti di programma, incentivi)
 1. Ai fini dell’attuazione dei principi e degli obiettivi stabiliti dal presente decreto, il Ministro dell’ambiente, di concerto con il Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato, può stabilire appositi accordi e contratti di programma con enti pubblici o con le imprese maggiormente presenti sul mercato o con le associazioni di categoria. Gli accordi ed i contratti di programma hanno ad oggetto, in particolare:
a) l’attuazione di specifici piani di settore di riduzione, recupero e ottimizzazione dei flussi di rifiuti;
b) la sperimentazione, la promozione, l’attuazione e lo sviluppo di processi produttivi e di tecnologie pulite idonei a prevenire o ridurre la produzione dei rifiuti e la loro pericolosità, e ad ottimizzare il recupero dei rifiuti stessi;
c) lo sviluppo di innovazioni nei sistemi produttivi per favorire metodi di produzione di beni con impiego di materiali meno inquinanti e comunque riciclabili;
d) le modifiche del ciclo produttivo e la riprogettazione di componenti, macchine e strumenti di controllo;
e) la sperimentazione, la promozione e la produzione di beni progettati, confezionati e messi in commercio in modo da ridurre la quantità e la pericolosità dei rifiuti e i rischi di inquinamento;
f) la sperimentazione, la promozione e l’attuazione di attività di riutilizzo, riciclaggio e recupero di rifiuti;
g) l’adozione di tecniche per il reimpiego ed il riciclaggio dei rifiuti nell’impianto di produzione;
h) lo sviluppo di tecniche appropriate e di sistemi di controllo per l’eliminazione dei rifiuti e delle sostanze pericolose contenute nei rifiuti;
i) l’impiego da parte dei soggetti economici e dei soggetti pubblici dei materiali recuperati dalla raccolta differenziata dei rifiuti urbani;
l) l’impiego di sistemi di controllo del recupero e della riduzione di rifiuti.
2. Il Ministro dell’ambiente, di concerto con il Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato, può altresì stipulare appositi accordi e contratti di programma con le imprese maggiormente presenti sul mercato nazionale e con le associazioni di categoria per:
a) promuovere e favorire l’utilizzo di sistemi di ecolabel e di eco-audit;
b) attuare programmi di ritiro dei beni di consumo al termine del loro ciclo di utilità ai fini del riutilizzo, del riciclaggio e del recupero di materia prima, anche mediante procedure semplificate per la raccolta ed il trasporto dei rifiuti, le quali devono comunque garantire un elevato livello di protezione dell’ambiente.
3. I predetti accordi sono stipulati di concerto con il Ministro delle risorse agricole, alimentari e forestali qualora riguardino attività collegate alla produzione agricola.
4. Il programma triennale di tutela dell’ambiente di cui alla L. 28 agosto 1989, n. 305, individua le risorse finanziarie da destinarsi, sulla base di apposite disposizioni legislative di finanziamento, agli accordi ed ai contratti di programma di cui ai commi 1 e 2, e fissa le modalità di stipula dei medesimi.
 
Art. 26 (Osservatorio nazionale sui rifiuti)
 1. Al fine di garantire l’attuazione delle norme di cui al presente decreto legislativo, con particolare riferimento alla prevenzione della produzione della quantità e della pericolosità dei rifiuti ed all’efficacia, all’efficienza ed all’economicità della gestione dei rifiuti, degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio, nonché alla tutela della salute pubblica e dell’ambiente, è istituito, presso il Ministero dell’ambiente, l’Osservatorio nazionale sui rifiuti, in appresso denominato Osservatorio. L’Osservatorio svolge, in particolare, le seguenti funzioni:
a) vigila sulla gestione dei rifiuti, degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio;
b) provvede all’elaborazione ed all’aggiornamento permanente di criteri e specifici obiettivi d’azione, nonché alla definizione ed all’aggiornamento permanente di un quadro di riferimento sulla prevenzione e sulla gestione dei rifiuti;
c) esprime il proprio parere sul Programma generale di prevenzione di cui all’articolo 42 e lo trasmette per l’adozione definitiva al Ministro dell’ambiente ed al Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato ed alla Conferenza Stato-regioni;
d) predispone il Programma generale di prevenzione di cui all’articolo 42 qualora il Consorzio Nazionale Imballaggi non provveda nei termini previsti;
e) verifica l’attuazione del Programma Generale di cui all’articolo 42 ed il raggiungimento degli obiettivi di recupero e di riciclaggio;
f) verifica i costi di recupero e smaltimento;
g) elabora il metodo normalizzato di cui all’articolo 49, comma 5, e lo trasmette per l’approvazione al Ministro dell’ambiente ed al Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato;
h) verifica livelli di qualità dei servizi erogati;
i) predispone un rapporto annuale sulla gestione dei rifiuti, degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio e ne cura la trasmissione ai Ministri dell’ambiente, dell’industria, del commercio e dell’artigianato e della sanità.
2. L’Osservatorio è costituito con decreto del Ministro dell’ambiente, di concerto con il Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato, ed è composto da nove membri, scelti tra persone esperte in materia, di cui:
a) tre designati dal Ministro dell’ambiente, di cui uno con funzioni di Presidente;
b) due designati dal Ministro dell’industria, di cui uno con funzioni di vice-presidente;
c) uno designato dal Ministro della sanità;
d) uno designato dal Ministro delle risorse agricole, alimentari e forestali.
d bis) uno designato dal Ministro del tesoro;
d ter) uno designato dalla Conferenza Stato-regioni.
3. I membri durano in carica cinque anni. Il trattamento economico spettante ai membri dell’Osservatorio e della segreteria tecnica è determinato con decreto del Ministro del tesoro, di concerto con il Ministro dell’ambiente ed il Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato.
4. Con decreto del Ministro dell’ambiente, di concerto con i Ministri dell’industria, del commercio e dell’artigianato e della sanità e del tesoro, da emanarsi entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sono definite le modalità organizzative e di funzionamento dell’Osservatorio e della Segreteria tecnica.
5. All’onere derivante dalla costituzione e dal funzionamento dell’Osservatorio e della Segreteria tecnica pari a euro 1.032.913,80, aggiornate annualmente in relazione al tasso di inflazione, provvede il Consorzio Nazionale Imballaggi di cui all’articolo 41 con un contributo di pari importo a carico dei consorziati. Dette somme sono versate dal Comitato Nazionale Imballaggi all’entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate con decreto del Ministro del tesoro ad apposito capitolo dello stato di previsione del Ministero dell’ambiente. Le spese per il funzionamento del predetto Osservatorio sono subordinate alle entrate.
5. bis. Al fine di consentire l’avviamento ed il funzionamento dell’attività dell’Osservatorio nazionale sui rifiuti, in attesa dell’attuazione di quanto disposto al comma 5, è autorizzata la spesa di lire 1.000 milioni per l’anno 1998 da iscrivere in apposita unità previsionale di base dello stato di previsione del Ministero dell’ambiente (1).
 
 
(1) Comma aggiunto dall’art. 1, comma 17, della L. 9 dicembre 1998, n. 426.
 
 
CAPO IV
AUTORIZZAZIONI E ISCRIZIONI
 
 
Art. 27 (Approvazione del progetto e autorizzazione alla realizzazione degli impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti)
 1. I soggetti che intendono realizzare nuovi impianti di smaltimento o di recupero di rifiuti, anche pericolosi, devono presentare apposita domanda alla regione competente per territorio, allegando il progetto definitivo dell’impianto e la documentazione tecnica prevista per la realizzazione del progetto stesso dalle disposizioni vigenti in materia urbanistica, di tutela ambientale, di salute e di sicurezza sul lavoro, e di igiene pubblica. Ove l’impianto debba essere sottoposto alla procedura di valutazione di impatto ambientale statale ai sensi della normativa vigente, alla domanda è altresì allegata la comunicazione del progetto all’autorità competente ai predetti fini ed il termine di cui al comma 3 resta sospeso fino all’acquisizione della pronuncia sulla compatibilità ambientale ai sensi dell’articolo 6, comma 4, della L. 8 luglio 1986, n. 349, e successive modifiche ed integrazioni.
2. Entro trenta giorni dal ricevimento della domanda di cui al comma 1, la regione nomina un responsabile del procedimento e convoca un’apposita conferenza cui partecipano i responsabili degli uffici regionali competenti, e i rappresentanti degli enti locali interessati. Alla conferenza è invitato a partecipare anche il richiedente l’autorizzazione o un suo rappresentante al fine di acquisire informazioni e chiarimenti.
3. Entro novanta giorni dalla sua convocazione, la conferenza:
a) procede alla valutazione dei progetti;
b) acquisisce e valuta tutti gli elementi relativi alla compatibilità del progetto con le esigenze ambientali e territoriali;
c) acquisisce, ove previsto dalla normativa vigente, la valutazione di compatibilità ambientale;
d) trasmette le proprie conclusioni con i relativi atti alla giunta regionale.
4. Per l’istruttoria tecnica della domanda la regione può avvalersi degli organismi individuati ai sensi del decreto legge 4 dicembre 1993, n. 496, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 gennaio 1994, n. 61.
5. Entro trenta giorni dal ricevimento delle conclusioni della conferenza, e sulla base delle risultanze della stessa, la Giunta regionale approva il progetto e autorizza la realizzazione dell’impianto. L’approvazione sostituisce ad ogni effetto visti, pareri, autorizzazioni e concessioni di organi regionali, provinciali e comunali. L’approvazione stessa costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico comunale, e comporta la dichiarazione di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità dei lavori.
6. Nel caso in cui il progetto approvato riguardi aree vincolate ai sensi della legge 29 giugno 1939, n. 1497, e del decreto legge 27 giugno 1985, n. 312, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1985, n. 431, si applicano le disposizioni di cui al comma 9 dell’art. 82 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, come modificato dal decreto legge 27 giugno 1985, n. 312, convertito, con modificazioni, dalla L. 8 agosto 1985, n. 431.
7. Le regioni emanano le norme necessarie per disciplinare l’intervento sostitutivo in caso di mancato rispetto del termine complessivo di cui ai commi 2, 3 e 5.
8. Le procedure di cui al presente articolo si applicano anche per la realizzazione di varianti sostanziali in corso di esercizio, che comportano modifiche a seguito delle quali gli impianti non sono più conformi all’autorizzazione rilasciata.
9. Contestualmente alla domanda di cui al comma 1 può essere presentata domanda di autorizzazione all’esercizio delle operazioni di smaltimento e di recupero di cui all’articolo 28. In tal caso la regione autorizza le operazioni di smaltimento e di recupero contestualmente all’adozione del provvedimento che autorizza la realizzazione dell’impianto.
 
Art. 28 (Autorizzazione all'esercizio delle operazioni di smaltimento e recupero)
 1. L’esercizio delle operazioni di smaltimento e di recupero dei rifiuti è autorizzato dalla regione competente per territorio entro novanta giorni dalla presentazione della relativa istanza da parte dell’interessato. L’autorizzazione individua le condizioni e le prescrizioni necessarie per garantire l’attuazione dei principi di cui all’articolo 2, ed in particolare:
a) i tipi ed i quantitativi di rifiuti da smaltire o da recuperare;
b) i requisiti tecnici, con particolare riferimento alla compatibilità del sito, alle attrezzature utilizzate, ai tipi ed ai quantitativi massimi di rifiuti, ed alla conformità dell’impianto al progetto approvato;
c) le precauzioni da prendere in materia di sicurezza ed igiene ambientale;
d) il luogo di smaltimento;
e) il metodo di trattamento e di recupero;
f) i limiti di emissione in atmosfera, che per i processi di trattamento termico dei rifiuti, anche accompagnati da recupero energetico, non possono essere meno restrittivi di quelli fissati per gli impianti di incenerimento dalle direttive comunitarie 89/369/CEE del Consiglio dell’8 giugno 1989; 89/429/CEE del Consiglio del 21 giugno 1989; 94/67/CE del Consiglio del 16 dicembre 1994, e successive modifiche ed integrazioni;
g) le prescrizioni per le operazioni di messa in sicurezza, chiusura dell’impianto e ripristino del sito;
h) le garanzie finanziarie;
i) l’idoneità del soggetto richiedente.
2. I rifiuti pericolosi possono essere smaltiti in discarica solo se preventivamente catalogati ed identificati secondo le modalità fissate dal Ministro dell’ambiente, di concerto con il Ministro della sanità, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto.
3. L’autorizzazione di cui al comma 1 è concessa per un periodo di cinque anni ed è rinnovabile. A tale fine, entro centottanta giorni dalla scadenza dell’autorizzazione, deve essere presentata apposita domanda alla regione che decide prima della scadenza dell’autorizzazione stessa.
4. Quando a seguito di controlli successivi all’avviamento degli impianti questi non risultino conformi all’autorizzazione di cui all’articolo 27, ovvero non siano soddisfatte le condizioni e le prescrizioni contenute nell’atto di autorizzazione dell’esercizio delle operazioni di cui al comma 1, quest’ultima è sospesa, previa diffida, per un periodo massimo di dodici mesi. Decorso tale termine senza che il titolare abbia provveduto a rendere quest’ultimo conforme all’autorizzazione, l’autorizzazione stessa è revocata.
5. Fatti salvi l’obbligo della tenuta dei registri di carico e scarico da parte dei soggetti di cui all’articolo 12, ed il divieto di miscelazione, le disposizioni del presente articolo non si applicano al deposito temporaneo effettuato nel rispetto delle condizioni stabilite dall’articolo 6, comma 1, lettera m).
6. Il controllo e l’autorizzazione delle operazioni di carico, scarico, trasbordo, deposito e maneggio di rifiuti in aree portuali sono disciplinati dalle specifiche disposizioni di cui alla L. 28 gennaio 1994, n. 84. L’autorizzazione delle operazioni di imbarco e di sbarco non può essere rilasciata se il richiedente non dimostra di avere ottemperato agli adempimenti di cui all’articolo 16, nel caso di trasporto transfrontaliero di rifiuti.
7. Gli impianti mobili di smaltimento o di recupero, ad esclusione della sola riduzione volumetrica, sono autorizzati in via definitiva dalla regione ove l’interessato ha la sede legale o la società straniera proprietaria dell’impianto ha la sede di rappresentanza. Per lo svolgimento delle singole campagne di attività sul territorio nazionale l’interessato, almeno sessanta giorni prima dell’installazione dell’impianto, deve comunicare alla regione nel cui territorio si trova il sito prescelto, le specifiche dettagliate relative alla campagna di attività, allegando l’autorizzazione di cui al comma 1 e l’iscrizione all’Albo nazionale delle imprese di gestione dei rifiuti, nonché l’ulteriore documentazione richiesta. La regione può adottare prescrizioni integrative oppure può vietare l’attività con provvedimento motivato qualora lo svolgimento della stessa nello specifico sito non sia compatibile con la tutela dell’ambiente o della salute pubblica.
 
 
Art. 29 (Autorizzazione di impianti di ricerca e di sperimentazione)
1. I termini di cui agli articoli 27 e 28 sono ridotti alla metà per l’autorizzazione alla realizzazione ed all’esercizio di impianti di ricerca e di sperimentazione qualora siano rispettate le seguenti condizioni:
a) le attività di gestione degli impianti non comportino utile economico;
b) gli impianti abbiano una potenzialità non superiore a 5 tonnellate al giorno, salvo deroghe giustificate dall’esigenza di effettuare prove di impianti caratterizzati da innovazioni, che devono però essere limitate alla durata di tali prove.
2. La durata dell’autorizzazione di cui al comma 1 è di un anno, salvo proroga che può essere concessa previa verifica annuale dei risultati raggiunti e non può comunque superare i due anni.
3. Qualora il progetto o la realizzazione dell’impianto non siano stati approvati e autorizzati entro il termine di cui al comma 1, l’interessato può presentare istanza al Ministro dell’ambiente, che si esprime nei successivi sessanta giorni, di concerto con i Ministri dell’industria, del commercio e dell’artigianato e della ricerca scientifica. La garanzia finanziaria in tal caso è prestata a favore dello Stato.
4. In caso di rischio di agenti patogeni o di sostanze sconosciute e pericolose dal punto di vista sanitario l’autorizzazione di cui al comma 1 è rilasciata dal Ministro dell’ambiente, di concerto con i Ministri dell’industria, del commercio e dell’artigianato, della sanità e della ricerca scientifica.
 
 
 
Art. 30 (Imprese sottoposte ad iscrizione)
 1. L’Albo nazionale delle imprese esercenti servizi di smaltimento dei rifiuti istituito ai sensi dell’articolo 10 del decreto legge 31 agosto 1987, n. 361, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1987, n. 441, assume la denominazione di Albo nazionale delle imprese che effettuano la gestione dei rifiuti di seguito denominato Albo, ed è articolato in un comitato nazionale, con sede presso il Ministero dell’ambiente, ed in Sezioni regionali, istituite presso le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura dei capoluoghi di regione. I componenti del Comitato nazionale e delle Sezioni regionali durano in carica cinque anni.
2. Il Comitato nazionale dell’Albo ha potere deliberante ed è composto da 15 membri esperti nella materia nominati con decreto del Ministro dell’ambiente, di concerto con il Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato, e designati rispettivamente:
a) due dal Ministro dell’ambiente, di cui uno con funzioni di Presidente;
b) uno dal Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato, con funzioni di vicepresidente;
c) uno dal Ministro della sanità;
d) uno dal Ministro dei trasporti e della navigazione;
e) tre dalle Regioni;
f) uno dall’Unione italiana delle Camere di Commercio;
g) sei dalle categorie economiche, di cui due delle categorie degli autotrasportatori.
3. Le Sezioni regionali dell’Albo sono istituite con decreto del Ministro dell’ambiente da emanarsi entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto e sono composte:
a) dal Presidente della Camera di commercio o da un membro del Consiglio camerale all’uopo designato, con funzioni di presidente;
b) da un funzionario o dirigente esperto in rappresentanza della giunta regionale con funzioni di vicepresidente;
c) da un funzionario o dirigente esperto in rappresentanza delle province designato dall’Unione Regionale delle Province;
d) da un esperto designato dal Ministro dell’ambiente.
4. Le imprese che svolgono attività di raccolta e trasporto di rifiuti non pericolosi prodotti da terzi e le imprese che raccolgono e trasportano rifiuti pericolosi, esclusi i trasporti di rifiuti pericolosi che non eccedano la quantità di trenta chilogrammi al giorno o di trenta litri al giorno effettuati dal produttore degli stessi rifiuti (2), nonché le imprese che intendono effettuare attività di bonifica dei siti, di bonifica dei beni contenenti amianto, di commercio ed intermediazione dei rifiuti, di gestione di impianti di smaltimento e di recupero di titolarità di terzi, e di gestione di impianti mobili di smaltimento e di recupero di rifiuti, devono essere iscritte all’Albo. L’iscrizione deve essere rinnovata ogni cinque anni e sostituisce l’autorizzazione all’esercizio delle attività di raccolta, di trasporto, di commercio e di intermediazione dei rifiuti; per le altre attività l’iscrizione abilita alla gestione degli impianti il cui esercizio sia stato autorizzato ai sensi del presente decreto.
5. L’iscrizione di cui al comma 4 ed i provvedimenti di sospensione, di revoca, di decadenza e di annullamento dell’iscrizione, nonché, dal 1° gennaio 1998, l’accettazione delle garanzie finanziarie, sono deliberati dalla sezione regionale dell’Albo della regione ove ha sede legale l’interessato, in conformità alla normativa vigente ed alle direttive emesse dal Comitato nazionale.
6. Con decreti del Ministro dell’ambiente, di concerto con i Ministri dell’industria, del commercio e dell’artigianato, dei trasporti e della navigazione e del Tesoro, da adottarsi entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sono definite le attribuzioni e le modalità organizzative dell’Albo, nonché i requisiti, i termini, le modalità ed i diritti d’iscrizione, le modalità e gli importi delle garanzie finanziarie che devono essere prestate a favore dello Stato dalle imprese di cui al comma 4, in conformità ai seguenti principi:
a) individuazione di requisiti univoci per l’iscrizione, al fine di semplificare le procedure;
b) coordinamento con la vigente normativa sull’autotrasporto, in coerenza con la finalità di cui alla lettera a);
c) trattamento uniforme dei componenti delle Sezioni regionali, per garantire l’efficienza operativa;
d) effettiva copertura delle spese attraverso i diritti di segreteria e i diritti annuali d’iscrizione.
7. In attesa dell’emanazione dei decreti, di cui ai commi 2 e 3 continuano ad operare, rispettivamente, il Comitato nazionale e le Sezioni regionali dell’Albo nazionale delle imprese esercenti servizi di smaltimento dei rifiuti di cui all’articolo 1 del decreto legge 31 agosto 1987, n. 361, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1987, n. 441. L’iscrizione all’Albo è deliberata ai sensi della legge 11 novembre 1996, n. 575.
8. Fino all’emanazione dei decreti di cui al comma 6 continuano ad applicarsi le disposizioni vigenti. Le imprese che intendono effettuare attività di bonifica dei siti, di bonifica dei beni contenenti amianto, di commercio ed intermediazione dei rifiuti devono iscriversi all’albo entro sessanta giorni dall’entrata in vigore delle relative norme tecniche.
9. Restano valide ed efficaci le iscrizioni effettuate e le domande d’iscrizione presentate all’Albo nazionale delle imprese esercenti servizi di smaltimento dei rifiuti di cui all’articolo 10 del decreto legge 31 agosto 1987, n. 361, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1987, n. 441, e successive modificazioni ed integrazioni e delle relative disposizioni di attuazione, alla data di entrata in vigore del presente decreto.
 
10. Il possesso dei requisiti di idoneità tecnica e di capacità finanziaria per l’iscrizione all’Albo delle aziende speciali, dei consorzi e delle società di cui all’articolo 22 della legge 8 giugno 1990, n. 142 (3), che esercitano i servizi di gestione dei rifiuti, è garantito dal comune o dal consorzio di comuni. L’iscrizione all’Albo è effettuata sulla base di apposita comunicazione di inizio di attività del comune o del consorzio di comuni alla sezione regionale dell’Albo territorialmente competente ed è efficace solo per le attività svolte nell’interesse del comune medesimo o dei consorzi ai quali il Comune stesso partecipa.
11. Avverso i provvedimenti delle sezioni regionali dell’Albo gli interessati possono promuovere, entro trenta giorni dalla notifica dei provvedimenti stessi, ricorso al Comitato nazionale dell’Albo.
12. Alla segreteria dell’Albo è destinato personale comandato da amministrazioni dello Stato ed enti pubblici, secondo criteri stabiliti con decreto del Ministro dell’ambiente, di concerto con il Ministro del Tesoro.
13. Agli oneri per il funzionamento del Comitato nazionale e delle Sezioni regionali si provvede con le entrate derivanti dai diritti di segreteria e dai diritti annuali d’iscrizione, secondo le modalità previste dal decreto del Ministro dell’ambiente 20 dicembre 1993 e successive modifiche.
14. Il decreto del Presidente della Repubblica 9 maggio 1994, n. 407, non si applica alle domande di iscrizione e agli atti di competenza dell’Albo.
15. Per le attività di cui al comma 4, le autorizzazioni rilasciate ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 10 settembre 1982, n. 915, in scadenza, sono prorogate, a cura delle amministrazioni che le hanno rilasciate, fino alla data di efficacia dell’iscrizione all’Albo o a quelle della decisione definitiva sul provvedimento di diniego di iscrizione. Le stesse amministrazioni adottano i provvedimenti di diffida, di variazione, di sospensione o di revoca delle predette autorizzazioni.
16. Le imprese che effettuano attività di raccolta e trasporto dei rifiuti sottoposti a procedure semplificate ai sensi dell’articolo 33, ed effettivamente avviati al riciclaggio ed al recupero, non sono sottoposte alle garanzie finanziarie di cui al comma 6 e sono iscritte all’Albo previa comunicazione di inizio di attività alla sezione regionale territorialmente competente. Detta comunicazione deve essere rinnovata ogni due anni e deve essere corredata da idonea documentazione predisposta ai sensi del decreto ministeriale 21 giugno 1991, n. 324, e successive modifiche ed integrazioni, nonché delle deliberazioni del Comitato nazionale dalla quale risultino i seguenti elementi:
a) la quantità, la natura, l’origine e la destinazione dei rifiuti;
b) la frequenza media della raccolta;
c) la rispondenza delle caratteristiche tecniche e della tipologia del mezzo utilizzato ai requisiti stabiliti dall’Albo in relazione ai tipi di rifiuti da trasportare;
d) il rispetto delle condizioni ed il possesso dei requisiti soggettivi, di idoneità tecnica e di capacità finanziaria.
16 bis. Entro dieci giorni dal ricevimento della comunicazione di inizio di attività le sezioni regionali e provinciali iscrivono le imprese di cui al comma 1 in appositi elenchi dandone comunicazione al Comitato nazionale, alla provincia territorialmente competente ed all’interessato. Le imprese che svolgono attività di raccolta e trasporto di rifiuti sottoposti a procedure semplificate ai sensi dell’articolo 33 devono conformarsi alle disposizioni di cui al comma 16 entro il 15 gennaio 1998.
17. Alla comunicazione di cui al comma 16 si applicano le disposizioni di cui all’articolo 21 della legge 7 agosto 1990, n. 241.
17 bis. Sono esonerati dall’obbligo di cui al comma 4 i consorzi di cui agli articoli 40, 41, 47 e 48 del presente decreto e i consorzi di cui all’articolo 9 quinquies del decreto legge 9 settembre 1988, n. 397, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 novembre 1988, n. 475, e all’articolo 11 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 95 (4).
 
 
(1) Si veda il D.M. 28 aprile 1998, n. 406.
(2) Questo comma è stato così modificato dall’art. 1, comma 19, della L. 9 dicembre 1998, n. 426.
(3) Si veda, ora, il D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267.
(4) Questo comma è stato aggiunto dall’art. 23, comma 1, lett. f), della L. 31 luglio 2002, n. 179.
 
 
CAPO V
PROCEDURE SEMPLIFICATE
Art. 31 (Determinazione delle attività e delle caratteristiche dei rifiuti per l'ammissione alle procedure semplificate)
 
31. (3) (Determinazione delle attività e delle caratteristiche dei rifiuti per l’ammissione alle procedure semplificate). 1. Le procedure semplificate devono comunque garantire un elevato livello di protezione ambientale e controlli efficaci.
2. Con decreti del Ministro dell’ambiente, di concerto con i Ministri dell’industria, del commercio e dell’artigianato e della sanità, e, per i rifiuti agricoli e le attività che danno vita ai fertilizzanti, di concerto con il Ministro delle risorse agricole, alimentari e forestali, sono adottate per ciascun tipo di attività le norme, che fissano i tipi e le quantità di rifiuti, e le condizioni in base alle quali le attività di smaltimento di rifiuti non pericolosi effettuate dai produttori nei luoghi di produzione degli stessi e le attività di recupero di cui all’allegato C sono sottoposte alle procedure semplificate di cui agli articoli 32 e 33. Con la medesima procedura si provvede all’aggiornamento delle predette norme tecniche e condizioni (1).
3. Le norme e le condizioni di cui al comma 2 sono individuate entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto e devono garantire che i tipi o le quantità di rifiuti ed i procedimenti e metodi di smaltimento o di recupero siano tali da non costituire un pericolo per la salute dell’uomo e da non recare pregiudizio all’ambiente. In particolare per accedere alle procedure semplificate le attività di trattamento termico e di recupero energetico devono, inoltre, rispettare le seguenti condizioni:
a) siano utilizzati combustibili da rifiuti urbani oppure rifiuti speciali individuati per frazioni omogenee;
b) i limiti di emissione non siano meno restrittivi di quelli stabiliti per gli impianti di incenerimento dei rifiuti dalle direttive comunitarie 89/369/CEE del Consiglio dell’8 giugno 1989, 89/429/CEE del Consiglio del 21 giugno 1989, 94/67/CE del Consiglio del 16 dicembre 1994, e successive modifiche ed integrazioni, e dal decreto del Ministro dell’ambiente 16 gennaio 1995, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale 30 gennaio 1995, n. 24. Le prescrizioni tecniche riportate all’articolo 6, comma 2, della direttiva 94/67/CE del Consiglio del 16 dicembre 1994 si applicano anche agli impianti termici produttivi che utilizzano per la combustione comunque rifiuti pericolosi (2);
c) sia garantita la produzione di una quota minima di trasformazione del potere calorifico dei rifiuti in energia utile calcolata su base annuale.
4. L’emanazione delle norme e delle condizioni di cui al comma 2 deve riguardare, in primo luogo, i rifiuti indicati nella lista verde di cui all’allegato II del regolamento CEE n. 259/93, e successive modifiche ed integrazioni.
5. Per la tutela dei registri di cui agli articoli 32, comma 3, e 33 comma 3, e l’effettuazione dei controlli periodici, l’interessato è tenuto a versare alla provincia un diritto di iscrizione annuale determinato in relazione alla natura dell’attività con decreto del Ministro dell’ambiente, di concerto con i Ministri dell’industria, del commercio e dell’artigianato e del Tesoro.
6. La costruzione di impianti che recuperano rifiuti nel rispetto delle condizioni, delle prescrizioni e delle norme tecniche di cui ai commi 2 e 3 è disciplinata dal D.P.R. 24 maggio 1988, n. 203, e dalle altre disposizioni che regolano la costruzione di impianti industriali. L’autorizzazione all’esercizio nei predetti impianti di operazioni di recupero di rifiuti non individuati ai sensi del presente articolo resta comunque sottoposta alle disposizioni di cui agli articoli 27 e 28.
7. Alle denunce e alle domande disciplinate dal presente Capo si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1992, n. 300, e successive modifiche ed integrazioni. Si applicano, altresì, le disposizioni di cui all’articolo 21 della L. 7 agosto 1990, n. 241.
 
 
(1) Si veda il D.M. 5 febbraio 1998 (Suppl. ord. alla G.U. n. 88 del 16 aprile 1998).
(2) Le parole da: «Le prescrizioni tecniche ...» a «... rifiuti pericolosi» sono state aggiunte dall’art. 21, comma 2, della L. 24 aprile 1998, n. 128.
(3) Si veda il D.M. 12 giugno 2002, n. 161.
 
Art. 32 (Autosmaltimento)
 1. A condizione che siano rispettate le norme tecniche e le prescrizioni specifiche adottate ai sensi dei commi 1, 2 e 3 dell’articolo 31, le attività di smaltimento di rifiuti non pericolosi effettuate nel luogo di produzione dei rifiuti stessi possono essere intraprese decorsi novanta giorni dalla comunicazione di inizio di attività alla provincia territorialmente competente.
2. Le norme tecniche di cui al comma 1 prevedono in particolare:
a) il tipo, la quantità, e le caratteristiche dei rifiuti da smaltire;
b) il ciclo di provenienza dei rifiuti;
c) le condizioni per la realizzazione e l’esercizio degli impianti;
d) le caratteristiche dell’impianto di smaltimento;
e) la qualità delle emissioni nell’ambiente.
3. La provincia iscrive in un apposito registro (1) le imprese che effettuano la comunicazione di inizio di attività ed entro il termine di cui al comma 1 verifica d’ufficio la sussistenza dei presupposti e dei requisiti richiesti. A tal fine alla comunicazione di inizio di attività è allegata una relazione dalla quale deve risultare:
a) il rispetto delle condizioni e delle norme tecniche specifiche di cui al comma 1;
b) il rispetto delle norme tecniche di sicurezza e delle procedure autorizzative previste dalla normativa vigente.
4. Qualora la provincia accerti il mancato rispetto delle norme tecniche e delle condizioni di cui al comma 1 dispone con provvedimento motivato il divieto di inizio ovvero di prosecuzione dell’attività, salvo che l’interessato non provveda a conformare alla normativa vigente dette attività ed i suoi effetti entro il termine prefissato dall’amministrazione.
5. La comunicazione di cui al comma 1 deve essere rinnovata ogni cinque anni e, comunque, in caso di modifica sostanziale delle operazioni di autosmaltimento.
6. Restano sottoposte alle disposizioni di cui agli articoli 27 e 28 le attività di autosmaltimento di rifiuti pericolosi e la discarica di rifiuti.
 
 
(1) Si veda il D.M. 21 luglio 1998, n. 350.
 
Art. 33 (Operazioni di recupero)
 
 1. A condizione che siano rispettate le norme tecniche e le prescrizioni specifiche adottate ai sensi dei commi 1, 2 e 3 dell’articolo 31, l’esercizio delle operazioni di recupero dei rifiuti possono essere intraprese decorsi novanta giorni dalla comunicazione di inizio di attività alla provincia territorialmente competente.
2. Le condizioni e le norme tecniche di cui al comma 1, in relazione a ciascun tipo di attività, prevedono in particolare:
a) per i rifiuti non pericolosi:
  1) le quantità massime impiegabili;
  2) la provenienza, i tipi e le caratteristiche dei rifiuti utilizzabili nonché le condizioni specifiche alle quali le attività medesime sono sottoposte alla disciplina prevista dal presente articolo;
  3) le prescrizioni necessarie per assicurare che, in relazione ai tipi o alle quantità dei rifiuti ed ai metodi di recupero, i rifiuti stessi siano recuperati senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all’ambiente;
b) per i rifiuti pericolosi:
  1) le quantità massime impiegabili;
  2) provenienza, i tipi e caratteristiche dei rifiuti;
  3) le condizioni specifiche riferite ai valori limite di sostanze pericolose contenute nei rifiuti, ai valori limite di emissione per ogni tipo di rifiuto ed al tipo di attività e di impianto utilizzato, anche in relazione alle altre emissioni presenti in sito;
  4) altri requisiti necessari per effettuare forme diverse di recupero;
  5) le prescrizioni necessarie per assicurare che, in relazione al tipo ed alle quantità di sostanze pericolose contenute nei rifiuti ed ai metodi di recupero, i rifiuti stessi siano recuperati senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti e metodi che potrebbero recare pregiudizio all’ambiente.
3. La provincia iscrive in un apposito registro le imprese che effettuano la comunicazione di inizio di attività ed entro il termine di cui al comma 1 verifica d’ufficio la sussistenza dei presupposti e dei requisiti richiesti. A tal fine alla comunicazione di inizio di attività è allegata una relazione dalla quale deve risultare:
a) il rispetto delle norme tecniche e delle condizioni specifiche di cui al comma 1;
b) il possesso dei requisiti soggettivi richiesti per la gestione dei rifiuti;
c) le attività di recupero che si intendono svolgere;
d) stabilimento, capacità di recupero e ciclo di trattamento o di combustione nel quale i rifiuti stessi sono destinati ad essere recuperati;
e) le caratteristiche merceologiche dei prodotti derivanti dai cicli di recupero.
4. Qualora la provincia accerti il mancato rispetto delle norme tecniche e delle condizioni di cui al comma 1 dispone con provvedimento motivato il divieto di inizio ovvero di prosecuzione dell’attività, salvo che l’interessato non provveda a conformare alla normativa vigente dette attività ed i suoi effetti entro il termine prefissato dall’amministrazione.
5. La comunicazione di cui al comma 1 deve essere rinnovata ogni 5 anni e comunque in caso di modifica sostanziale delle operazioni di recupero.
6. Sino all’adozione delle norme tecniche e delle condizioni di cui al comma 1 e comunque non oltre quarantacinque giorni dal termine del periodo di sospensione previsto dall’articolo 9 della direttiva 83/189/CEE e dall’articolo 3 della direttiva 91/689/CEE, le procedure di cui ai commi 1 e 2 si applicano a chiunque effettui operazioni di recupero dei rifiuti elencati rispettivamente nell’allegato 3 al decreto del Ministro dell’ambiente 5 settembre 1994, pubblicato nel supplemento ordinario n. 126 alla Gazzetta Ufficiale 10 settembre 1994, n. 212, e nell’allegato 1 al decreto del Ministro dell’ambiente 16 gennaio 1995, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale 30 gennaio 1995, n. 24, nel rispetto delle prescrizioni ivi contenute; a tal fine si considerano valide ed efficaci le comunicazioni già effettuate alla data di entrata in vigore del presente decreto. Le comunicazioni effettuate dopo la data di entrata in vigore del presente decreto sono valide ed efficaci solo se a tale data la costruzione dell’impianto, ove richiesto dal tipo di attività di recupero, era stata già ultimata.
7. La procedura semplificata di cui al presente articolo sostituisce, limitatamente alle variazioni qualitative e quantitative delle emissioni determinate dai rifiuti individuati dalle norme tecniche di cui al comma 1 che già fissano i limiti di emissione in relazione alle attività di recupero degli stessi, l’autorizzazione di cui all’articolo 15, lettera a) del D.P.R. 24 maggio 1988, n. 203.
8. Le disposizioni semplificate del presente articolo non si applicano alle attività di recupero dei rifiuti urbani, ad eccezione:
a) delle attività di riciclaggio e di recupero di materia prima e di produzione di compost di qualità dai rifiuti provenienti da raccolta differenziata;
b) delle attività di trattamento dei rifiuti urbani per ottenere combustibile da rifiuto effettuate nel rispetto delle norme tecniche di cui al comma 1;
[c) dell’impiego di combustibile da rifiuto nel rispetto delle specifiche norme tecniche adottate ai sensi del comma 1, che stabiliscono in particolare la composizione merceologica e le caratteristiche qualitative del combustibile da rifiuto ai sensi della lettera p) dell’articolo 6] (1).
 
9. Fermi restando il rispetto dei limiti di emissione in atmosfera di cui all’articolo 31, comma 3, e dei limiti delle altre emissioni inquinanti stabilite da disposizioni vigenti nonché fatta salva l’osservanza degli altri vincoli a tutela dei profili sanitari e ambientali, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, il Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato, di concerto con il Ministro dell’ambiente, determina modalità, condizioni e misure relative alla concessione di incentivi finanziari previsti da disposizioni legislative all’utilizzazione dei rifiuti come combustibile per produrre energia elettrica, tenuto anche conto del prevalente interesse pubblico al recupero energetico nelle centrali elettriche di rifiuti urbani sottoposti a preventive operazioni di trattamento finalizzate alla produzione di combustibile da rifiuti.
10. I rifiuti non pericolosi individuati con apposite norme tecniche ai sensi del comma 1 che vengono utilizzati in operazioni non comprese tra quelle di cui all’allegato C sono sottoposti unicamente alle disposizioni di cui agli articoli 10 comma 3, 11, 12 e 15, nonché alle relative norme sanzionatorie.
11. Alle attività di cui ai commi precedenti si applicano integralmente le norme ordinarie per lo smaltimento qualora i rifiuti non vengano destinati in modo effettivo ed oggettivo al recupero.
12. Le condizioni e le norme tecniche relative ai rifiuti pericolosi di cui al comma 1 sono comunicate alla Commissione dell’Unione Europea tre mesi prima della loro entrata in vigore.
12 bis. Le operazioni di messa in riserva dei rifiuti pericolosi individuati ai sensi del presente articolo sono sottoposte alle procedure semplificate di comunicazione di inizio di attività solo se effettuate presso l’impianto dove avvengono le operazioni di riciclaggio e di recupero previste ai punti da R1 a R9 dell’allegato C.
12 ter. Fatto salvo quanto previsto dal comma 12 bis le norme tecniche di cui ai commi 1, 2 e 3 stabiliscono le caratteristiche impiantistiche dei centri di messa in riserva non localizzati presso gli impianti dove sono effettuate le operazioni di riciclaggio e di recupero individuate ai punti da R1 a R9, nonché le modalità di stoccaggio e i termini massimi entro i quali i rifiuti devono essere avviati alle predette operazioni.
 
 
(1) Questa lettera è stata soppressa dall’art. 7, comma 11, lett. b), del D.L. 28 dicembre 2001, n. 452, convertito, con modificazioni, nella L. 27 febbraio 2002, n. 16.
(2) Si veda il D.M. 12 giugno 2002, n. 161.
 
 
TITOLO II
GESTIONE DEGLI IMBALLAGGI (2)
Art. 34 (Ambito di applicazione)
 
 1. Il presente Titolo disciplina la gestione degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio sia per prevenirne e ridurne l’impatto sull’ambiente ed assicurare un elevato livello di tutela dell’ambiente, sia per garantire il funzionamento del mercato e prevenire l’insorgere di ostacoli agli scambi, nonché distorsioni e restrizioni alla concorrenza ai sensi della direttiva 94/62/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 dicembre 1994.
2. La disciplina di cui al comma 1 riguarda la gestione di tutti gli imballaggi immessi sul mercato nazionale e di tutti i rifiuti di imballaggio derivanti dal loro impiego, utilizzati o prodotti da industrie, esercizi commerciali, uffici, negozi, servizi, nuclei domestici, a qualsiasi altro livello, qualunque siano i materiali che li compongono.
3. Restano fermi i vigenti requisiti in materia di qualità degli imballaggi, quali quelli relativi alla sicurezza, alla protezione della salute e all’igiene dei prodotti imballati, nonché le vigenti disposizioni in materia di trasporto e sui rifiuti pericolosi.
4. I requisiti per la fabbricazione di imballaggi stabiliti dal presente titolo non si applicano agli imballaggi utilizzati per un determinato prodotto prima del 31 dicembre 1994.
5. Per un periodo non superiore a cinque anni dalla data di entrata in vigore delle disposizioni del presente titolo è consentita l’immissione sul mercato di imballaggi fabbricati prima di tale data e conformi alle norme vigenti.
 
Art. 35 (Definizioni)
1. Ai fini dell’applicazione del presente Titolo si intende per:
a) imballaggio: il prodotto, composto di materiali di qualsiasi natura, adibito a contenere e a proteggere determinate merci, dalle materie prime ai prodotti finiti, a consentire la loro manipolazione e la loro consegna dal produttore al consumatore o all’utilizzatore, e ad assicurare la loro presentazione, nonché gli articoli a perdere usati allo stesso scopo;
b) imballaggio per la vendita o imballaggio primario: imballaggio concepito in modo da costituire, nel punto di vendita, un’unità di vendita per l’utente finale o per il consumatore;
c) imballaggio multiplo o imballaggio secondario: imballaggio concepito in modo da costituire, nel punto di vendita, il raggruppamento di un certo numero di unità di vendita, indipendentemente dal fatto che sia venduto come tale all’utente finale o al consumatore, o che serva soltanto a facilitare il rifornimento degli scaffali nel punto di vendita. Esso può essere rimosso dal prodotto senza alterarne le caratteristiche;
d) imballaggio per il trasporto o imballaggio terziario: imballaggio concepito in modo da facilitare la manipolazione ed il trasporto di un certo numero di unità di vendita oppure di imballaggi multipli per evitare la loro manipolazione ed i danni connessi al trasporto, esclusi i container per i trasporti stradali, ferroviari, marittimi ed aerei;
e) rifiuto di imballaggio: ogni imballaggio o materiale di imballaggio, rientrante nella definizione di rifiuto di cui all’articolo 6, comma 1, lettera a), esclusi i residui della produzione;
f) gestione dei rifiuti di imballaggio: le attività di gestione di cui all’articolo 6, comma 1, lettera d);
g) prevenzione: riduzione, in particolare attraverso lo sviluppo di prodotti e di tecnologie non inquinanti, della quantità e della nocività per l’ambiente sia delle materie e delle sostanze utilizzate negli imballaggi e nei rifiuti di imballaggio, sia degli imballaggi e rifiuti di imballaggio nella fase del processo di produzione, nonché in quella della commercializzazione, della distribuzione, dell’utilizzazione e della gestione post-consumo;
h) riutilizzo: qualsiasi operazione nella quale l’imballaggio concepito e progettato per poter compiere, durante il suo ciclo di vita, un numero minimo di spostamenti o rotazioni è riempito di nuovo o reimpiegato per un uso identico a quello per il quale è stato concepito, con o senza il supporto di prodotti ausiliari presenti sul mercato che consentano il riempimento imballaggio stesso; tale imballaggio riutilizzato diventa rifiuto di imballaggio quando cessa di essere reimpiegato;
i) riciclaggio: ritrattamento in un processo di produzione dei rifiuti di imballaggio per la loro funzione originaria o per altri fini, compreso il riciclaggio organico e ad esclusione del recupero di energia;
l) recupero dei rifiuti generati da imballaggi: tutte le pertinenti operazioni previste dall’allegato C al presente decreto;
m) recupero di energia: l’utilizzazione di rifiuti di imballaggio combustibili quale mezzo per produrre energia mediante incenerimento diretto con o senza altri rifiuti ma con recupero di calore;
n) riciclaggio organico: il trattamento aerobico (compostaggio) o anaerobico (biometanazione), ad opera di microrganismi ed in condizioni controllate, delle parti biodegradabili dei rifiuti di imballaggio, con produzione di residui organici stabilizzanti o di metano, ad esclusione dell’interramento in discarica, che non può essere considerato una forma di riciclaggio organico;
o) smaltimento: tutte le pertinenti operazioni di cui all’allegato B al presente decreto;
p) operatori economici: i fornitori di materiali di imballaggio, i fabbricanti ed i trasformatori di imballaggi, gli addetti al riempimento e gli utenti, gli importatori, i commercianti ed i distributori, le pubbliche amministrazioni e gli organismi di diritto pubblico;
q) produttori: i fornitori di materiali di imballaggio, i fabbricanti, i trasformatori e gli importatori di imballaggi vuoti e di materiali di imballaggio;
r) utilizzatori: i commercianti, i distributori, gli addetti al riempimento, gli utenti di imballaggi e gli importatori di imballaggi pieni;
s) pubbliche amministrazioni e organismi di diritto pubblico: i soggetti e gli enti che gestiscono il servizio di raccolta, trasporto, recupero e smaltimento di rifiuti solidi urbani nelle forme di cui alla legge 8 giugno 1990, n. 142 (1), o loro concessionari;
t) consumatore: l’utente finale che acquista o importa per proprio uso imballaggi, articoli o merci imballate;
u) accordo volontario: accordo ufficiale concluso tra le autorità pubbliche competenti e i settori economici interessati, aperto a tutti gli interlocutori che desiderano, che disciplina i mezzi, gli strumenti e le azioni per raggiungere gli obiettivi di cui all’articolo 37.
 
 
(1) Si veda, ora, il D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267.
 
Art. 36 (Criteri informatori dell'attività di gestione dei rifiuti di imballaggio)
1. L’attività di gestione degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio si informa ai seguenti principi generali:
a) incentivazione e promozione della prevenzione alla fonte della quantità e della pericolosità degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio, soprattutto attraverso iniziative, anche di natura economica in conformità ai principi del diritto comunitario, volte a promuovere lo sviluppo di tecnologie pulite ed a ridurre a monte la produzione e l’utilizzazione degli imballaggi, nonché a favorire la produzione di imballaggi riutilizzabili ed il riutilizzo degli imballaggi;
b) incentivazione del riciclaggio e del recupero di materia prima, sviluppo della raccolta differenziata di rifiuti di imballaggio e promozione di opportunità di mercato per incoraggiare l’utilizzazione dei materiali ottenuti da imballaggi riciclati e recuperati;
c) riduzione del flusso dei rifiuti di imballaggi destinati allo smaltimento finale attraverso le altre forme di recupero dei rifiuti di imballaggi;
c bis) l’applicazione di misure di prevenzione consistenti in programmi nazionali o azioni analoghe da adottarsi previa consultazione degli operatori economici interessati.
2. Al fine di assicurare la responsabilizzazione degli operatori economici conformemente al principio «chi inquina paga» nonché la cooperazione degli stessi secondo il principio della «responsabilità condivisa», l’attività di gestione dei rifiuti di imballaggio si ispira, inoltre, ai seguenti principi:
a) individuazione degli obblighi di ciascun operatore economico, garantendo che il costo della raccolta, della valorizzazione e dell’eliminazione dei rifiuti di imballaggio sia sostenuto dai produttori e dagli utilizzatori in proporzione delle quantità di imballaggi immessi sul mercato nazionale e che la pubblica amministrazione organizzi la raccolta differenziata;
b) promozione di forme di cooperazione tra i soggetti istituzionali ed economici;
c) informazione degli utenti degli imballaggi, ed in particolare dei consumatori;
d) incentivazione della restituzione degli imballaggi usati e del conferimento dei rifiuti di imballaggi in raccolta differenziata da parte del consumatore.
3. Le informazioni di cui alla lettera c) del comma 2 riguardano in particolare:
a) i sistemi di restituzione, di raccolta e di recupero disponibili;
b) il ruolo degli utenti di imballaggi ed in particolare dei consumatori nel processo di riutilizzazione, di recupero e di riciclaggio degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio;
c) il significato dei marchi apposti sugli imballaggi quali si presentano sul mercato;
d) i pertinenti elementi dei piani di gestione per gli imballaggi ed i rifiuti di imballaggio.
4. In conformità alle determinazioni assunte dalla Commissione dell’Unione Europea, con decreto del Ministro dell’ambiente e del Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato, sono adottate le misure tecniche che dovessero risultare necessarie nell’applicazione delle disposizioni del presente Titolo, con particolare riferimento agli imballaggi pericolosi, anche domestici, nonché agli imballaggi primari di apparecchiature mediche e prodotti farmaceutici, ai piccoli imballaggi ed agli imballaggi di lusso. Qualora siano interessati aspetti sanitari il predetto decreto è adottato di concerto con il Ministro della sanità.
5. Tutti gli imballaggi devono essere opportunamente etichettati secondo le modalità stabilite con decreto del Ministro dell’ambiente e del Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato in conformità alle determinazioni adottate dalla Commissione dell’Unione europea, per facilitare la raccolta, il riutilizzo, il recupero ed il riciclaggio degli imballaggi, nonché per dare una corretta informazione ai consumatori sulle destinazioni finali degli imballaggi. Fino alla definizione del sistema di identificazione europeo si applica, agli imballaggi per i liquidi, la normativa vigente in materia di etichettatura.
 
 
Art. 37 (Obiettivi di recupero e di riciclaggio)
 
 1. Per conformarsi ai principi di cui all’articolo 36, i produttori e gli utilizzatori devono conseguire gli obiettivi finali di riciclaggio e di recupero dei rifiuti di imballaggi fissati nell’allegato E ed i relativi obiettivi intermedi.
2. Per garantire il controllo del raggiungimento degli obiettivi di riciclaggio e di recupero, a partire dall’1 gennaio 1998, i produttori e gli utilizzatori di imballaggi ed i soggetti impegnati nelle attività di riciclaggio e di recupero dei rifiuti di imballaggio comunicano annualmente, secondo le modalità previste dalla legge 25 gennaio 1994, n. 70, i dati di rispettiva competenza, riferiti all’anno solare precedente, relativi al quantitativo degli imballaggi per ciascun materiale e per tipo di imballaggio immesso sul mercato, nonché, per ciascun materiale, la quantità degli imballaggi riutilizzati e dei rifiuti di imballaggio riciclati e recuperati provenienti dal mercato nazionale; tali dati sono trasmessi all’ANPA ai sensi dell’articolo 2, comma 2 della legge 25 gennaio 1994, n. 70. Le predette comunicazioni possono essere presentate dai consorzi di cui all’articolo 40 per i soggetti che hanno aderito agli stessi, e dalle associazioni di categoria per gli utilizzatori.
3. Qualora gli obiettivi di riciclaggio e di recupero dei rifiuti di imballaggio non siano raggiunti entro trenta giorni dalle scadenze previste, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’ambiente e del Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato, alle diverse tipologie di materiali di imballaggi sono applicate misure di natura economica, ivi comprese misure di carattere pecuniario, proporzionate al mancato raggiungimento di singoli obiettivi, il cui introito è versato alle entrate del bilancio dello Stato per essere riassegnato con decreto del Ministro del tesoro ad apposito capitolo del Ministero dell’ambiente. Dette somme saranno utilizzate per promuovere la prevenzione, la raccolta differenziata, il riciclaggio e il recupero dei rifiuti di imballaggio nell’ambito del Programma Triennale dell’Ambiente.
4. Gli obiettivi di cui al comma 1 sono riferiti ai rifiuti di imballaggi generati sul territorio nazionale, nonché a tutti i sistemi di riciclaggio e di recupero al netto degli scarti, e sono adottati ed aggiornati in conformità alla normativa comunitaria con decreto del Ministro dell’ambiente e del Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato.
5. Il Ministro dell’ambiente e il Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato notificano alla Commissione dell’Unione Europea, ai sensi e secondo le modalità di cui agli articoli 12, 16 e 17 della direttiva 94/62/CEE del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 dicembre 1994, la relazione sull’attuazione delle disposizioni del presente titolo accompagnata dai dati acquisiti ai sensi del comma 2 e i progetti delle misure che si intendono adottare nell’ambito del titolo medesimo.
5 bis. Il Ministro dell’ambiente e il Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato forniscono periodicamente all’Unione europea e agli altri Paesi membri i dati sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggi secondo le tabelle e gli schemi adottati dalla Commissione dell’Unione europea con la decisione 97/138/CE del 3 febbraio 1997.
 
 
Art. 38 (Obblighi dei produttori e degli utilizzatori)
 
 1. I produttori e gli utilizzatori sono responsabili della corretta gestione ambientale degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio generati dal consumo dei propri prodotti.
2. Nell’ambito degli obiettivi di cui agli articoli 24 e 37, i produttori e gli utilizzatori adempiono all’obbligo della raccolta dei rifiuti di imballaggi [primari e degli altri rifiuti di imballaggi comunque conferiti al servizio pubblico tramite il gestore del servizio medesimo] (2). A tal fine i produttori e gli utilizzatori sono obbligati a partecipare al Consorzio Nazionale Imballaggi di cui all’articolo 41. Per gli utilizzatori che partecipano al Consorzio nazionale degli imballaggi la comunicazione di cui all’articolo 37, comma 2, viene presentata dal soggetto che effettua la gestione dei rifiuti di imballaggio (1).
3. Per adempiere agli obblighi di riciclaggio e di recupero nonché agli obblighi della ripresa degli imballaggi usati e della raccolta dei rifiuti di imballaggio secondari e terziari su superfici private, nonché all’obbligo del ritiro, su indicazione del Consorzio Nazionale Imballaggi di cui all’articolo 41, dei rifiuti di imballaggio conferiti dal servizio pubblico, i produttori, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore delle disposizioni del presente titolo, possono:
a) organizzare autonomamente la raccolta, il riutilizzo, il riciclaggio ed il recupero dei rifiuti di imballaggio;
b) aderire ad uno dei consorzi di cui all’articolo 40;
c) mettere in atto un sistema cauzionale.
4. Ai fini di cui al comma 3 gli utilizzatori sono tenuti a ritirare gratuitamente gli imballaggi usati secondari e terziari ed i rifiuti di imballaggio secondari e terziari nonché a consegnarli in un luogo di raccolta organizzato dal produttore e con lo stesso concordato.
5. I produttori che non aderiscono al Consorzio di cui all’articolo 40 devono dimostrare all’Osservatorio di cui all’articolo 26, entro novanta giorni dal termine di cui al comma 3, di:
a) adottare dei provvedimenti per il ritiro degli imballaggi usati da loro immessi sul mercato;
b) avere organizzato la prevenzione della produzione dei rifiuti di imballaggio, la riutilizzazione degli imballaggi e la raccolta, il trasporto, il riciclaggio ed il recupero dei rifiuti di imballaggio;
c) garantire che gli utenti finali degli imballaggi siano informati sul ritiro e sulle sue relative possibilità.
6. I produttori che non aderiscono ai Consorzi di cui all’articolo 40 devono inoltre elaborare e trasmettere al Consorzio Nazionale Imballaggi di cui all’articolo 41 un proprio Programma specifico di prevenzione che costituisce la base per l’elaborazione del programma generale di cui all’articolo 42.
7. Entro il 31 marzo di ogni anno, a partire da quello successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto, i produttori che non aderiscono ai Consorzi di cui all’articolo 40, sono tenuti a presentare all’Osservatorio sui rifiuti di cui all’articolo 26 una relazione sulla gestione, comprensiva del programma specifico e dei risultati conseguiti nel recupero e nel riciclo dei rifiuti di imballaggio, nella quale possono essere evidenziati i problemi inerenti il raggiungimento degli scopi istituzionali e le eventuali proposte di adeguamento della normativa.
8. I produttori che non dimostrano di adottare adeguati provvedimenti sono obbligati a partecipare ai consorzi di cui all’articolo 40, fatti salvi l’obbligo di corrispondere i contributi pregressi e l’applicazione delle sanzioni di cui all’articolo 54.
9. Sono a carico dei produttori e degli utilizzatori i costi per:
a) il ritiro degli imballaggi usati e la raccolta dei rifiuti di imballaggio secondari e terziari;
b) la raccolta differenziata dei rifiuti di imballaggio conferiti al servizio pubblico;
c) il riutilizzo degli imballaggi usati;
d) il riciclaggio e il recupero dei rifiuti di imballaggio;
e) lo smaltimento dei rifiuti di imballaggio secondari e terziari.
10. La restituzione di imballaggi usati o di rifiuti di imballaggio, ivi compreso il conferimento di rifiuti in raccolta differenziata, non deve comportare oneri economici per il consumatore.
 
 
(1) Comma così modificato dall’art. 4, comma 24, della L. 9 dicembre 1998, n. 426.
(2) Le parole fra le parentesi quadre sono state soppresse dall’art. 23, comma 1, lett. g), della L. 31 luglio 2002, n. 179.
 
Art. 39 (Raccolta differenziata e obblighi della Pubblica Amministrazione)
 
 1. La pubblica amministrazione deve organizzare sistemi adeguati di raccolta differenziata in modo da permettere al consumatore di conferire al servizio pubblico rifiuti di imballaggio selezionati dai rifiuti domestici e da altri tipi di rifiuti di imballaggi in particolare:
a) deve essere garantita la copertura omogenea del territorio in ciascun ambito ottimale, tenuto conto del contesto geografico;
b) la gestione della raccolta differenziata deve essere effettuata secondo criteri che privilegiano l’efficacia, l’efficienza e l’economicità del servizio, nonché il coordinamento con la gestione di altri rifiuti.
2. Nel caso in cui la pubblica amministrazione non attivi la raccolta differenziata dei rifiuti di imballaggi entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, i produttori e gli utilizzatori possono organizzare tramite il Consorzio Nazionale Imballaggi di cui all’articolo 41 le attività di raccolta differenziata dei rifiuti di imballaggio [primari] (1) sulle superfici pubbliche o la possono integrare se insufficiente.
2 bis. La pubblica amministrazione incoraggia, ove opportuno, l’utilizzazione di materiali provenienti da rifiuti di imballaggio riciclati per la fabbricazione di imballaggi e altri prodotti.
2 ter. I Ministeri dell’ambiente e dell’industria, del commercio e dell’artigianato curano la pubblicazione delle misure e degli obiettivi oggetto delle campagne di informazione di cui all’articolo 41, comma 2, lettera g).
2 quater. Il Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato cura la pubblicazione dei numeri di riferimento delle norme nazionali che recepiscono le norme armonizzate di cui all’articolo 43, comma 3, e comunica alla Commissione dell’Unione europea le norme nazionali di cui al medesimo articolo, comma 3, considerate conformi alle predette norme armonizzate.
 
 
(1) La parola: «primari» è stata soppressa dall’art. 23, comma 1, lett. h), della L. 31 luglio 2002, n. 179.
 
 
Art. 40 (Consorzi)
 1. Al fine di razionalizzare ed organizzare la ripresa degli imballaggi usati, la raccolta dei rifiuti di imballaggi secondari e terziari su superfici private, ed il ritiro, su indicazione del Consorzio Nazionale Imballaggi di cui all’articolo 41, dei rifiuti di imballaggi, conferiti al servizio pubblico, nonché il riciclaggio ed il recupero dei rifiuti di imballaggio secondo criteri di efficacia, efficienza ed economicità, i produttori che non provvedono ai sensi dell’articolo 38, comma 3, lettere a) e c), costituiscono un Consorzio per ciascuna tipologia di materiale di imballaggi.
2. I Consorzi di cui al comma 1 hanno personalità giuridica di diritto privato e sono retti da uno statuto approvato con decreto del Ministro dell’ambiente e del Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato.
3. I mezzi finanziari per il funzionamento dei predetti Consorzi sono costituiti dai proventi delle attività e dai contributi dei soggetti partecipanti.
4. Ciascun consorzio mette a punto e trasmette al Consorzio nazionale imballaggi ed all’Osservatorio di cui all’articolo 26 un proprio Programma specifico di prevenzione che costituisce la base per l’elaborazione del programma generale di cui all’articolo 42.
5. Entro il 31 marzo di ogni anno, a partire da quello successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto, i Consorzi trasmettono al Consorzio Nazionale Imballaggi di cui all’articolo 41 l’elenco degli associati ed una relazione sulla gestione, comprensiva del programma specifico e dei risultati conseguiti nel recupero e nel riciclo dei rifiuti di imballaggio, nella quale possono essere evidenziati i problemi inerenti il raggiungimento degli scopi istituzionali e le eventuali proposte di adeguamento della normativa.
 
Art. 41 (Consorzio Nazionale Imballaggi)
 
1. Per il raggiungimento degli obiettivi globali di recupero e di riciclaggio e per garantire il necessario raccordo con l’attività di raccolta differenziata effettuata dalle Pubbliche Amministrazioni, i produttori e gli utilizzatori costituiscono in forma paritaria, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore delle disposizioni del presente titolo, il Consorzio Nazionale Imballaggi, in seguito denominato CONAI.
2. Il CONAI svolge le seguenti funzioni:
a) definisce, in accordo con le regioni e con le pubbliche amministrazioni interessate, gli ambiti territoriali in cui rendere operante un sistema integrato che comprenda la raccolta, la selezione e il trasporto dei materiali selezionati a centri di raccolta o di smaltimento;
b) definisce, con le pubbliche amministrazioni appartenenti ai singoli sistemi integrati di cui alla lettera a), le condizioni generali di ritiro da parte dei produttori dei rifiuti selezionati provenienti dalla raccolta differenziata;
c) elabora ed aggiorna, sulla base dei programmi specifici di prevenzione di cui agli articoli 38, comma 6, e 40, comma 4, il Programma generale per la prevenzione e la gestione degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio;
d) promuove accordi di programma con le regioni e gli enti locali per favorire il riciclaggio ed il recupero dei rifiuti di imballaggio, e ne garantisce l’attuazione;
e) assicura la necessaria cooperazione tra i consorzi di cui all’articolo 40, anche eventualmente destinando, nell’ambito della ripartizione dei costi prevista dalla lettera h), una quota aggiuntiva del contributo ambientale ai consorzi che realizzano le percentuali di recupero superiori a quelle minime indicate nel Programma generale, al fine del conseguimento degli obiettivi globali di cui all’allegato E, lettera a), annesso al presente decreto. Nella medesima misura è ridotta la parte del contributo spettante ai consorzi che non raggiungono i singoli obiettivi di recupero (6);
f) garantisce il necessario raccordo tra l’amministrazione pubblica, i Consorzi e gli altri operatori economici;
g) organizza, in accordo con le pubbliche amministrazioni, le campagne di informazione ritenute utili ai fini dell’attuazione del Programma generale;
h) ripartisce tra i produttori e gli utilizzatori i costi della raccolta differenziata, del riciclaggio e del recupero dei rifiuti di imballaggi [primari, o comunque] (7) conferiti al servizio di raccolta differenziata, in proporzione alla quantità totale, al peso ed alla tipologia del materiale di imballaggio immessi sul mercato nazionale, al netto delle quantità di imballaggi usati riutilizzati nell’anno precedente per ciascuna tipologia di materiale.
2 bis. Per il raggiungimento degli obiettivi pluriennali di recupero e riciclaggio, gli eventuali avanzi di gestione accantonati dal CONAI e dai consorzi di cui all’articolo 40 nelle riserve costituenti il loro patrimonio netto non concorrono alla formazione del reddito a condizione che sia rispettato il divieto di distribuzione, sotto qualsiasi forma, ai consorziati di tali avanzi e riserve, anche in caso di scioglimento dei consorzi e del CONAI. I soggetti di cui all’articolo 38, comma 3, lettera a), partecipano al finanziamento dell’attività del CONAI (2) (3).
3. Il CONAI può stipulare un accordo di programma quadro su base nazionale con l’ANCI al fine di garantire l’attuazione del principio di corresponsabilità gestionale tra produttori, utilizzatori e pubblica amministrazione. In particolare, tale accordo stabilisce:
a) l’entità dei costi della raccolta differenziata dei rifiuti di imballaggio da versare ai comuni, determinati secondo criteri di efficienza, di efficacia ed economicità di gestione del servizio medesimo, nonché sulla base della tariffa di cui all’art. 49, dalla data di entrata in vigore della stessa;
b) gli obblighi e le sanzioni posti a carico delle parti contraenti;
c) le modalità di raccolta dei rifiuti da imballaggio in relazione alle esigenze delle attività di riciclaggio e di recupero.
4. L’accordo di programma di cui al comma 3 è trasmesso all’Osservatorio nazionale sui rifiuti di cui all’articolo 26, che può richiedere eventuali modifiche ed integrazioni entro i successivi sessanta giorni.
5. Ai fini della ripartizione dei costi di cui al comma 2, lettera h), sono esclusi dal calcolo gli imballaggi riutilizzabili immessi sul mercato previa cauzione.
6. Il CONAI ha personalità giuridica di diritto privato ed (4) è retto da uno statuto approvato con decreto del Ministro dell’ambiente e del Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato, non ha fini di lucro e provvede ai mezzi finanziari necessari per la sua attività con i proventi delle attività e con i contributi dei consorziati.
7. [Il CONAI delibera con la maggioranza dei due terzi dei componenti] (5).
8. Al Consiglio di amministrazione del CONAI partecipa con diritto di voto un rappresentante dei consumatori indicato dal Ministro dell’ambiente e dal Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato.
 
9. I consorzi obbligatori esistenti alla data di entrata in vigore della presente legge, previsti dall’articolo 9 quater, del decreto legge 9 settembre 1988, n. 397, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 novembre 1988, n. 475, cessano di funzionare all’atto della costituzione del consorzio di cui al comma 1 e comunque entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto. Il CONAI di cui al comma 1 subentra nei diritti e negli obblighi dei consorzi obbligatori di cui all’articolo 9 quater, del decreto legge 9 settembre 1988, n. 397, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 novembre 1988, n. 475, ed in particolare nella titolarità del patrimonio esistente alla data del 31 dicembre 1996, fatte salve le spese di gestione ordinaria sostenute dai Consorzi fino al loro scioglimento. Tali patrimoni dei diversi Consorzi obbligatori saranno destinati ai costi della raccolta differenziata, riciclaggio e recupero dei rifiuti di imballaggi primari o comunque conferiti al servizio pubblico della relativa tipologia di materiale.
10. In caso di mancata costituzione del CONAI entro i termini di cui al comma 1, e fino alla costituzione dello stesso, il Ministro dell’ambiente e il Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato nominano d’intesa un commissario ad acta per lo svolgimento delle funzioni di cui al presente articolo.
10 bis. In caso di mancata stipula degli accordi di cui ai commi 2 e 3, il Ministro dell’ambiente, di concerto con il Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato, può determinare con proprio decreto l’entità dei costi della raccolta differenziata dei rifiuti di imballaggio a carico dei produttori e degli utilizzatori ai sensi dell’art. 49, comma 10, nonché le condizioni e le modalità di ritiro dei rifiuti stessi da parte dei produttori (1).
 
 
(1) Comma aggiunto dall’art. 1, comma 20, della L. 9 dicembre 1998, n. 426.
(2) Questo comma è stato aggiunto dall’art. 9 della L. 21 novembre 2000, n. 342.
(3) L’art. 12 della L. 23 dicembre 2000, n. 388, dispone che il trattamento fiscale degli avanzi di gestione, di cui a questo comma è esteso, alle medesime condizioni, anche agli eventuali avanzi di gestione accantonati dal Consorzio obbligatorio batterie al piombo esauste e rifiuti piombosi (COBAT), nonché dal Consorzio nazionale di raccolta e trattamento degli olii e dei grassi vegetali ed animali, esausti.
(4) Le parole: «La personalità . . . ed» sono state inserite dall’art. 10, comma 2, della L. 23 marzo 2001, n. 93.
(5) Questo comma è stato abrogato dall’art. 10, comma 3, della L. 23 marzo 2001, n. 93.
(6) Le parole «, anche eventualmente . . . di recupero» sono state aggiunte dall’art. 52, comma 56, lett. b), della L. 28 dicembre 2001, n. 448.
(7) Le parole fra parentesi quadre sono state soppresse dall’art. 23, comma 1, lett. i), della L. 31 luglio 2002, n. 179.
 
Art. 42 (Programma generale di prevenzione e di gestione degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio)
 
 1. Sulla base dei programmi specifici di prevenzione di cui agli articoli 38, comma 6, e 40, comma 4, il CONAI elabora un Programma generale di prevenzione e di gestione degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio che individua, con riferimento alle singole tipologie di materiale di imballaggio, le misure relative ai seguenti obiettivi:
a) prevenzione della formazione dei rifiuti di imballaggio;
b) accrescimento della proporzione della quantità di rifiuti di imballaggi riciclabili rispetto alla quantità di imballaggi non riciclabili;
c) accrescimento della proporzione della quantità di rifiuti di imballaggi riutilizzabili rispetto alla quantità di imballaggi non riutilizzabili;
d) miglioramento delle caratteristiche dell’imballaggio allo scopo di permettere ad esso di sopportare più tragitti o rotazioni nelle condizioni di utilizzo normalmente prevedibili;
e) realizzazione degli obiettivi di recupero e riciclaggio.
2. Il Programma generale di prevenzione determina, inoltre:
a) la percentuale in peso di ciascuna tipologia di rifiuti di imballaggio da recuperare ogni cinque anni, e nell’ambito di questo obiettivo globale, sulla base della stessa scadenza, la percentuale in peso da riciclare delle singole tipologie di materiali di imballaggio, con un minimo percentuale in peso per ciascun materiale;
b) gli obiettivi intermedi di recupero e riciclaggio rispetto agli obiettivi di cui alla lettera a);
c) (Omissis) (1).
3. Il Programma generale è trasmesso per il parere all’Osservatorio sui rifiuti di cui all’articolo 26 ed è approvato con decreto del Ministro dell’ambiente e del Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato, d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e l’ANCI. Con la medesima procedura si provvede alle eventuali modificazioni ed integrazioni del programma.
4. Nel caso in cui il Programma generale non sia predisposto entro il termine di centoventi giorni dalla costituzione del Consorzio Nazionale Imballaggi di cui all’articolo 41, e, successivamente, dall’inizio del quinquennio di riferimento, lo stesso è elaborato in via sostitutiva dall’Osservatorio di cui all’articolo 26. In tal caso gli obiettivi di recupero e riciclaggio sono quelli massimi previsti ai sensi della direttiva 94/63/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 dicembre 1994, e successive modifiche ed integrazioni.
5. I piani regionali di cui all’articolo 22 sono integrati con un apposito capitolo relativo alla gestione degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio in attuazione delle disposizioni del programma di cui ai commi 1 e 2.
 
 
(1) Lettera abrogata dall’art. 1, comma 21, della L. 9 dicembre 1998, n. 426.
 
Art. 43 (Divieti)
 1. È vietato lo smaltimento in discarica degli imballaggi e dei contenitori recuperati, ad eccezione degli scarti derivanti dalle operazioni di selezione, riciclo e recupero dei rifiuti di imballaggio.
2. A decorrere dall’1 gennaio 1998 è vietato immettere nel normale circuito di raccolta dei rifiuti urbani imballaggi terziari di qualsiasi natura. Dalla stessa data eventuali imballaggi secondari non restituiti all’utilizzatore dal commerciante al dettaglio possono essere conferiti al servizio pubblico solo in raccolta differenziata, ove la stessa sia stata attivata.
3. A decorrere dall’1 gennaio 1998 possono essere commercializzati solo imballaggi rispondenti agli standard europei fissati dal Comitato Europeo Normalizzazione in conformità ai requisiti essenziali stabiliti dall’articolo 9 della direttiva 94/62/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 dicembre 1994, e dall’Allegato F al presente decreto. Fino all’1 gennaio 1998 si presume che siano soddisfatti tutti i predetti requisiti quando gli imballaggi sono conformi alle pertinenti norme armonizzate i cui numeri di riferimento sono pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee, ovvero, in mancanza delle pertinenti norme armonizzate, alle norme nazionali considerate conformi ai predetti requisiti.
4. È vietato immettere sul mercato imballaggi o componenti di imballaggio, ad eccezione degli imballaggi interamente costituiti di cristallo, con livelli totali di concentrazione di piombo, mercurio, cadmio e cromo esavalente superiore a:
a) 600 parti per milione (ppm) in peso a partire dal 30 giugno 1998;
b) 250 ppm in peso a partire dal 30 giugno 1999;
c) 100 ppm in peso a partire dal 30 giugno 2001.
5. Con decreto del Ministro dell’ambiente e del Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato sono determinate, in conformità alle decisioni dell’Unione Europea:
a) le condizioni alle quali i livelli di concentrazione di cui al comma 4 non si applicano ai materiali riciclati e ai circuiti di produzione localizzati in una catena chiusa e controllata;
b) le tipologie di imballaggio esonerate dal requisito di cui al comma 4, lettera c).
 
 
 
 
 
TITOLO III
GESTIONE DI PARTICOLARI
CATEGORIE DI RIFIUTI
 
Art. 44 (Beni durevoli)
 
1. I beni durevoli per uso domestico che hanno esaurito la loro durata operativa devono essere consegnati ad un rivenditore contestualmente all’acquisto di un bene durevole di tipologia equivalente ovvero devono essere conferiti alle imprese pubbliche o private che gestiscono la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti urbani o agli appositi centri di raccolta individuati ai sensi del comma 2, a cura del detentore. Ai fini della corretta attuazione degli obiettivi e delle priorità stabilite dal presente decreto, i produttori e gli importatori devono provvedere al ritiro, al recupero e allo smaltimento dei beni durevoli consegnati dal detentore al rivenditore, sulla base di appositi accordi di programma stipulati ai sensi dell’articolo 25.
2. Il Ministro dell’ambiente, di concerto con il Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato, promuove accordi di programma tra le imprese che producono i beni di cui al comma 1, quelle che li immettono al consumo, anche in qualità di importatori, ed i soggetti, pubblici e privati, che ne gestiscono la raccolta, il recupero, il riciclaggio e lo smaltimento. Gli accordi prevedono:
a) la messa a punto dei prodotti per le finalità di cui agli articoli 3 e 4;
b) l’individuazione di centri di raccolta, diffusi su tutto il territorio nazionale;
c) il recupero ed il riciclo dei materiali costituenti i beni;
d) lo smaltimento di quanto non recuperabile da parte dei soggetti che gestiscono il servizio pubblico.
3. Al fine di favorire la restituzione dei beni di cui al comma 1 ai rivenditori, i produttori, gli importatori ed i distributori, e le loro associazioni di categoria, possono altresì stipulare accordi e contratti di programma ai sensi dell’articolo 25, comma 2. Ai medesimi fini il ritiro, il trasporto e lo stoccaggio dei beni durevoli da parte dei rivenditori firmatari, tramite le proprie associazioni di categoria, dei citati accordi e contratti di programma  non sono sottoposti agli obblighi della comunicazione annuale al catasto, della tenuta dei registri di carico e scarico, della compilazione e tenuta dei formulari, della preventiva autorizzazione e della iscrizione all’Albo di cui agli articoli 11, 12, 15, 28 e 30 del presente decreto (1).
4. Decorsi tre anni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, nel caso si manifestino particolari necessità di tutela della salute pubblica e dell’ambiente relativamente allo smaltimento dei rifiuti costituiti dai beni oggetto del presente articolo al termine della loro vita operativa, può essere introdotto, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’ambiente, di concerto con il Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato, un sistema di cauzionamento obbligatorio. La cauzione, in misura pari al 10% del prezzo effettivo di vendita del prodotto e con il limite massimo di euro 103,29, è svincolata all’atto della restituzione, debitamente documentata, di un bene oggetto del presente decreto ai centri di raccolta, ai servizi pubblici di nettezza urbana o ad un rivenditore contestualmente all’acquisto di un bene durevole di tipologia equivalente. Non sono tenuti a versare la cauzione gli acquirenti che, contestualmente all’acquisto, provvedano alla restituzione al venditore di un bene durevole di tipologia equivalente o documentino l’avvenuta restituzione dello stesso alle imprese o ai centri di raccolta di cui al comma 1.
5. In fase di prima applicazione i beni durevoli di cui al comma 1, sottoposti alle disposizioni del presente articolo, sono:
a) frigoriferi, surgelatori e congelatori;
b) televisori;
c) computer;
d) lavatrici e lavastoviglie;
e) condizionatori d’aria.
 
 
(1) Le parole da: «Ai medesimi fini ...», fino a: «... del presente decreto.» sono state aggiunte dall’art. 1, comma 15, della L. 9 dicembre 1998, n. 426.
(2) Questa norma disciplina i beni durevoli per uso domestico, stabilendo che quando hanno esaurito la loro durata operativa devono essere consegnati ad un rivenditore autorizzato in sede di acquisto di un bene nuovo equivalente, oppure devono essere conferiti alle imprese pubbliche o private che gestiscono la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti urbani o agli appositi centri di raccolta che vengono individuati dallo stesso articolo; consegna da effettuarsi a cura del detentore dei beni in questione.
La violazione dell’obbligo è soggetta a una sanzione amministrativa (art. 50, primo comma).
Il quinto comma dello stesso articolo 44 traccia una prima individuazione dei beni durevoli, e comprende in detta categoria i frigoriferi (compresi surgelatori e congelatori), i televisori, i computers, le lavatrici e le lavastoviglie e infine i condizionatori d’aria.
La categoria in questione appare opportunamente delineata dalla norma in quanto vigente il pregresso D.P.R. 915/82 qualche problema di collocazione sistematica si era posto in ordine agli stessi beni.
A questo punto appare evidente, e senza ombra di dubbio, che gli elettrodomestici in questione hanno un percorso obbligato ben individuato allor quando la loro operatività funzionale è cessata e viene stabilito con chiarezza che il detentore può scegliere esclusivamente le due strade indicate dalla norma.
 
Art. 45 (Rifiuti sanitari)
 
 1. Il deposito temporaneo presso il luogo di produzione di rifiuti sanitari pericolosi deve essere effettuato in condizioni tali da non causare alterazioni che comportino rischi per la salute e può avere una durata massima di cinque giorni. Per quantitativi non superiori a duecento litri detto deposito temporaneo può raggiungere i trenta giorni, alle predette condizioni.
2. Al direttore o responsabile sanitario della struttura pubblica o privata compete la sorveglianza ed il rispetto della disposizione di cui al comma 1, fino al conferimento dei rifiuti all’operatore autorizzato al trasporto verso l’impianto di smaltimento.
3. I rifiuti di cui al comma 1 devono essere smaltiti mediante termodistruzione presso impianti autorizzati ai sensi del presente decreto. Qualora il numero degli impianti per lo smaltimento mediante termodistruzione non risulti adeguato al fabbisogno, il Presidente della Regione, d’intesa con il Ministro della sanità ed il Ministro dell’ambiente, può autorizzare lo smaltimento dei rifiuti di cui al comma 1 anche in discarica controllata previa sterilizzazione. Ai fini dell’acquisizione dell’intesa, i Ministri competenti si pronunciano entro novanta giorni.
4. Con decreto del Ministro dell’ambiente, di concerto con il Ministro della sanità, sentita la Conferenza tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome, sono:
a) definite le norme tecniche di raccolta, disinfezione, sterilizzazione, trasporto, recupero e smaltimento dei rifiuti sanitari pericolosi;
b) individuati i rifiuti di cui all’articolo 7, comma 2, lettera f) e definite le norme tecniche per assicurare una corretta gestione degli stessi;
c) individuate le frazioni di rifiuti sanitari assimilati agli urbani nonché le eventuali ulteriori categorie di rifiuti sanitari che richiedono particolari sistemi di smaltimento.
5. La sterilizzazione dei rifiuti sanitari pericolosi effettuata al di fuori della struttura sanitaria che li ha prodotti è sottoposta alle procedure autorizzative di cui agli articoli 27 e 28. In tal caso al responsabile dell’impianto compete la certificazione di avvenuta sterilizzazione.
 
 
(1) Si vedano il D.M. 26 giugno 2000, n. 219 e l’art. 24 della L. 31 luglio 2002, n. 179.
 
 
Art. 46 (Veicoli a motore e rimorchi)
 
 
 1. Il proprietario di un veicolo a motore o di un rimorchio che intenda procedere alla demolizione dello stesso deve consegnarlo ad un centro di raccolta per la messa in sicurezza, la demolizione, il recupero dei materiali e la rottamazione, autorizzato ai sensi degli articoli 27 e 28. Tali centri di raccolta possono ricevere anche rifiuti costituiti da parti di veicoli a motore.
2. Il proprietario di un veicolo a motore o di un rimorchio destinato alla demolizione può altresì consegnarlo ai concessionari o alle succursali delle case costruttrici per la consegna successiva ai centri di cui al comma 1 qualora intenda cedere il predetto veicolo o rimorchio per acquistarne un altro.
3. I veicoli a motore o rimorchi rinvenuti da organi pubblici o non reclamati dai proprietari e quelli acquisiti per occupazione ai sensi degli articoli 927-929 e 923 del codice civile, sono conferiti ai centri di raccolta di cui al comma 1 nei casi e con le procedure determinate con decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro del tesoro, dell’ambiente e dell’industria, del commercio e dell’artigianato e dei trasporti e della navigazione.
4. I centri di raccolta ovvero i concessionari o le succursali rilasciano al proprietario del veicolo o del rimorchio consegnato per la demolizione un certificato dal quale deve risultare la data della consegna, gli estremi dell’autorizzazione del centro, le generalità del proprietario e gli estremi di identificazione del veicolo, nonché l’assunzione da parte del gestore del centro stesso ovvero del concessionario o del titolare della succursale dell’impegno a provvedere direttamente alle pratiche di cancellazione dal Pubblico Registro Automobilistico (PRA).
5. Dal 30 giugno 1998 la cancellazione dal Pubblico registro automobilistico (PRA) dei veicoli e dei rimorchi avviati a demolizione avviene esclusivamente a cura del titolare del centro di raccolta o del concessionario o del titolare della succursale senza oneri di agenzia a carico del proprietario del veicolo o del rimorchio. A tal fine, entro sessanta giorni dalla consegna del veicolo e del rimorchio da parte del proprietario, il titolare del centro di raccolta, il concessionario o il titolare della succursale della casa costruttrice deve comunicare l’avvenuta consegna per la demolizione del veicolo e consegnare il certificato di proprietà, la carta di circolazione e le targhe al competente ufficio del PRA che provvede ai sensi e per gli effetti dell’articolo 103, comma 1, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285.
6. Il possesso del certificato di cui al comma 4 libera il proprietario del veicolo dalla responsabilità civile, penale e amministrativa connessa con la proprietà dello stesso.
6 bis. I gestori di centri di raccolta, i concessionari e i gestori delle succursali delle case costruttrici di cui ai commi 1 e 2 non possono alienare, smontare o distruggere i veicoli a motore e i rimorchi da avviare allo smontaggio ed alla successiva riduzione in rottami senza aver prima adempiuto ai compiti di cui al comma 5.
6 ter. Gli estremi della ricevuta dell’avvenuta denuncia e consegna delle targhe e dei documenti agli uffici competenti devono essere annotati sull’apposito registro di entrata e di uscita dei veicoli da tenersi secondo le norme del regolamento di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285.
6 quater . Agli stessi obblighi di cui al comma 6 bis e 6 ter sono soggetti i responsabili dei centri di raccolta o altri luoghi di custodia dei veicoli rimossi ai sensi dell’articolo 159 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, nel caso di demolizione del veicolo ai sensi dell’articolo 215, comma 4, del predetto decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285.
6 quinquies. All’articolo 103, comma 1, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, le parole : «la distruzione, la demolizione» sono sostituite dalle parole: «la cessazione della circolazione di veicoli a motore e di rimorchi non avviati alla demolizione».
7. È consentito il commercio delle parti di ricambio recuperate dalla demolizione dei veicoli a motore ad esclusione di quelle che abbiano attinenza con la sicurezza dei veicoli.
8. Le parti di ricambio attinenti la sicurezza dei veicoli sono cedute solo agli iscritti alle imprese esercenti attività di autoriparazione, di cui alla legge 5 febbraio 1992, n. 122, e sono utilizzate e sottoposte alle operazioni di revisione singola previste dall’articolo 80 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285.
9. L’utilizzazione delle parti di ricambio di cui ai commi 7 e 8 da parte delle imprese esercenti attività di autoriparazione deve risultare dalle fatture rilasciate al cliente.
10. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, il Ministro dell’ambiente, di concerto con i Ministri dell’industria, del commercio e dell’artigianato e dei trasporti e della navigazione emana le norme tecniche relative alle caratteristiche degli impianti di demolizione, alle operazioni di messa in sicurezza e all’individuazione delle parti di ricambio attinenti la sicurezza di cui al comma 8.
 
Art. 47 (Consorzio nazionale di raccolta e trattamento degli oli e dei grassi vegetali ed animali esausti)
 
 
 1. È istituito il Consorzio obbligatorio nazionale di raccolta e trattamento degli oli e dei grassi vegetali e animali esausti, al quale è attribuita la personalità giuridica di diritto privato.
2. Il Consorzio non ha scopo di lucro ed è regolato da uno statuto approvato con decreto del Ministro dell’ambiente, di concerto con il Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato, entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto.
3. Il Consorzio:
a) assicura la raccolta, il trasporto, lo stoccaggio, il trattamento ed il riutilizzo degli oli e dei grassi vegetali e animali esausti;
b) assicura, nel rispetto delle disposizioni vigenti in materia di inquinamento, lo smaltimento di oli e grassi vegetali e animali esausti raccolti dei quali non sia possibile o conveniente la rigenerazione;
c) promuove lo svolgimento di indagini di mercato e di studi di settore al fine di migliorare, economicamente e tecnicamente, il ciclo di raccolta, trasporto, stoccaggio, trattamento e riutilizzo degli oli e grassi vegetali e animali esausti.
4. Le deliberazioni degli organi del Consorzio, adottate in relazione agli scopi del presente decreto ed a norma dello statuto, sono vincolanti per tutte le imprese partecipanti.
5. Partecipano al Consorzio:
a) le imprese che producono, importano o detengono oli e grassi vegetali ed animali, esausti;
b) le imprese che riciclano e recuperano oli e grassi vegetali e animali esausti;
c) le associazioni nazionali di categoria delle imprese che effettuano la raccolta, il trasporto e lo stoccaggio di oli e grassi vegetali e animali esausti.
6. Le quote di partecipazione al Consorzio sono determinate in base al rapporto tra la capacità produttiva di ciascun consorziato e la capacità produttiva complessivamente sviluppata da tutti i consorziati appartenenti alla medesima categoria.
7. La determinazione e l’assegnazione delle quote compete al consiglio di amministrazione del Consorzio che vi provvede annualmente secondo quanto stabilito dallo statuto.
8. Nel caso di incapacità o di impossibilità di adempiere, per mezzo delle stesse imprese e aziende consorziate, agli obblighi di raccolta, trasporto, stoccaggio, trattamento e riutilizzo degli oli e dei grassi vegetali e animali esausti stabiliti dal presente decreto, il Consorzio può nei limiti e nei modi determinati dallo Statuto, stipulare con le imprese pubbliche e private contratti per l’assolvimento degli obblighi medesimi.
9. Le risorse finanziarie del Consorzio sono costituite:
a) dai proventi delle attività svolte dal Consorzio;
b) dalla gestione patrimoniale del fondo consortile;
c) dalle quote consortili;
d) da contributi di riciclaggio a carico dei produttori e degli importatori di oli e grassi vegetali e animali per uso alimentare destinati al mercato interno, determinati annualmente, per garantire l’equilibrio di gestione del Consorzio, con decreto del Ministro dell’ambiente, di concerto con il Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato.
10. Il Consorzio deve trasmettere annualmente al Ministro dell’ambiente e al Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato il bilancio preventivo e consuntivo entro sessanta giorni dalla loro approvazione, unitariamente ad una relazione tecnica sull’attività complessiva sviluppata dallo stesso Consorzio e dai singoli consorziati.
11. A decorrere dalla data di scadenza del termine di novanta giorni dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto di approvazione dello Statuto di cui al comma 2, chiunque, in ragione della propria attività, detiene oli e grassi vegetali e animali esausti è obbligato a conferirli al Consorzio direttamente o mediante consegna a soggetti incaricati del Consorzio.
12. Chiunque, in ragione della propria attività ed in attesa del conferimento al Consorzio, detenga oli e grassi animali e vegetali esausti, è obbligato a stoccare gli stessi in apposito contenitore conforme alle disposizioni vigenti in materia di smaltimento.
 
 
Art. 48 (Consorzio per il riciclaggio di rifiuti di beni in polietilene)
 
1. Al fine di ridurre il flusso dei rifiuti di polietilene destinati allo smaltimento è istituito il Consorzio per il riciclaggio dei rifiuti di beni in polietilene, esclusi gli imballaggi di cui all’articolo 35, comma 1, lettere a), b), c) e d), i beni di cui all’articolo 44 e i rifiuti di cui agli articoli 45 e 46 (1).
2. Al Consorzio partecipano:
a) i produttori e gli importatori di beni in polietilene;
b) i trasformatori di beni in polietilene;
c) le associazioni nazionali di categoria rappresentative delle imprese che effettuano la raccolta, il trasporto e lo stoccaggio dei rifiuti di beni in polietilene;
d) le imprese che riciclano e recuperano rifiuti di beni in polietilene.
3. Il Consorzio si propone come obiettivo primario di favorire il ritiro dei beni a base di polietilene al termine del ciclo di utilità per avviarli ad attività di riciclaggio e di recupero. A tal fine il Consorzio:
a) promuove la gestione del flusso dei beni a base di polietilene;
b) assicura la raccolta, il riciclaggio e le altre forme di recupero dei rifiuti di beni in polietilene;
c) promuove la valorizzazione delle frazioni di polietilene non riutilizzabili;
d) promuove l’informazione degli utenti, intesa a ridurre il consumo dei materiali ed a favorire forme corrette di raccolta e di smaltimento;
e) assicura l’eliminazione dei rifiuti di beni in polietilene nel caso in cui non sia possibile o economicamente conveniente il riciclaggio, nel rispetto delle disposizioni contro l’inquinamento.
4. Nella distribuzione dei prodotti dei consorziati il Consorzio può ricorrere a forme di deposito cauzionale.
5. I mezzi finanziari per il funzionamento del Consorzio sono costituiti:
a) dai proventi delle attività svolte dal consorzio;
b) dai contributi dei soggetti partecipanti;
c) dalla gestione patrimoniale del fondo consortile.
6. Le deliberazioni degli organi del consorzio, adottate in relazione agli scopi del presente decreto ed a norma dello statuto, sono vincolanti per tutti i soggetti partecipanti.
7. Il Ministro dell’ambiente di concerto con il Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato determina ogni due anni con proprio decreto gli obiettivi minimi di riciclaggio, e in caso di mancato raggiungimento dei predetti obiettivi può stabilire un contributo percentuale di riciclaggio da applicarsi sull’importo netto delle fatture emesse dalle imprese produttrici ed importatrici di materia prima per forniture destinate alla produzione di beni di polietilene per il mercato interno.
8. Il Consorzio ha personalità giuridica di diritto privato, non ha scopo di lucro ed è retto da uno Statuto approvato con decreto del Ministro dell’ambiente di concerto con il Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato.
9. A decorrere dalla data di scadenza del termine di novanta giorni dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto di approvazione dello Statuto di cui al comma 8, chiunque, in ragione della propria attività, detiene rifiuti di beni in polietilene è obbligato a conferirli al consorzio direttamente o mediante consegna a soggetti incaricati dal consorzio.
 
 
(1) Comma così modificato dall’art. 1, comma 22, della L. 9 dicembre 1998, n. 426.
 
TITOLO IV
TARIFFA PER LA GESTIONE
DEI RIFIUTI URBANI
Art. 49 (Istituzione della tariffa)
 
 1. La tassa per lo smaltimento dei rifiuti di cui alla sezione II del Capo XVIII del titolo III del testo unico della finanza locale, approvato con Regio Decreto 14 settembre 1931, n. 1175, come sostituito dall’articolo 21 del decreto del Presidente della Repubblica 10 settembre 1982, n. 915, ed al capo III del decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507, è soppressa a decorrere dai termini previsti dal regime transitorio, disciplinato dal regolamento di cui al comma 5, entro i quali i comuni devono provvedere alla integrale copertura dei costi del servizio di gestione dei rifiuti urbani attraverso la tariffa di cui al comma 2 (1).
1 bis. Resta, comunque, ferma la possibilità, in via sperimentale, per i comuni di deliberare l’applicazione della tariffa ai sensi del comma 16 (2).
2. I costi per i servizi relativi alla gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti di qualunque natura o provenienza giacenti sulle strade ed aree pubbliche e soggette ad uso pubblico, sono coperti dai Comuni mediante l’istituzione di una tariffa.
3. La tariffa deve essere applicata nei confronti di chiunque occupi oppure conduca locali, o aree scoperte ad uso privato non costituenti accessorio o pertinenza dei locali medesimi, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale.
4. La tariffa è composta da una quota determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio, riferite in particolare agli investimenti per le opere ed ai relativi ammortamenti, e da una quota rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito, e all’entità dei costi di gestione, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio.
4 bis. A decorrere dall’esercizio finanziario che precede i due anni dall’entrata in vigore della tariffa, i comuni sono tenuti ad approvare e a presentare all’Osservatorio nazionale sui rifiuti il piano finanziario e la relazione di cui all’articolo 8 del decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1999, n. 158 (3).
5. Il Ministro dell’ambiente di concerto con il Ministro dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano elabora un metodo normalizzato per definire le componenti dei costi e determinare la tariffa di riferimento, prevedendo disposizioni transitorie per garantire la graduale applicazione del metodo normalizzato e della tariffa ed il graduale raggiungimento dell’integrale copertura dei costi del servizio di gestione dei rifiuti urbani da parte dei comuni.
6. La tariffa di riferimento è articolata per fasce di utenza e territoriali.
7. La tariffa di riferimento costituisce la base per la determinazione della tariffa nonché per orientare e graduare nel tempo gli adeguamenti tariffari derivanti dall’applicazione del presente decreto.
8. La tariffa è determinata dagli enti locali, anche in relazione al piano finanziario degli interventi relativi al servizio.
9. La tariffa è applicata dai soggetti gestori nel rispetto della convenzione e del relativo disciplinare.
10. Nella modulazione della tariffa sono assicurate agevolazioni per le utenze domestiche e per la raccolta differenziata delle frazioni umide e delle altre frazioni, ad eccezione della raccolta differenziata dei rifiuti di imballaggio che resta a carico dei produttori e degli utilizzatori. È altresì assicurata la gradualità degli adeguamenti derivanti dall’applicazione del presente decreto.
11. Per le successive determinazioni della tariffa si tiene conto degli obiettivi di miglioramento della produttività e della qualità del servizio fornito e del tasso di inflazione programmato.
12. L’eventuale modulazione della tariffa, tiene conto degli investimenti effettuati dai comuni che risultino utili ai fini dell’organizzazione del servizio.
13. La tariffa è riscossa dal soggetto che gestisce il servizio.
14. Sulla tariffa è applicato un coefficiente di riduzione proporzionale alle quantità di rifiuti assimilati che il produttore dimostri di aver avviato al recupero mediante attestazione rilasciata dal soggetto che effettua l’attività di recupero dei rifiuti stessi.
15. La riscossione volontaria e coattiva della tariffa può essere effettuata con l’obbligo del non riscosso per riscosso, tramite ruolo secondo le disposizioni del decreto del presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, e del decreto del Presidente della Repubblica 28 gennaio 1988, n. 43.
16. In via sperimentale i Comuni possono attivare il sistema tariffario anche prima del termine di cui al comma 1.
17. È fatta salva l’applicazione del tributo ambientale di cui all’articolo 19 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504.
 
 
(1) Le parole: «dal 1° gennaio 2000» sono state così sostituite dalle attuali da: «dai termini previsti ...» fino a: «... tariffa di cui al comma 2» dall’art. 33, comma 1, della L. 23 dicembre 1999, n. 488.
(2) Questo comma è stato inserito dall’art. 33, comma 2, della L. 23 dicembre 1999, n. 488.
(3) Questo comma è stato inserito dall’art. 33, comma 3, della L. 23 dicembre 1999, n. 488.
(4) A norma dell’art. 1, comma 7, del D.L. 27 dicembre 2000, n. 392, convertito, con modificazioni, nella L. 28 febbraio 2001, n. 26, sino all’anno precedente all’applicazione della tariffa del servizio di gestione del ciclo dei rifiuti urbani di cui all’art. 49 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, e successive modificazioni, continuano ad applicarsi le disposizioni di cui all’art. 31, commi 7 e 23, della legge 23 dicembre 1998, n. 448.
 
 
 
 
 
 
 
TITOLO V
SISTEMA SANZIONATORIO E DISPOSIZIONI TRANSITORIE E FINALI (3)
CAPO I
SANZIONI
Art. 50 (Abbandono di rifiuti)
 1. Fatto salvo quanto disposto dall’articolo 51, comma 2, chiunque, in violazione dei divieti di cui agli articoli 14, commi 1 e 2, 43, comma 2, 44, comma 1, e 46, commi 1 e 2 abbandona o deposita rifiuti ovvero li immette nelle acque superficiali o sotterranee è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 103 a euro 619. Se l’abbandono di rifiuti sul suolo riguarda rifiuti non pericolosi e non ingombranti si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 25 a euro 154.
1 bis. Il titolare del centro di raccolta, il concessionario o il titolare della succursale della casa costruttrice, che viola le disposizioni di cui all’articolo 46, comma 5, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 258 a euro 1.549.
2. Chiunque non ottempera all’ordinanza del Sindaco, di cui all’articolo 14, comma 3, o non adempie all’obbligo di cui agli articoli 9, comma 3, è punito con la pena dell’arresto fino ad un anno. Con la sentenza di condanna per tali contravvenzioni, o con la decisione emessa ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, il beneficio della sospensione condizionale della pena può essere subordinato all’esecuzione di quanto stabilito nell’ordinanza o nell’obbligo non eseguiti.
 
 
(1) Per un approfondimento dei concetti sanzionatori riportati in questo articolo rinviamo alla nota in calce all’art. 14 del decreto ove l’argomento è trattato in modo completo.
Vogliamo qui soltanto ricordare che il sistema sanzionatorio per l’abbandono dei rifiuti è articolato nel seguente modo: per i privati che violano detto duplice divieto è prevista una sanzione amministrativa in base all’articolo 50 primo comma. Se invece il divieto in questione è violata dai titolari di imprese ed enti scatta una sanzione penale in base all’articolo 51 secondo comma (é prevista una duplicità di ipotesi a seconda che si tratti di rifiuti pericolosi o non pericolosi).
Inoltre, e questo va sottolineato, il terzo comma dell’articolo 14 prevede, fatta salva l’applicabilità delle norme repressive, anche un principio propositivo e infatti il soggetto responsabile delle predette violazioni è tenuto a procedere alla rimozione, all’avvio al recupero o allo smaltimento dei rifiuti e al ripristino dello stato di luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personale di godimento sull’area della quale detta violazione sia imputazione a titolo di dolo o colpa.
È importante detta previsione per un duplice aspetto. In primo luogo perché in coerenza con il principio base trasversale fin qui esposto stabilisce l’obbligo coattivo di rimozione e ripristino dello stato dei luoghi a carico del contravventore. Ma tale obbligo è ben specificato in quanto vigente il D.P.R. 915/82 è stato sempre dibattuto il concetto del confine della responsabilità del titolare del terreno in ordine all’abbandono di rifiuti sul proprio sito.
Oggi il principio è stato meglio specificato, e quindi abbiamo una responsabilità di colui che opera l’abbandono-riversamento di rifiuti in solido non solo con il proprietario ma con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area stessa; tuttavia, questa è una precisazione doverosa ed opportuna, la violazione deve essere logicamente imputabile come dolo o come colpa.
Dunque in caso di riversamento ripetuto di rifiuti su un sito da parte di terzi ignoti, il proprietario o comunque titolare in uso di fatto del terreno non può essere chiamato a rispondere della fattispecie di abbandono-deposito incontrollato di rifiuti sulla propria area se non viene individuato a suo carico l’elemento soggettivo del dolo o della colpa. Conseguentemente lo stesso soggetto non può essere destinatario di ordinanza sindacale di rimozione e rimessione in pristino ex art. 14 e 50 D.L.vo n. 22/97 con sanzione penale in caso di inosservanza. In antitesi, si tratterebbe di caso di responsabilità oggettiva.
Il proprietario o comunque titolare in uso di fatto del terreno può essere destinatario in tal caso della ordinanza sindacale emessa secondo i principi generali extra D.L.vo n. 22/97 e sarà semmai parte lesa nel procedimento a carico dei terzi autori del fatto ove individuati.
La procedura infatti è abbastanza chiara: il sindaco emette una ordinanza specifica diretta verso il responsabile (in solido con i soggetti sopra menzionati obbligati alla rimozione e al ripristino dello stato dei luoghi) e costoro debbono provvedere all’attuazione. In caso di omessa ottemperanza per l’ordinanza, e questo è altro punto che va sottolineato, è prevista una sanzione penale dall’art. 50, secondo comma (arresto fino ad un anno) per chi non esegue quanto stabilito in detta ordinanza. Con la sentenza di condanna (sia ordinaria che di patteggiamento) il beneficio della sospensione condizionale della pena può essere subordinato alla esecuzione di quanto stabilito nell’ordinanza e/o contenuto sostanzialmente nell’obbligo stesso non attuato.
 In ordine all’inciso della responsabilità solidale tra soggetto autore dell’abbandono o deposito incontrollato e proprietario e titolare di diritti reali o personali di godimento sull’area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o di colpa, va naturalmente sottolineato che l’onere della prova ricade sull’organo di vigilanza e non potrà mai trattarsi in tali casi di responsabilità oggettiva o formale.
 
In altre parole, non basta verificare a livello meramente catastale (o di informazioni di altro tipo) che quell’abbandono o quel deposito incontrollato è stato effettuato sul terreno di proprietà di un soggetto o che altro soggetto sia titolare di diritti reali o personali di godimento su quell’area per farlo soggiacere automaticamente alla sanzione amministrativa per il caso di abbandono o deposito operato da un privato o denunciarlo penalmente nel caso di abbandono o deposito effettuato da titolare di impresa o ente. Infatti, la specifica posizione del proprietario o titolare di diritti sull’area va esaminata in modo più approfondito, giacché la norma correttamente ed espressamente prevede che a suo carico l’organo di vigilanza riscontri il dolo o la colpa. Dunque, la semplice titolarità dell’area non equivale a responsabilità oggettiva, né a livello amministrativo né, a maggior ragione, a livello penale. Si dovrà infatti verificare caso per caso se quel proprietario o titolare di diritti sull’area aveva in qualche modo espressamente e volontariamente autorizzato l’abbandono e il deposito incontrollato (dolo) oppure se, in ipotesi, a suo carico possa riscontrarsi una qualche forma di imprudenza, imperizia, negligenza operativa attiva o passiva tale da determinare una colpa in senso penale (naturalmente è rilevante anche la colpa omissiva nella mancata vigilanza attiva o segnalazione tempestiva alle autorità di un fatto nel quale egli non ha avuto un ruolo di concorso, ma che ha passivamente e quindi colpevolmente tollerato per un certo periodo di tempo).
Se non sussiste la dimostrazione del dolo o della colpa, secondo i principi generali dell’ordinamento, il proprietario o il responsabile dell’area non può essere chiamato a rispondere di tale sistema sanzionatorio. Va ribadito e sottolineato che l’onere della prova, in questo come del resto in tutti gli altri casi, non può essere invertito e dunque ricade sull’organo di vigilanza l’incombenza di dimostrare questa sussistenza di elemento soggettivo a carico di tali figure.
Va ancora rilevato, a livello squisitamente di prassi di principio, che l’organo di vigilanza non deve naturalmente limitarsi ad attivare la procedura per l’irrogazione della sanzione amministrativa (caso di soggetto privato) o ad inoltrare la comunicazione di notizia di reato al Pubblico Ministero (caso di responsabile di ente o impresa) ma deve contestualmente, con atto separato a parte, informare il sindaco del luogo ove è ubicato il sito di quanto accaduto fornendo sia gli estremi del fatto che, soprattutto, le generalità del soggetto individuato come responsabile e, soprattutto, gli elementi soggettivi rilevati a suo carico (seppur, almeno, in via logico-induttiva).
Infatti il sindaco deve essere messo in condizione conoscitiva formale per poter poi immediatamente redigere l’ordinanza prevista dalla legge. Quindi l’informativa che l’organo di vigilanza (anche se di polizia giudiziaria, e non puramente di vigilanza amministrativa) dovrà inviare al sindaco, assume primaria importanza in questo senso e non va sottovalutata, giacché senza detta informativa il sindaco non ha conoscenza del fatto e quindi non potrà emettere l’ordinanza.
Va sottolineato che se, in ipotesi, l’area risultasse priva di recinzione non può certo ravvisarsi colpa a carico del proprietario che non recinta il proprio terreno. Contrariamente a qualche fantasia amministrativa antitetica sul punto, va evidenziato che nessun proprietario è obbligato a recintare e/o blindare in qualche modo la propria area onde prevenire episodi simili e/o connessi; al contrario, è onere della pubblica amministrazione esercitare, attraverso la vigilanza territoriale, garantire al privato il rispetto e la tutela delle proprie cose private, ivi incluse le aree private, da ogni forma di invasione, manomissione, danno ed illecito di ogni tipo. Dunque deve essere la P.A. a garantire la preservazione dei terreni privati (per i quali non sussiste, in via logica e ragionevole prima ancora che giuridica) nessun obbligo di recinzione, da ogni forma di riversamento illecito di rifiuti. Semmai la minima accezione di culpa in vigilando può ravvisarsi nel comportamento del titolare dell’area che, notato il riversamento di terzi estranei, non denunci subito il fatto all’autorità ponendola in condizione di esercitare i controlli preventivi/repressivi del caso (ma nel caso di specie la ricorrente, essendo non residente né domiciliata in zona, non aveva neppure tale conoscenza dei fatti).
 
Art. 51 (Attività di gestione di rifiuti non autorizzata)
1. Chiunque effettua un’attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti, in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione di cui agli articoli 27, 28, 29, 30, 31, 32 e 33 è punito:
a) con la pena dell’arresto da tre mesi ad un anno o con l’ammenda da euro 2.582 a euro 25.822 se si tratta di rifiuti non pericolosi;
b) con la pena dell’arresto da sei mesi a due anni e con l’ammenda da euro 2.582 a euro 25.822 se si tratta di rifiuti pericolosi.
2. Le pene di cui al comma 1 si applicano ai titolari di imprese ed ai responsabili di enti che abbandonano o depositano in modo incontrollato rifiuti (1) ovvero li immettono nelle acque superficiali o sotterranee in violazione del divieto di cui all’articolo 14, commi 1 e 2 (2).
3. Chiunque realizza o gestisce una discarica non autorizzata è punito con la pena dell’arresto da sei mesi a due anni e con l’ammenda da euro 2.582 a euro 25.822. Si applica la pena dell’arresto da uno a tre anni e dell’ammenda da euro 5.164 a euro 51.645 se la discarica è destinata, anche in parte, allo smaltimento di rifiuti pericolosi. Alla sentenza di condanna o alla decisione emessa ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale consegue la confisca dell’area sulla quale è realizzata la discarica abusiva se di proprietà dell’autore o del compartecipe al reato, fatti salvi gli obblighi di bonifica o di ripristino dello stato dei luoghi (6).
4. Le pene di cui ai commi 1, 2 e 3 sono ridotte della metà nelle ipotesi di inosservanza delle prescrizioni contenute o richiamate nelle autorizzazioni nonché nelle ipotesi di inosservanza dei requisiti e delle condizioni richiesti dalle iscrizioni o comunicazioni.
5. Chiunque, in violazione del divieto di cui all’articolo 9, effettua attività non consentite di miscelazione di rifiuti, è punito con la pena di cui al comma 1, lettera b).
6. Chiunque effettua il deposito temporaneo presso il luogo di produzione di rifiuti sanitari pericolosi, con violazione delle prescrizioni di cui all’articolo 45, è punito con la pena dell’arresto da tre mesi ad un anno o con la pena dell’ammenda da euro 2.582 a euro 25.822. Si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 2.582 a euro 15.493 per i quantitativi non superiori a duecento litri.
6 bis. Chiunque viola gli obblighi di cui agli articoli 46, commi 6 bis, 6 ter e 6 quater, 47, commi 11 e 12, e 48, comma 9 (3), è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 258 a euro 1.549.
6 ter. I soggetti di cui all’articolo 48, comma 2, che non adempiono all’obbligo di partecipazione ivi previsto entro novanta giorni (5) dalla data di entrata in vigore della presente disposizione sono puniti:
a) nelle ipotesi di cui alla lettera a) del comma 2 dell’articolo 48, con la sanzione amministrativa pecuniaria di euro 25 per tonnellata di beni in polietilene importati o prodotti ed immessi sul mercato interno;
b) nelle ipotesi di cui alla lettera b) del comma 2 dell’articolo 48, con la sanzione amministrativa pecuniaria di euro 5 per tonnellata di beni in polietilene importati o prodotti ed immessi sul mercato interno;
c) nelle ipotesi di cui alle lettere c) e d) del comma 2 dell’articolo 48, con la sanzione amministrativa pecuniaria di euro 0,052 per tonnellata di rifiuti di beni in polietilene (4).
6 quater. Le sanzioni di cui al comma 6 ter sono ridotte della metà nel caso di adesione effettuata entro il sessantesimo giorno dalla scadenza del termine di cui all’alinea del medesimo comma 6 ter (4).
6 quinquies. I soggetti di cui all’articolo 48, comma 2, sono tenuti a versare un contributo annuo superiore a euro 51,65. In caso di omesso versamento di tale contributo essi sono puniti:
a) nelle ipotesi di cui alla lettera a) del comma 2 dell’articolo 48, con la sanzione amministrativa pecuniaria di euro 25 per tonnellata di beni in polietilene importati o prodotti ed immessi sul mercato interno;
b) nelle ipotesi di cui alla lettera b) del comma 2 dell’articolo 48, con la sanzione amministrativa pecuniaria di euro 5 per tonnellata di beni in polietilene importati o prodotti ed immessi sul mercato interno;
c) nelle ipotesi di cui alle lettere c) e d) del comma 2 dell’articolo 48, con la sanzione amministrativa pecuniaria di euro 0,052 per tonnellata di rifiuti di beni in polietilene (4).
 
 
(1) L’originaria parola: «propri», è stata soppressa dall’art. 1, comma 24, della L. 9 dicembre 1998, n. 426.
(2) Le originarie parole: «... ovvero effettuano attività di gestione dei rifiuti senza le prescritte autorizzazioni, iscrizioni o comunicazioni di cui agli articoli 27, 28, 29, 30, 31, 32 e 33», sono state soppresse dall’articolo 1, comma 24, della L. 9 dicembre 1998, n. 426.
(3) Le originarie parole: «e 47, comma 12», sono state così sostituite dall’art. 4, comma 25, della L. 9 dicembre 1998, n. 426.
(4) Questo comma è stato aggiunto dall’art. 10, comma 4, della L. 23 marzo 2001, n. 93.
(5) Termine differito al 31 ottobre 2001, ai sensi dell’art. 1, comma 2, del D.L. 16 luglio 2001, n. 286, convertito nella L. 20 agosto 2001, n. 335.
(6) In ordine al concetto di realizzazione e gestione di una discarica, possiamo sicuramente richiamare come ancora perfettamente attuali i principi stabiliti dalla Corte di cassazione sotto la vigenza del vecchio D.P.R. n. 915/1982, perché riteniamo che siano ancora perfettamente attuali.
 
Le sezioni unite della Suprema Corte con la sentenza 28 dicembre 1994 n. 12753 (Pres. Zucconi Galli Fonseca, Rel. Raimondi) hanno delineato con precisione il concetto di realizzazione e gestione di discarica; si legge infatti nella motivazione della sentenza che «(...) la realizzazione consiste nella destinazione e allestimento a discarica di una data area, con la effettuazione, di norma, delle opere a tal fine occorrenti: spianamento del terreno impiegato, apertura dei relativi accessi, sistemazione, perimetrazione, recinzione, ecc. Tale ipotesi, per la sua struttura, ricorda da vicino il reato di costruzione abusiva, che è permanente fino all’ultimazione dell’opera. Dopodiché diventa ad effetti permanenti. La seconda ipotesi, di gestione di discarica senza autorizzazione, presuppone l’apprestamento di un’area per raccogliervi i rifiuti e consiste nell’attivazione di una organizzazione, articolata o rudimentale non importa, di persone, cose e/o macchine (come, ad esempio, quelle per il compattamento dei rifiuti) diretta al funzionamento della discarica. Il reato è permanente per tutto il tempo in cui l’organizzazione è presente e attiva. Essendo esso centrato sulla gestione, non importa se per un intervallo, non vengano scaricati rifiuti nell’area di discarica a causa di una circostanza contingente (...)».
Infatti, per la realizzazione di una discarica abusiva occorre un’attività sistematica, reiterata e ripetuta nel tempo attraverso una serie di azioni logico-operative e soggettive tali da integrare appunto una fattispecie tesa a realizzare concretamente quel complesso sicuramente impegnativo stabile e duraturo nel tempo che rappresenta il concetto di discarica.
Lo scarico occasionale di rifiuti, invece (leggi: abbandono), non può certamente in se stesso e da solo essere scambiato con il concetto di realizzazione di discarica, e questo anche se questo scarico occasionale avviene su quella che in se stessa è già oggettivamente una discarica.
Chiariamoci in altri termini. In molti siti, specialmente nelle immediate periferie delle città, ignoti hanno trasformato da tempo alcuni terreni in discariche abusive di fatto e spesso capita che un ulteriore soggetto viene trovato mentre getta un piccolo quantitativo di rifiuti suppletivo su questo cumulo che in se stesso rappresenta oggettivamente (ed anche giuridicamente) una discarica. A questo punto il dubbio che si era posto (e si pone ancora oggi con la nuova normativa) è se detto ulteriore ed ultimo soggetto possa essere chiamato a rispondere per questo gettito isolato di rifiuti del reato di concorso in realizzazione di discarica abusiva o se invece, debba essere esclusivamente sanzionato per l’abbandono isolato di rifiuti sulla base dell’attuale art. 14 del nuovo decreto legislativo.
Riteniamo che la seconda risposta sia certamente la più logica e la più conforme al dettato di legge. Un soggetto che abbandona in modo isolato ed occasionale dei rifiuti certamente risponde sempre e comunque del sistema sanzionatorio in ordine all’abbandono stesso; e questo sia che l’abbandono avvenga su un terreno sgombero e pulito sia che, in ipotesi, avvenga su un terreno che, da altri e senza alcun nesso di collegamento causale ed operativo con la propria diretta attività, sia stato in precedenza trasformato di fatto in una discarica abusiva.
Naturalmente, il soggetto risponderà di sanzione amministrativa se privato, e di sanzione penale se titolare di ente o di impresa; ma questo pur sempre nell’ambito del sistema sanzionatorio dell’art. 14 in questione (e dunque art. 50, primo comma, nel primo caso, ed art. 51, secondo comma, nel secondo caso).
Può sussistere un caso intermedio, laddove il soggetto colto nell’atto dell’abbandono di rifiuti in realtà venga ad essere considerato come il realizzatore di fatto della discarica stessa o comunque come un attivo compartecipe; ma, in tal caso, l’onere della prova di questa ulteriore fattispecie oggettiva e soggettiva ricade sempre sull’organo di vigilanza. In altre parole, sarà onere dell’organo di vigilanza dimostrare che quello scarico (leggi: abbandono) di rifiuti per il quale il soggetto viene colto sul fatto non è un abbandono isolato e geneticamente avulso dalla pregressa realizzazione della discarica, ma costituisce in realtà soltanto l’ultimo atto di una serie di atti di abbandono omogenei pregressi che hanno, nella loro sinergia e consecuzione temporale, realizzato o comunque fortemente contribuito a realizzare quella discarica abusiva ubicata su quel sito.
Quindi, in ipotesi, per dirigerci su un caso concreto, se la discarica abusiva è formata da materiali sostanzialmente omogenei di una certa tipologia e di una certa individuabile provenienza oggettiva e soggettiva, non vi è dubbio che il soggetto trovato a scaricare per l’ennesima volta materiali qualitativamente e soggettivamente omogenei rispetto a quelli dei quali è formata in tutto o in gran parte la discarica, può essere chiamato a rispondere del reato di realizzazione di discarica (argomentando che quell’ultimo scarico è di materiale oggettivamente omogeneo e soggettivamente sinergico rispetto a tutti o sostanzialmente quasi tutti o gran parte di altri scarichi precedenti che hanno realizzato in tutto o sostanzialmente in gran parte la discarica abusiva).
In tal caso, l’ultimo scarico non sarà considerato un abbandono isolato ex art. 14, D.L.vo n. 22/1997, ma verrà considerato come la prova finale di un’attività sistematica, reiterata e ripetuta nel tempo che all’esito ha portato alla realizzazione di discarica abusiva.
 
Quindi, soltanto in quest’ultimo caso a carico del soggetto colto sul fatto nell’atto dell’abbandono potrà ricollegarsi non già la più modesta sanzione dell’abbandono ma denunciarlo per il reato di realizzazione di discarica abusiva.
In tutti gli altri casi, qualunque soggetto, privato o titolare di impresa o ente, che venga colto mentre abbandona o esegue un deposito incontrollato di rifiuti sul suolo o un riversamento nelle acque deve essere perseguito sulla scorta del sistema delineato dalla sinergia degli artt. 14, 50 e 51 del decreto legislativo.
Il sistema sanzionatorio per la discarica abusiva è disciplinato dall’art. 51, terzo comma del decreto legislativo; le pene sono piuttosto severe perché chiunque realizza o gestisce una discarica non autorizzata di rifiuti non pericolosi è punito con la pena dell’arresto da sei mesi a due anni e con l’ammenda da euro 2.582 a euro 25.822, mentre in caso di rifiuti pericolosi la pena è da uno a tre anni e l’ammenda è da euro 5.164 a euro 51.645.
Ma il punto essenziale è nella previsione in base alla quale sia in caso di condanna ordinaria sia in caso di patteggiamento consegue la confisca obbligatoria dell’area sulla quale è realizzata la discarica abusiva e questo non solo se detta area è di proprietà dell’autore ma anche del compartecipe al reato. Ciò significa peraltro che se la confisca è prevista a livello dibattimentale appare automatico e inevitabile che il terreno giunga al processo in stato di sequestro perché non si può confiscare un bene che non è sequestrato in sede penale; ed ancora di conseguenza detta prassi rende obbligatorio il sequestro di iniziativa da parte degli organi di polizia giudiziaria appena il reato di discarica abusiva viene da loro accertato.
Si sottolinea comunque il rilevante effetto deterrente che detta norma può rappresentare atteso che il responsabile del reato ed il suo compartecipe (sottinteso al quale si deve addebitare il reato per dolo o colpa) vede definitivamente sottratta alla propria disponibilità l’area ove sorge la discarica (e questo naturalmente anche se trattasi di area interna a un’azienda e non solo di terreno ordinario).
Un’autorevole conferma del presente principio (da noi sostenuto fin dalla prima edizione di questa pubblicazione) si registra in un documento ufficiale della Commissione «Ecomafia» del Ministero dell’ambiente presieduta dal Ministro Sen. Edo Ronchi.
La «Sottocommissione strategico-operativa» (coordinatore cons. Maurizio Santoloci) nel documento finale elaborato durante la riunione del 22 ottobre 1997 sviluppa il tema della valorizzazione del sequestro operato dalla p.g. e della successiva confisca obbligatoria in sede dibattimentale delle aree adibite a discarica abusiva in caso di condanna ma anche in caso di patteggiamento nel contesto del D.L.vo n. 22/1997. Si legge nel documento:
«. . . In primo luogo si richiama, per ciò che concerne il sito di discarica, lo stesso identico discorso sopra tracciato per il veicolo utilizzato per il trasporto (N.d.R. - vedi successivo paragrafo sul presente testo in ordine alle sanzioni per il trasporto). E il danno economico è in tal caso non meno pesante per il soggetto responsabile, anche considerando che la norma non prevede certo differenze tra aree di campagne aperte, cave oppure siti all’interno di aree aziendali o comunque private. Va inoltre evidenziato che anche in tal caso il meccanismo della confisca scatta sia nella condanna ordinaria che nel patteggiamento; identico discorso vale per il sequestro immediato da parte della polizia giudiziaria . . .».
Va sottolineato come per la Commissone «Ecomafia» anche l’area interna aziendale è soggetta alla confisca di legge:
«. . . Si sottolinea che deve intedersi nel concetto di discarica non soltanto l’attività di interramento del rifiuto ma anche lo stoccaggio comunque definitivo e duraturo in superficie o struttura di superficie. E dunque ad esempio può essere sottoposto a preventivo sequestro e successiva confisca anche il capannone eventualmente utilizzato come discarica o sito di stoccaggio definitivo dei rifiuti (naturalmente fatte salve le singole posizioni soggettive) . . . ».
Dunque per la Commissione (come da noi sostenuto su questo testo fin dalle precedenti edizioni) anche il capannone destinato a contenere rifiuti in modo permanente rientra nel concetto di discarica ed è conseguentemente soggetto alla confisca di legge.
Si deve inoltre rilevare come per la Commissione la procedura per la bonifica dei siti consegue in via obbligatoria alla pronuncia di condanna o patteggiamento per la realizzazione-gestione di discarica abusiva:
« . . . Va inoltre sottolineato che a carico del soggetto responsabile, al di là della condanna o del patteggiamento e della conseguente obbligatoria confisca del sito, sarà comunque obbligatoria la bonifica e il ripristino dello stato dei luoghi ex art. 17 decreto legislativo, con sanzione penale in caso di inadempienza. In caso di inosservanza l’eventuale condanna potrà vedere la sospensione condizionale della pena subordinata all’obbligo dell’effettiva bonifica o ripristino, altrimenti scatterà materialmente l’esecuzione della pena anche detentiva (nelle more la pubblica amministrazione provvederebbe alla bonifica e ripristino a spese del responsabile prima della confisca definitiva dell’area) . . . ».
Infatti, la stessa norma precisa comunque che sono fatti salvi gli obblighi di bonifica e di ripristino dello stato dei luoghi, al di là ed indipendentemente dal sistema sanzionatorio sopra evidenziato che resta sempre valido.
 
La procedura, per la bonifica e il ripristino, è disciplinata dall’art. 17 del decreto e sanzionata dall’art. 51 bis con la pena dell’arresto da sei mesi ad un anno e con l’ammenda da euro 2.582 a euro 25.822; si applica, invece, la pena dell’arresto da un anno a due anni e la pena dell’ammenda da euro 5.164 a euro 51.645 se l’inquinamento è provocato da rifiuti pericolosi. In caso di condanna o di patteggiamento per la violazione di detto obbligo la sospensione condizionale della pena può essere subordinata all’esecuzione pratica dell’obbligo stesso.
Il che significa, a livello pratico, che il soggetto responsabile della realizzazione e/o gestione della discarica va incontro comunque alla sanzione specifica per detta attività; e vedrà comunque confiscata l’area; ma in aggiunta deve in ogni caso bonificare e rimettere in pristino l’area stessa prima dell’acquisizione definitiva al patrimonio pubblico; se non ottempera a tale incombenza da un lato la pubblica amministrazione provvederà a spese del soggetto responsabile in modo coattivo e lo stesso soggetto responsabile andrà incontro a nuova condanna penale successiva a quella già subita per la realizzazione e/o gestione della discarica; ancora se in caso di tale seconda condanna il giudice subordina la sospensione condizionale della pena all’obbligo di bonificare e ripulire l’area e il soggetto (condannato o che ha patteggiato la pena) non ottempera oltre alle conseguenze sopra evidenziate sconterà materialmente la pena detentiva.
 
Art. 51 bis (Bonifica dei siti)
1. Chiunque cagiona l’inquinamento o un pericolo concreto ed attuale di inquinamento, previsto dall’articolo 17, comma 2, è punito con la pena dell’arresto da sei mesi a un anno e con l’ammenda da euro 2.582 a euro 25.822 se non provvede alla bonifica secondo il procedimento di cui all’articolo 17. Si applica la pena dell’arresto da un anno a due anni e la pena dell’ammenda da euro 5.164 a euro 51.645 se l’inquinamento è provocato da rifiuti pericolosi. Con la sentenza di condanna per la contravvenzione di cui al presente comma, o con la decisione emessa ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, il beneficio della sospensione condizionale della pena può essere subordinato alla esecuzione degli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale (1).
 
 
(1) L’ultimo periodo di questo comma è stato aggiunto dall’art. 1, comma 25, della L. 9 dicembre 1998, n. 426.
(2) Per un approfondimento di tutto il tema delle bonifiche (anche in relazione al sistema sanzionatorio) rinviamo alle introduzioni del presente capitolo e del capitolo sulle Acque ove l’argomento è trattato in modo completo.
 
 
 
 
 
Art. 52 (Violazione degli obblighi di comunicazione, di tenuta dei registri obbligatori e dei formulari)
 
 1. Chiunque non effettua la comunicazione di cui all’articolo 11, comma 3, ovvero la effettua in modo incompleto o inesatto è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 2.582 a euro 15.493. Se la comunicazione è effettuata entro il sessantesimo giorno dalla scadenza del termine stabilito ai sensi della legge 25 gennaio 1994, n. 70, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 25 a euro 154.
2. Chiunque omette di tenere ovvero tiene in modo incompleto il registro di carico e scarico di cui all’articolo 12, comma 1, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 2.582 a euro 15.493. Se il registro è relativo a rifiuti pericolosi si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 15.493 a euro 92.962, nonché la sanzione amministrativa accessoria della sospensione da un mese ad un anno dalla carica rivestita dal soggetto responsabile dell’infrazione e dall’amministratore. Le sanzioni di cui sopra sono ridotte rispettivamente da euro 1.032 a euro 6.197 per i rifiuti non pericolosi, da euro 2.065 a euro 12.394 per i rifiuti pericolosi, nel caso di imprese che occupano un numero di unità lavorative inferiore a 15 dipendenti calcolate con riferimento al numero di dipendenti occupati a tempo pieno durante un anno, mentre i lavoratori a tempo parziale e quelli stagionali rappresentano frazioni di unità lavorative annue; ai predetti fini l’anno da prendere in considerazione è quello dell’ultimo esercizio contabile approvato.
3. Chiunque effettua il trasporto di rifiuti senza il prescritto formulario di cui all’articolo 15 ovvero indica nel formulario stesso dati incompleti o inesatti è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 1.549 a euro 9.296. Si applica la pena di cui all’articolo 483 del codice penale nel caso di trasporto di rifiuti pericolosi. Tale ultima pena si applica anche a chi, nella predisposizione di un certificato di analisi di rifiuti, fornisce false indicazioni sulla natura, sulla composizione e sulle caratteristiche chimico-fisiche dei rifiuti e a chi fa uso di un certificato falso durante il trasporto (2).
4. Se le indicazioni di cui ai commi 1 e 2 sono formalmente incomplete o inesatte ma i dati riportati nella comunicazione al catasto, nei registri di carico e scarico, nei formulari di identificazione dei rifiuti trasportati e nelle altre scritture contabili tenute per legge consentono di ricostruire le informazioni dovute si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 258 a euro 1.549. La stessa pena si applica se le indicazioni di cui al comma 3 sono formalmente incomplete o inesatte ma contengono tutti gli elementi per ricostruire le informazioni dovute per legge, nonché nei casi di mancato invio alle autorità competenti e di mancata conservazione dei registri di cui all’articolo 12, commi 3 e 4, o del formulario di cui all’articolo 15.
 
 
(1) Per un approfondimento sul sistema sanzionatorio connesso al trasporto, con riferimento anche alle procedure di sequestro e confisca, nonché in relazione al parallelo trasporto di «rifiuti liquidi costituiti da acque reflue» sulla base dell’art. 36, D.L.vo n. 152/99, rinviamo alla introduzione del presente capitolo ed alla introduzione del capitolo sulle acque.
(2) Le analisi del rifiuto sono parte integrante e necessaria del formulario di identificazione di un rifiuto? Il non allegare al formulario di identificazione del rifiuto delle analisi è sanzionato?
Il problema del certificato di analisi da allegare al formulario di identificazione dei rifiuti è oggetto da tempo di un ampio dibattito. La questione infatti non è stata ancora risolta in modo concorde.
Il decreto n. 22/97 non prevede che un certificato di analisi debba essere allegato al formulario di identificazione utilizzato per il trasporto. Tuttavia il sistema sanzionatorio prevede una pesante pena per chiunque falsifica il certificato di analisi allegato al formulario di identificazione o comunque fornisce false indicazioni sulla natura e quantità dei rifiuti trasportati.
Il sistema sanzionatorio va letto non in relazione ad una norma di precettività specifica, ma rispetto all’impianto generale del decreto ed anche in relazione al combinato disposto dei decreti n. 22/97 e n. 152/99. Una parte rilevante dei rifiuti è identificabile a vista:  ricordiamo che i rifiuti speciali non possono e non devono essere mischiati, e quindi vengono trasportati separati, tipologia per tipologia.
Vi sono, tuttavia, casi in cui il formulario di identificazione è del tutto carente per documentare la qualità dei rifiuti.
Il caso più esemplificativo e realmente manualistico è costituito dalla nuova categoria dei «rifiuti liquidi costituiti da acque reflue». Si tratta infatti di quella speciale categoria intermedia di rifiuti liquidi che si trovano oggi a cavallo tra il decreto n. 22/97 e il decreto n. 152/99. Per intenderci, si tratta dei famosi ex scarichi indiretti, e cioè di quei liquami (sia aziendali che di origine domestica) i quali riversati dalla fonte di produzione in una vasca o cisterna o contenitore similare, dopo un periodo di stasi di deposito vengono prelevati da un mezzo (verosimilmente autospurgo) che li trasporta verso un impianto di trattamento conto terzi. Vigente la pregressa legge Merli ed il pregresso D.P.R. n. 915/82, tali liquami erano considerati giuridicamente «scarico indiretto» ed enucleati dentro la disciplina della legge Merli n. 319/76.
 
Oggi la normativa è cambiata e la sinergia normativa tra il decreto n. 22/97 e il decreto n. 152/99 classifica questi liquami non più «scarico» in senso stretto bensì «rifiuti liquidi costituiti da acque reflue». Quindi si tratta di una categoria di rifiuti. Ed allora la stasi in vasca di questi liquami rappresenta un «deposito temporaneo» previsto dal decreto sui rifiuti ed il viaggio è un trasporto ordinario di rifiuti liquidi che deve essere assistito dal formulario di identificazione. Formulario di identificazione che però, come appare evidente, per tale speciale nuova categoria di rifiuti liquidi, non può dirsi esaustiva esclusivamente con i codici ed i campi previsti in modo prefissato dalla modulistica.
Serve qualcosa in più per identificare tale tipo di rifiuto liquido. Ed a un certo momento del viaggio del rifiuto tale esigenza appare assolutamente inderogabile. Si pensi infatti al momento in cui l’autospurgo giunge presso il depuratore comunale, e il gestore del servizio idrico integrato non può permettere l’accesso di tali liquami nella struttura del depuratore altrimenti trasformerebbe esso impianto in una struttura che tratta rifiuti liquidi per conto terzi e, anche sulla base della precisa novella apportata dal decreto «acque bis» sul decreto n. 152/99, il gestore andrebbe incontro alla pesante sanzione penale prevista dall’art. 51 del decreto n. 22/97 per avere gestito illegalmente un impianto di trattamento rifiuti liquidi conto terzi.
L’unica deroga (verosimilmente scriminante) che ha il gestore del servizio idrico integrato è quello di ricorrere alla norma dell’art. 36 del decreto n. 152/99 che gli consente di accettare tali liquami (formalmente rifiuti liquidi) laddove venga comunque provato che al momento dell’ingresso nel depuratore comunale essi rispettino i valori limite per lo scarico in fognatura. Dovrebbe trattarsi cioè, in altre parole, del liquame che potrebbe essere accettato agevolmente in fognatura se dalla fonte produttiva (aziendale o privata) il titolare avesse riversato detti liquami con una tubatura diretta all’interno della struttura fognaria. Ma si pone naturalmente a questo punto il problema:  come fa il gestore del servizio idrico integrato a verificare con esattezza (sotto comminatoria di sua pesante responsabilità penale in caso negativo) se detti liquami effettivamente rispettano i valori limite per lo scarico in fognatura o se invece l’autista del mezzo sta attivando un comportamento di dichiarazione fraudolente a riguardo? Certamente appare logico che in questo caso l’unico sistema formale e sostanziale che è ipotizzabile è il fatto che ad esso formulario (in se stesso non esaustivo in tal senso) venga allegato un certificato di analisi dei liquami che appunto certifichi la condizione prevista dalla norma. Certamente non è realistico ipotizzare che per ogni viaggio venga eseguita una analisi, ma è pur sempre possibile un certificato di caratterizzazione generale della fonte produttiva, la quale con un ciclo una tantum, periodico e ripetitivo certifichi ed attesti che dal quel ciclo produttivo o abitazione domestica derivi sostanzialmente quella tipologia di liquami compatibile con i valori limite per lo scarico in fognatura. Ed ecco dunque che questo è uno dei casi nei quali appare logico che il certificato di analisi sia indispensabile come allegato al formulario di identificazione. Certamente la norma punisce di conseguenza la falsa realizzazione del formulario come pesante illecito penale. Ma in un certificato di caratterizzazione generale della fonte produttiva (aziendale o privata) il certificato potrebbe essere in se stesso reale e cioè il tecnico ha documentato correttamente che in effetti da quella fonte deriva potenzialmente quel tipo di sostanze. Poi l’autista del camion, da solo o in concorso con il titolare della fonte produttiva, potrebbe rendere dichiarazioni fraudolente al gestore del servizio idrico integrato e cioè spacciare il carico reale con il certificato che rappresenta una realtà diversa dall’effettivamente trasportato.
In questo caso il certificato sarebbe formalmente vero e non falso, ma l’attività fraudolenta dichiarativa sortirebbe l’effetto di introitare nel depuratore comunale un liquame non consentito. Ecco perché evidentemente il decreto n. 22/97 prevede nel sistema sanzionatorio che non soltanto la classificazione cartografica ed ideologica del certificato di analisi è punito penalmente ma anche utilizzare eventualmente il certificato vero per fornire false indicazioni sulla reale natura qualitativa e quantitativa dei liquami trasportati o anche comunque fornire false informazioni in linea generale rappresenta una attività di falsificazione fraudolenta virtuale che viene punita in questo caso dalla norma ed espressamente dal sistema sanzionatorio penale del decreto n. 22/97.
 
 
Art. 53 (Traffico illecito di rifiuti)
 
1. Chiunque effettua una spedizione di rifiuti costituente traffico illecito ai sensi dell’articolo 26 del regolamento (CEE) n. 259/93 del Consiglio, del 1° febbraio 1993, o effettua una spedizione di rifiuti elencati nell’allegato II del citato regolamento in violazione dell’articolo 1, comma 3, lettere a), b), c) e d), del regolamento stesso, è punito con la pena dell’ammenda da 1.549 euro a 25.822 euro e con l’arresto fino a due anni. La pena è aumentata in caso di spedizione di rifiuti pericolosi (1).
2. Alla sentenza di condanna, o a quella emessa ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per i reati relativi al traffico illecito di cui al comma 1 o al trasporto illecito di cui agli articoli 51 e 52, comma 3, consegue obbligatoriamente la confisca del mezzo di trasporto (3).
 
 
(1) Questo comma è stato così sostituito dall’art. 14 della L. 1° marzo 2002, n. 39.
(2) Tale norma disciplina il traffico illecito dei rifiuti e prevede che chiunque effettua spedizioni dei rifiuti espressamente previsti dalla norma stessa, in relazione al regolamento CEE n. 259/93, integra il «traffico illecito» ed è punito con una sanzione penale, aumentata in caso di spedizione di rifiuti pericolosi.
Trattasi di concetto molto importante in quanto per la prima volta nel nostro ordinamento, rispetto alle generiche previsioni adottate dal D.P.R. 915/82, dopo aver disciplinato il generale trasporto dei rifiuti, la norma va a sottospecificare ed espressamente disciplinare un aspetto specifico del trasporto stesso che è costituito appunto dal traffico in senso stretto dei rifiuti stessi (naturalmente con carattere internazionale).
Detto traffico illecito è concretizzato allorquando sono integrati i presupposti di fatto e di diritto previsti dall’art. 26 del citato regolamento CEE.
È agevole argomentare che tale traffico illecito corrisponde sostanzialmente alle attività di gestione criminale dei rifiuti operate con elementi caratterizzanti diversi, e certamente più impegnativi, rispetto al trasporto dei rifiuti previsto dall’articolo 15 rispetto al quale, oltre al carattere internazionale, il traffico disciplinato dal citato art. 53 rappresenta un quid pluris e certamente pretende caratteristiche oggettive e soggettive di maggiore gravità e un substrato organizzativo di più rilevante spessore.
In particolare, appare logico che per aversi un vero e proprio traffico è necessario l’accertamento di un elemento minimale, costituito da una sistematicità operativa e da una organizzazione stabile (o quanto meno seria e duratura nella sua struttura e portata) oltre che dalla specifica destinazione.
Appare logico che detto articolo può ricomprendere anche attività gestite dall’ecomafia.
L’importanza della fattispecie così inquadrata, tuttavia, viene in qualche modo mitigata dal sistema sanzionatorio connesso in quanto si deve rilevare che la punibilità è relegata a una pena contravvenzionale (art. 53, primo comma) con un’ammenda da tre a cinquanta milioni e con l’arresto fino a due anni (con pena sensibilmente aumentata in caso di rifiuti pericolosi - stesso articolo - ultima parte primo comma).
A ben guardare, il deterrente e l’aspetto repressivo sono praticamente minimi se raffrontati ai traffici sistematici come sopra evidenziati.
Va rilevato che per il citato articolo 53 sarebbe stata idonea una previsione di tipo delittuoso, con pene variabili ma comunque con maggiore effetto deterrente e repressivo; soprattutto considerando - come paragone - che il trasporto di rifiuti pericolosi con dati incompleti o inesatti sul formulario è punito con la pena del delitto di cui all’art. 483 c.p.
Vogliamo, comunque, evidenziare che a nostro avviso in caso di spedizione attraverso traffico illecito possono entrare in concorso le norme specifiche: il qui esaminato articolo 53, ma anche il precedente articolo 52 terzo comma (prima parte, seconda ipotesi), laddove - come appena accennato - punisce chi durante il trasporto di rifiuti pericolosi indica dati incompleti o inesatti sul formulario con la sanzione ex art. 483 del codice penale. Infatti, da un lato va rilevato che il concetto più globale di traffico non esclude certo il concorso con eventuali norme previste per il trasporto, perché certamente nel concetto di traffico a maggior ragione vanno ricomprese ed assorbite tutte le fattispecie minori contenenti il trasporto; e dall’altro lato è realistico immaginare che chi esegue un traffico illecito con spedizione di rifiuti in modo sistematico, esercita detta attività in modo organizzato con redazione di documentazioni falsificati in modo idoneo per cercare di superare gli ostacoli dei controlli. In tal caso non si tratta certo di soggetti che operano improvvisate violazioni alla norma (come coloro che, in caso antitetico, possono rientrare nella sub-previsione di cui all’art. 52 quarto comma - prima ipotesi - con sanzione amministrativa) ma colui che gestisce un traffico illecito di rifiuti con spedizioni sistematiche per forza di cose sarà costretto anche a una falsificazione (magari sofisticata e sistematica) dei formulati. Dunque detta redazione di dati incompleti o inesatti (a maggior ragione del tutto falsi) va automaticamente ad integrare parallelamente anche la previsione dell’articolo 52, terzo comma (prima parte, seconda ipotesi).
 
Inoltre, è ovvio che chi gestisce un traffico similare facilmente predispone, per eludere i controlli, certificati di analisi di rifiuti con false indicazioni sulla natura, sulla composizione e sulle caratteristiche chimico-fisiche dei rifiuti e fa poi uso dello stesso certificato falso durante il trasporto; in tal caso sarà integrato, sempre in parallelo, anche lo specifico reato previsto dall’articolo 52, terzo comma, seconda parte (che rinvia sempre come pena all’art. 483 c.p.).
Va infine rilevato che l’articolo 53 nel secondo comma prevede, e questo appare molto opportuno, che sia nella sentenza di condanna sia nella sentenza di patteggiamento ex articolo 444 del codice di procedura penale per le contravvenzioni relative sia al traffico sia al trasporto illecito dei rifiuti consegue obbligatoriamente la confisca del mezzo di trasporto.
Questa previsione, oltre che costituire certamente un aspetto deterrente e repressivo di sensibile spessore, induce comunque a ritenere (e questo è un punto che vogliamo evidenziare con particolare sottolineatura) che viene di fatto (seppur indirettamente) reso praticamente obbligatorio il sequestro del mezzo di trasporto da parte degli organi di polizia e di vigilanza al momento dell’accertamento dei fatti-reato previsti:
dall’articolo 52 terzo comma (prima parte, seconda ipotesi) per trasporto con dati incompleti o inesatti di rifiuti pericolosi;
dall’articolo 53 per il caso dei traffici illeciti (con categorie predeterminate di rifiuti);
dall’articolo 51 primo comma in ordine al trasporto di rifiuti prodotti da terzi (pericolosi e non) in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione di cui agli artt. 27, 28, 29, 30, 31, 32 e 33.
L’argomentazione appare abbastanza logica: non può certo essere prevista la confisca di un mezzo di trasporto, se non si sottointende che lo stesso allo stato del dibattimento sia in stato di sequestro penale, perché non si può certo confiscare un bene che non è stato già in sede di accertamento di polizia giudiziaria sottoposto a sequestro.
Questo punto appare eccezionalmente importante, in quanto fino ad oggi una delle carenze fondamentali in ordine agli accertamenti di reato inerenti i trasporti e traffici illeciti di rifiuti è stato proprio quello in ordine all’attività di sequestro dei mezzi operata dalla Polizia giudiziaria. Su questo aspetto si deve registrare, non senza una nota di disappunto critico, che raramente gli organi di P.G. hanno proceduto a sequestrare i mezzi di trasporto in flagranza di traffici illeciti di rifiuti o trasporti comunque di una certa gravità rispetto alle fattispecie penali previste dal D.P.R. 915/82.
Forti resistenze mentali ed operative sono state mascherate con vuote questioni di principio in ordine alla presunta incompetenza da parte degli organi di polizia giudiziaria per effettuare i sequestri di iniziativa (in realtà ciò ha sempre nascosto un vero e proprio scaricabarile in ordine alla successiva attività del pubblico ministero).
Oggi la norma appare a nostro avviso chiarissima in questo senso, perché dando per obbligatoria la confisca del mezzo utilizzato per il traffico e il trasporto illecito, dà logicamente per scontato il senso della analoga e strettamente propedeutica necessità del sequestro del mezzo stesso, operato naturalmente in sede di indagini (e dunque, altrettanto logicamente, ad iniziativa dalla polizia giudiziaria oppure, in ipotesi residuali, anche dal pubblico ministero là dove la P.G., per motivi spesso incomprensibili, non ritenga di procedere di iniziativa e di lasciare nelle mani del pericolosissimo e spesso criminale contravventore il mezzo usato per questo tipo di gravissima violazione alla normativa di settore).
Questa nostra interpretazione trova conforto e conferma nel fatto che la «Commissione ecomafia» del Ministero dell’ambiente nel proprio documento finale ha adottato principio assolutamente identico, raccomandando uno sviluppo di tali prassi ad opera degli organi di P.G. sul territorio. Ancora. In sede di lavori della Commissione Parlamentare di inchiesta sulle attività connesse al traffico illecito di rifiuti è stata elaborata una proposta normativa in materia di criminalità organizzata nel settore ed è stata prevista l’integrazione dell’art. 321 del codice di procedura penale inerente il sequestro con un art. 321 bis per rendere espressamente obbligatori i sequestri da parte della P.G. in questo ed altri casi.
(3) Importante la modifica apportata al secondo comma dell’articolo 53 dal Ronchi bis.
Nel corpo di detto comma è stata abolita la parola «contravvenzioni» e sostituita con la parola «reati». In altre parole il testo originario recitava nel seguente modo: «Alla sentenza di condanna, o a quella emessa ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per le contravvenzioni relative al traffico illecito di cui al comma 1 o al trasporto illecito di cui agli articoli 51 e 52, comma 3, consegue obbligatoriamente la confisca del mezzo di trasporto» mentre il testo modificato recita nel seguente modo: «Alla sentenza di condanna, o a quella emessa ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per i reati relativi al traffico illecito di cui al comma 1 o al trasporto illecito di cui agli articoli 51 e 52, comma 3, consegue obbligatoriamente la confisca del mezzo di trasporto». Ad un esame superficiale la modifica è di mera forma e scarsamente significativa ma in realtà rappresenta intervento di salvaguardia per uno degli assi portanti fondamentali del decreto Ronchi.
 
Si rileva infatti che nelle norme richiamate si opera un rinvio all’articolo 483 codice penale con la formula «si applica la pena di cui all’articolo 483 del codice penale nel caso di trasporto di rifiuti pericolosi. Tale ultima pena si applica anche a chi nella predisposizione di un certificato, etc. ...».
L’art. 483 c.p. è un delitto. si era dunque da taluno argomentato (con una interpretazione restrittiva e riduttiva) che non sussistendo contravvenzioni nel corpo di detto sistema sanzionatorio (essendo, appunto, il reato richiamato un delitto) di fatto la confisca non si poteva applicare mai e dunque di fatto si sarebbe vanificato il sistema sopra descritto. Si era replicato che il rinvio era solo quoad poenam, ma si deve comunque considerare preziosa, onde evitare equivoci, la modifica per depennare la parola «contravvenzioni» e sostituirla con la parola «reati».
 
Art. 53 bis (Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti)
 
1. Chiunque, al fine di conseguire un ingiusto profitto, con più operazioni e attraverso l’allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, cede, riceve, trasporta, esporta, importa, o comunque gestisce abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti è punito con la reclusione da uno a sei anni.
2. Se si tratta di rifiuti ad alta radioattività si applica la pena della reclusione da tre a otto anni.
3. Alla condanna conseguono le pene accessorie di cui agli articoli 28, 30, 32 bis e 32 ter del codice penale, con la limitazione di cui all’articolo 33 del medesimo codice.
4. Il giudice, con la sentenza o con la decisione emessa ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, ordina il ripristino dello stato dell’ambiente, e può subordinare ove possibile la concessione della sospensione condizionale della pena all’eliminazione del danno o del pericolo per l’ambiente.
 
 
(1) Questo articolo è stato inserito dall’art. 22 della L. 23 marzo 2001, n. 93.
 
 
Art. 54 (Imballaggi)
 
1.  I produttori e gli utilizzatori che non adempiono all’obbligo di cui all’articolo 38, comma 2, entro il 28 febbraio1999 (2), sono puniti con la sanzione amministrativa pecuniaria pari a sei volte le somme dovute per l’adesione al CONAI, fatto comunque salvo l’obbligo di corrispondere i contributi pregressi (1). Tale sanzione è ridotta della metà nel caso di adesioni effettuate entro il sessantesimo giorno dalla scadenza sopra indicata (1). I produttori di imballaggi che non provvedono ad organizzare un proprio sistema per l’adempimento degli obblighi di cui all’articolo 38, comma 3, e non aderiscono ai consorzi di cui all’articolo 40 ne adottano un proprio sistema cauzionale sono puniti con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 7.746 a euro 46.481. La stessa pena si applica agli utilizzatori che non adempiono all’obbligo di cui all’articolo 38, comma 4.
2. La violazione dei divieti di cui all’articolo 43, commi 1 e 4, è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5.164 a euro 30.987. La stessa pena si applica a chiunque immette nel mercato interno imballaggi privi dei requisiti di cui all’articolo 36, comma 5.
3. La violazione del divieto di cui all’articolo 43, comma 3, è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 2.582 a euro 15.493.
 
 
(1) Periodo aggiunto dall’art. 4, comma 26, della L. 9 dicembre 1998, n. 426.
(2) Termine così prorogato dall’art. 1 del D.L. 28 dicembre 1998, n. 452, conv., con modif., nella L. 22 febbraio 1999, n. 35.
 
Art. 55 (Competenza e giurisdizione)
 
1. Fatte salve le altre disposizioni della legge 24 novembre 1981, n. 689, in materia di accertamento degli illeciti amministrativi, all’irrogazione delle sanzioni amministrative pecuniarie previste dalla presente normativa provvede la Provincia nel cui territorio è stata commessa la violazione, ad eccezione delle sanzioni previste dall’articolo 50, comma 1, per le quali è competente il Comune (1).
2. Avverso le ordinanze-ingiunzione relative alle sanzioni amministrative di cui al comma 1 è esperibile il giudizio di opposizione di cui all’articolo 23 della legge 24 novembre 1981 n. 689.
3. Per i procedimenti penali pendenti alla data di entrata in vigore del presente decreto l’autorità giudiziaria, se non deve pronunziare decreto di archiviazione o sentenza di proscioglimento, dispone la trasmissione degli atti agli enti indicati al comma 1 ai fini dell’applicazione delle sanzioni amministrative.
 
 
(1) Il primo comma dell’articolo 55 che prevede la competenza delle province per l’irrogazione delle sanzioni amministrative previste dal decreto (ad eccezione della competenza del comune per le sanzioni dell’articolo 50, comma 1) è stato modificato dal «Ronchi bis» nel senso di prevedere in apertura del primo comma la dicitura «fatte salve le altre disposizioni della legge 24 novembre 1981, n. 689 in materia di accertamento degli illeciti amministrativi».
Detta premessa potrebbe anche apparire superflua, giacché la stesura originaria del comma era abbastanza chiara: prevedeva e prevede che provincia e comune provvedono alla «irrogazione» delle sanzioni amministrative e quindi soltanto a tale atto specifico di irrogare la sanzione è ricollegata la competenza selettiva esclusiva di tali due enti.
Appariva chiaramente sottinteso e non contestabile che gli accertamenti degli illeciti amministrativi (cosa ben diversa dalla irrogazione successiva delle sanzioni) appartenevano ed appartengono a tutti gli organi di qualunque natura deputati alla vigilanza sul territorio.
Però nel regime di overdose di polemiche scatenato dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo in esame qualcuno, spesso per mero esercizio teorico verbale, ha voluto sostenere che da tale norma si poteva trarre una competenza esclusiva delle province e dei comuni anche in ordine alla pregressa fase degli accertamenti degli illeciti amministrativi sul territorio: una specie di attrazione fatale e conseguente alla espressamente ed unicamente prevista irrogazione delle sanzioni.
Ma così non era, e non poteva essere. Perché oltretutto sarebbe stato già assurdo in via logica che su tutto il territorio nazionale soltanto il personale delle province di fatto poteva procedere all’accertamenti degli illeciti amministrativi e tutti gli altri organi di vigilanza, anche statali (vedi le forze di polizia ordinarie) dovevano restare sopite con le braccia conserte di fronte agli stessi illeciti.
Comunque, bene ha fatto il legislatore ad eliminare ogni dubbio con l’inciso in questione che dovrebbe stroncare finalmente ogni residua polemica sul punto avendo chiarito che tutti gli organi di vigilanza (naturalmente ivi compresi anche le forze di polizia dello Stato) devono controllare tutti gli illeciti amministrativi del decreto Ronchi mentre poi i verbali verranno inviati alle province (e parte minore ai comuni) per la successiva ed indipendente procedura della irrogazione materiale delle sanzioni conseguenti agli accertamenti così sviluppati sul territorio.
 
 
Art. 55 bis (Proventi delle sanzioni amministrative pecuniarie)
 
 1. I proventi delle sanzioni amministrative pecuniarie per le violazioni del presente decreto sono devoluti alle province e sono destinati all’esercizio delle funzioni di controllo in materia ambientale, fatti salvi i proventi delle sanzioni amministrative pecuniarie di cui all’articolo 50, comma 1, che sono devoluti ai comuni.
 
 
CAPO II
DISPOSIZIONI TRANSITORIE E FINALI
Art. 56 (Abrogazione di norme)
 
 1. A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto sono abrogati:
a) la legge 20 marzo 1941, n. 366;
b) il decreto del Presidente della Repubblica 10 settembre 1982, n. 915;
c) il decreto legge 9 settembre 1988, n. 397, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 novembre 1988, n. 475, ad eccezione degli articoli 7, 9 e 9 quinquies;
d) il decreto legge 31 agosto 1987, n. 361, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1987, n. 441, ad eccezione degli articoli 1, 1 bis, 1 ter, 1 quater, 1 quinquies e 14, comma 1;
e) il decreto legge 14 dicembre 1988, n. 527, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 febbraio 1988, n. 45;
f) l’articolo 29 bis del decreto legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, e successive modificazioni.
f  bis) i commi 3, 4 e 5, secondo periodo, dell’articolo 103 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285;
f  ter) l’articolo 5, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 8 agosto 1994, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 251 del 26 ottobre 1994.
2. Il Governo, ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, adotta, entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, su proposta del Ministro dell’ambiente, di concerto con il Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato, previo parere delle competenti Commissioni parlamentari, che si esprimono entro 30 giorni dalla trasmissione del relativo schema alle Camere, apposito regolamento con il quale sono individuati gli atti normativi incompatibili con il presente decreto, che sono abrogati con effetto dalla data di entrata in vigore del regolamento medesimo.
2 bis. Il Governo, ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, adotta entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, su proposta del Ministro dell’ambiente, di concerto con il Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, previo parere delle competenti commissioni parlamentari, che si esprimono entro trenta giorni dalla trasmissione del relativo schema alle Camere, apposito regolamento con il quale sono disciplinate in conformità ai principi del presente decreto le attività di gestione degli oli usati e sono individuati gli atti normativi incompatibili con il decreto medesimo, che sono abrogati con effetto dalla data di entrata in vigore del regolamento stesso.
 
Art. 57 (Disposizioni transitorie)
 
 1. Le norme regolamentari e tecniche che disciplinano la raccolta, il trasporto e lo smaltimento dei rifiuti restano in vigore sino all’adozione delle specifiche norme adottate in attuazione del presente decreto. A tal fine ogni riferimento ai rifiuti tossici e nocivi si deve intendere riferito ai rifiuti pericolosi.
2. Sono fatte salve le attribuzioni di funzioni delegate o trasferite già conferite dalle regioni alle province e agli altri enti locali in attuazione della legge 8 giugno 1990, n. 142 (2).
3. Le autorizzazioni rilasciate ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 10 settembre 1982, n. 915, restano valide fino alla loro scadenza e comunque non oltre il termine di quattro anni dalla data di entrata in vigore del presente decreto.
4. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto le Regioni provvederanno ad aggiornare le autorizzazioni in essere per la gestione dei rifiuti sulla base della nuova classificazione degli stessi.
5. Le attività che in base alle leggi statali e regionali vigenti risultano escluse dal regime dei rifiuti, ivi compreso l’utilizzo dei materiali e delle sostanze individuati nell’allegato 1 al decreto del Ministro dell’ambiente 5 settembre 1994, pubblicato nel Supplemento ordinario n. 126 alla Gazzetta Ufficiale 10 settembre 1994, n. 212, devono conformarsi alle disposizioni del presente decreto entro e non oltre il 30 giugno 1999 (1).
6. Fermo restando il termine di cui all’articolo 33, comma 6, per la prosecuzione delle operazioni di recupero dei rifiuti compresi nell’allegato 3 al decreto del Ministro dell’ambiente 5 settembre 1994, pubblicato nel Supplemento ordinario n. 126 alla Gazzetta Ufficiale 10 settembre 1994, n. 212, e nell’allegato 1 al decreto del Ministro dell’ambiente 16 gennaio 1995, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale 30 gennaio 1995, n. 24, in esercizio e che risultino conformi alle norme tecniche adottate ai sensi degli articoli 31 e 33, gli interessati sono tenuti ad effettuare la comunicazione di cui all’articolo 33, comma 1, entro trenta giorni dall’emanazione delle predette norme tecniche; in tal caso l’esercizio dell’attività può essere continuato senza attendere il decorso di novanta giorni dalla comunicazione.
6 bis. In attesa delle specifiche norme regolamentari e tecniche, da adottarsi ai sensi dell’articolo 18, comma 2, lettera i), i rifiuti sono assimilati alle merci per quanto concerne il regime normativo in materia di trasporti via mare e la disciplina delle operazioni di carico, scarico, trasbordo, deposito e maneggio in aree portuali. In particolare i rifiuti pericolosi sono assimilati alle merci pericolose.
6 ter. In attesa dell’adozione della nuova disciplina organica in materia di valutazione di impatto ambientale la procedura di cui all’articolo 6 della legge 8 luglio 1986, n. 349, continua ad applicarsi ai progetti delle opere rientranti nella categoria di cui all’articolo 1, lettera i), del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 10 agosto 1988, n. 377, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 31 agosto 1988, n. 204, relativa ai rifiuti già classificati tossici e nocivi.
 
 
(1) Le originarie parole: «devono conformarsi alle disposizioni del presente decreto entro tre mesi dal termine di cui all’articolo 33, comma 6» sono state così sostituite dall’art. 1, comma 14, della L. 9 dicembre 1998, n. 426. Il termine, dapprima fissato da questa legge al 31 dicembre 1998, è stato successivamente così modificato dall’art. 1, comma 36, della L. 23 dicembre 1998, n. 448.
(2) Si veda, ora, il D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267.
 
 
Art. 58 (Disposizioni finali)
 
1. Nelle attrezzature sanitarie di cui all’articolo 4, secondo comma, lettera g), della legge 29 settembre 1964, n. 847 (1), sono ricomprese le opere, le costruzioni e gli impianti destinati allo smaltimento, al riciclaggio o alla distruzione dei rifiuti urbani, speciali, pericolosi, solidi e liquidi, alla bonifica di aree inquinate.
2. (Omissis) (2).
3. Dall’attuazione del presente decreto non devono derivare maggiori oneri o minori entrate a carico dello Stato.
4. Il Consorzio obbligatorio delle batterie al piombo esauste e dei rifiuti piombosi di cui all’articolo 9 quinquies del decreto legge 9 settembre 1988, n. 397, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 novembre 1988, n. 475, ha personalità giuridica di diritto privato.
5. Il Consorzio obbligatorio degli oli usati di cui all’articolo 11 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 95, ha personalità giuridica di diritto privato.
6. Nell’assegnazione delle risorse stanziate, ancora disponibili, del decreto legge 31 agosto 1987, n. 361, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1987, n. 441, si prescinde dalle specificazioni di cui agli articoli 1, 1 bis e 1 ter e delle tipologie impiantistiche ivi indicate.
7. Le disposizioni del Titolo II del presente decreto entrano in vigore dal 1° maggio 1997.
7 bis. Le spese per l’indennità e per il trattamento economico del personale di cui all’articolo 9 del decreto legge 9 settembre 1988, n. 397, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 novembre 1988, n. 475, sono imputate sul capitolo 5940 dello stato di previsione del Ministero dell’ambiente. Il trattamento economico resta a carico delle istituzioni di appartenenza, previa intesa con le medesime, nel caso in cui il personale svolga attività di comune interesse.
7 ter. I rifiuti provenienti da attività di manutenzione o assistenza sanitaria si considerano prodotti presso la sede o il domicilio del soggetto che svolge tali attività (3).
7 quater. Le disposizioni di cui agli articoli 11, 12, 15 e 30 non si applicano alle attività di raccolta e trasporto di rifiuti effettuate dai soggetti abilitati allo svolgimento delle attività medesime in forma ambulante, limitatamente ai rifiuti che formano oggetto del loro commercio (3).
 
 
(1) Autorizzazione ai comuni e loro consorzi a contrarre mutui per l’acquisizione delle aree ai sensi della legge 18 aprile 1962, n. 167.
(2) Contiene modifiche alla L. 19 ottobre 1984, n. 748 (vedasi alla voce Agricoltura) riportate nel testo della medesima legge.
(3) Comma aggiunto dall’art. 4, comma 27, della L. 9 dicembre 1998, n. 426.
 
 
Allegato  A
1. CATEGORIE DI RIFIUTI
Q1Residui di produzione o di consumo in appresso non specificati
Q2Prodotti fuori norma
Q3Prodotti scaduti
Q4Sostanze accidentalmente riversate, perdute o aventi subito qualunque altro incidente, compresi tutti i materiali, le attrezzature, ecc. contaminati in seguito all’incidente in questione
Q5Sostanze contaminate o insudiciate in seguito ad attività volontarie (ad esempio residui di operazioni di pulizia, materiali da imballaggio, contenitori, ecc.)
Q6Elementi inutilizzabili (ad esempio batterie fuori uso, catalizzatori esausti, ecc.)
Q7Sostanze divenute inadatte all’impiego (ad esempio acidi contaminati, solventi contaminati, sali da rinverdimento esauriti, ecc.)
Q8Residui di processi industriali (ad esempio scorie, residui di distillazione, ecc.)
Q9Residui di procedimenti antinquinamento (ad esempio fanghi di lavaggio di gas, polveri di filtri d’aria, filtri usati, ecc.)
Q10Residui di lavorazione/sagomatura (ad esempio trucioli di tornitura o di fresatura, ecc.)
Q11Residui provenienti dall’estrazione e dalla preparazione delle materie prime (ad esempio residui provenienti da attività minerarie o petrolifere, ecc.)
Q12Sostanze contaminate (ad esempio olio contaminato da PCB, ecc.)
Q13Qualunque materia, sostanza o prodotto la cui utilizzazione è giuridicamente vietata
Q14Prodotti di cui il detentore non si serve più (ad esempio articoli messi fra gli scarti dell’agricoltura, dalle famiglie, dagli uffici, dai negozi, dalle officine, ecc.)
Q15Materie, sostanze o prodotti contaminati provenienti da attività di riattamento di terreni
Q16Qualunque sostanza, materia o prodotto che non rientri nelle categorie sopra elencate
2. ELENCO DEI RIFIUTI ISTITUITO CONFORMEMENTE ALL’ARTICOLO 1, LETTERA A),
DELLA DIRETTIVA 75/442/CEE RELATIVA AI RIFIUTI E ALL’ARTICOLO 1, PARAGRAFO 4, DELLA DIRETTIVA 91/689/CEE RELATIVA AI RIFIUTI PERICOLOSI
 
 
(1) In virtù di quanto dispone il punto 1 (lett. A, B, C), della Dir. (Min. Amb.) 9 aprile 2002 (S.O. alla G.U. n. 108 del 10 maggio 2002): «A. L’allegato A alla presente direttiva contiene la decisione della Commissione 2000/532, modificata da ultimo con decisione 2001/573 e, in particolare, l’elenco europeo dei rifiuti sostitutivo dell’allegato D del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22. Ogni riferimento alla Sezione A. 2 (catalogo europeo dei rifiuti) del Decreto Legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 contenuto nella normativa vigente, si intende relativo all’elenco dei rifiuti di cui all’allegato A della presente direttiva». «B. Nell’elenco dei rifiuti indicati nell’allegato A alla presente direttiva sono classificati pericolosi - anche ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 7, comma 4, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 - i rifiuti contrassegnati con un asterisco (*), nel rispetto delle procedure previste dalla normativa nazionale e comunitaria vigenti». «C. La sezione A. 2 (catalogo europeo dei rifiuti) del Decreto Legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 risulta soppressa. Ogni riferimento ai rifiuti pericolosi di cui alla normativa vigente si intende relativo ai rifiuti precisati con asterisco nell’elenco dei rifiuti di cui all’allegato A alla presente direttiva». Si veda, pertanto, ora l’elenco che ha sostituito l’allegato D.
 
 
(Omissis) (4).
Allegato  B
OPERAZIONI DI SMALTIMENTO
N.B. Il presente allegato intende elencare le operazioni di smaltimento come avvengono nella pratica. Ai sensi dell’articolo 2, i rifiuti devono essere smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che possano recare pregiudizio all’ambiente.
D 1Deposito sul o nel suolo (ad es. discarica)
D 2Trattamento in ambiente terrestre (ad es. biodegradazione di rifiuti liquidi o fanghi nei suoli)
D 3Iniezioni in profondità (ad es. iniezioni dei rifiuti pompabili in pozzi, in cupole saline o faglie geologiche naturali)
D 4Lagunaggio (ad es. scarico di rifiuti liquidi o di fanghi in pozzi, stagni o lagune, ecc.)
D 5Messa in discarica specialmente allestita (ad es. sistematizzazione in alveoli stagni separati, ricoperti o isolati gli uni dagli altri e dall’ambiente)
D 6Scarico dei rifiuti solidi nell’ambiente idrico eccetto l’immersione
D 7Immersione, compreso il seppellimento nel sottosuolo marino
D 8Trattamento biologico non specificato altrove nel presente allegato, che dia origine a composti o a miscugli che vengono eliminati secondo uno dei procedimenti elencati nei punti da D 1 a D 12
D 9Trattamento fisico-chimico non specificato altrove nel presente allegato che dia origine a composti o a miscugli eliminati secondo uno dei procedimenti elencati nei punti da D 1 a D 12 (ad es. evaporazione, essiccazione, calcinazione, ecc.)
D 10Incenerimento a terra
D 11Incenerimento in mare
D 12Deposito permanente (ad es. sistemazione di contenitori in una miniera, ecc.)
D 13Raggruppamento preliminare prima di una delle operazioni di cui ai punti da D 1 a D 12
D 14Ricondizionamento preliminare prima di una delle operazioni di cui ai punti da D 1 a D 13
D 15Deposito preliminare prima di una delle operazioni di cui ai punti da D 1 a D 14 (escluso il deposito temporaneo, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti)
 
 
 
 
 
 
 
Allegato  C
OPERAZIONI DI RECUPERO
N.B. Il presente allegato intende elencare le operazioni di recupero come avvengono nella pratica. Ai sensi dell’articolo 2, i rifiuti devono essere recuperati senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che possano recare  pregiudizio all’ambiente.
R 1Utilizzazione principale come combustibile o come altro mezzo per produrre energia
R 2Rigenerazione/recupero di solventi
R 3Riciclo/recupero delle sostanze organiche non utilizzate come solventi (comprese le operazioni di compostaggio e altre trasformazioni biologiche)
R 4Riciclo/recupero dei metalli o dei composti metallici
R 5Riciclo/recupero di altre sostanze inorganiche
R 6Rigenerazione degli acidi o delle basi
R 7Recupero dei prodotti che servono a captare gli inquinanti
R 8Recupero dei prodotti provenienti dai catalizzatori
R 9Rigenerazione o altri reimpieghi degli oli
R 10Spandimento sul suolo a beneficio dell’agricoltura o dell’ecologia
R 11Utilizzazione di rifiuti ottenuti da una delle operazioni indicate da R 1 a R 10
R 12Scambio di rifiuti per sottoporli ad una delle operazioni indicate da R 1 a R 11
R 13Messa in riserva di rifiuti per sottoporli a una delle operazioni indicate nei punti da R 1 a R 12 (escluso il deposito temporaneo, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti).
 
 
Allegato  D
*ESISTENTE MA PER RAGIONI DI SPAZIO NON VIENE VISUALIZZATO
 
INDICE
Capitoli dell'elenco
Allegato  E
 
OBIETTIVI DI RECUPERO E DI RICICLAGGIO
Entro 5 anni
 
 

Minimi

massimi
a)      Rifiuti di imballaggi da recuperare con materia o come componente di energia: in peso almeno il       

50%

65%
 

 

 
 

 

 
b)       Rifiuti di imballaggi da riciclare: in peso  almeno il

25%

45%
 

 

 
 

 

 
c)      Ciascun materiale di imballaggio da riciclare : in peso almeno il

15%

25%
 
 
 
 
 
Allegato  F
 
REQUISITI ESSENZIALI CONCERNENTI
LA COMPOSIZIONE E LA RIUTILIZZABILITÀ E LA RECUPERABILITÀ (IN PARTICOLARE LA RICICLABILITÀ) DEGLI IMBALLAGGI
1. Requisiti per la fabbricazione e composizione degli imballaggi.
-Gli imballaggi sono fabbricati in modo da limitare il volume e il peso al minimo necessario per garantire il necessario livello di sicurezza, igiene e accettabilità tanto per il prodotto imballato quanto per il consumatore.
-Gli imballaggi sono concepiti, prodotti e commercializzati in modo da permetterne il reimpiego o il recupero, compreso il riciclaggio, e da ridurne al minimo l’impatto sull’ambiente se i rifiuti di imballaggio o i residui delle operazioni di gestione dei rifiuti di imballaggio sono smaltiti.
-Gli imballaggi sono fabbricati in modo che la presenza di metalli nocivi e di altre sostanze e materiali pericolosi come costituenti del materiale di imballaggio o di qualsiasi componente dell’imballaggio sia limitata al minimo con riferimento alla loro presenza nelle emissioni, nelle ceneri o nei residui di lisciviazione se gli imballaggi o i residui delle operazioni di gestione dei rifiuti di imballaggio sono inceneriti o interrati.
2. Requisiti per la riutilizzabilità di un imballaggio.
I seguenti requisiti devono essere soddisfatti simultaneamente:
-le proprietà fisiche e le caratteristiche dell’imballaggio devono consentire una serie di spostamenti o rotazioni in condizioni di impiego normalmente prevedibili;
-possibilità di trattare gli imballaggi usati per ottemperare ai requisiti in materia di salute e di sicurezza dei lavoratori;
-osservanza dei requisiti specifici per gli imballaggi recuperabili se l’imballaggio non è più utilizzato e diventa quindi un rifiuto.
3. Requisiti per la recuperabilità di un imballaggio.
a) Imballaggi recuperabili sotto forma di riciclaggio del materiale.
L’imballaggio deve essere prodotto in modo tale da consentire il riciclaggio di una determinata percentuale in peso dei materiali usati, nella fabbricazione di prodotti commerciabili, rispettando le norme in vigore della Comunità europea. La determinazione di tale percentuale può variare a seconda del tipo di materiale che costituisce l’imballaggio.
b) Imballaggi recuperabili sotto forma di recupero di energia.
I rifiuti di imballaggio trattati a scopi di recupero energetico devono avere un valore calorifico minimo inferiore per permettere di ottimizzare il recupero energetico.
c) Imballaggi recuperabili sotto forma di compost.
I rifiuti di imballaggio trattati per produrre compost devono essere sufficientemente biodegradabili in modo da non ostacolare la raccolta separata e il processo o l’attività di compostaggio in cui sono introdotti.
d) Imballaggi biodegradabili.
I rifiuti di imballaggio biodegradabili devono essere di natura tale da poter subire una decomposizione fisica, chimica, termica o biologica grazie alla quale la maggior parte del compost risultante finisca per decomporsi in biossido di carbonio, biomassa e acqua.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Allegato  G
CATEGORIE O TIPI GENERICI DI RIFIUTI PERICOLOSI ELENCATI IN BASE ALLA LORO NATURA O ALL’ATTIVITÀ CHE LI HA PRODOTTI (*) (I RIFIUTI POSSONO PRESENTARSI SOTTO FORMA DI LIQUIDO, DI SOLIDO O DI FANGO)
Allegato G-1
Rifiuti che presentano una qualsiasi delle caratteristiche elencate nell’allegato I e che consistono in:
1. Sostanze anatomiche: rifiuti di ospedali o provenienti da altre attività mediche
2. Prodotti farmaceutici, medicinali, prodotti veterinari
3. Prodotti per la protezione del legno
4. Biocidi e prodotti fitosanitari
5. Residui di prodotti utilizzati come solventi
6. Sostanze organiche alogenate non utilizzate come solventi, escluse le sostanze polimerizzate inerti
7. Sali per rinvenimento contenenti cianuri
8. Oli e sostanze oleose minerali (ad esempio fanghi di lavorazione, ecc.)
9. Miscugli olio/acqua o idrocarburo/acqua, emulsioni
10. Sostanze contenenti PCB e/o PCT (ad esempio isolanti elettrici, ecc.)
11. Sostanze bituminose provenienti da operazioni di raffinazione, distillazione o pirolisi (ad esempio residui di distillazione, ecc.)
12. Inchiostri, coloranti, pigmenti, pitture, lacche, vernici
13. Resine, lattici, plastificanti, colle/adesivi
14. Sostanze chimiche non identificate e/o nuove provenienti da attività di ricerca, di sviluppo o di insegnamento, i cui effetti sull’uomo e/o sull’ambiente non sono noti (ad esempio rifiuti di laboratorio, ecc.)
15. Prodotti pirotecnici e altre sostanze esplosive
16. Prodotti di laboratori fotografici
17. Qualunque materiale contaminato da un prodotto della famiglia dei dibenzofurani policlorurati
18. Qualunque materiale contaminato da un prodotto della famiglia delle dibenzoparadiossine policlorurate
Allegato G-2
Rifiuti contenenti uno qualunque dei costituenti elencati nell’allegato H, aventi una delle caratteristiche elencate nell’allegato I e consistenti in:
19. Saponi, corpi grassi, cere di origine animale o vegetale
20. Sostanze organiche non alogenate non utilizzate come solventi
21. Sostanze inorganiche senza metalli né composti metallici
22. Scorie e/o ceneri
23. Terre, argille o sabbie, compresi i fanghi di dragaggio
24. Sali per rinvenimento non contenenti cianuri
25. Polveri metalliche
26. Materiali catalitici usati
27. Liquidi o fanghi contenenti metalli o composti metallici
28. Rifiuti provenienti da trattamenti disinquinanti (ad esempio: polveri di filtri dell’aria, ecc.) salvo quelli previsti ai punti 29, 30 e 33
29. Fanghi provenienti dal lavaggio di gas
30. Fanghi provenienti dagli impianti di depurazione dell’acqua
31. Residui da decarbonazione
32. Residui di colonne scambiatrici di ioni
33. Fanghi residuati non trattati o non utilizzabili in agricoltura
34. Residui della pulitura di cisterne e/o di materiale
35. Materiale contaminato
36. Recipienti contaminati (ad esempio: imballaggi, bombole di gas, ecc.) che abbiano contenuto uno o più dei costituenti elencati nell’allegato H
37. Accumulatori e pile elettriche
38. Oli vegetali
39. Oggetti provenienti da una raccolta selettiva di rifiuti domestici e aventi una delle caratteristiche elencate nell’allegato I
40. Qualunque altro rifiuto contenente uno qualunque dei costituenti elencati nell’allegato H e aventi una delle caratteristiche elencate nell’allegato I
 
 
(*) Alcune ripetizioni rispetto alle voci dell’allegato H sono fatte intenzionalmente.
 
Allegato  H
COSTITUENTI CHE RENDONO PERICOLOSI I RIFIUTI DELL’ALLEGATO G-2 QUANDO TALI RIFIUTI POSSIEDONO LE CARATTERISTICHE DELL’ALLEGATO I (*)
Rifiuti aventi come costituenti:
C1Berillio, composti del berillio
C2Composti del vanadio
C3Composti del cromo esavalente
C4Composti del cobalto
C5Composti del nickel
C6Composti del rame
C7Composti dello zinco
C8Arsenico, composti dell’arsenico
C9Selenio, composti del selenio
C10Composti dell’argento
C11Cadmio, composti del cadmio
C12Composti dello stagno
C13Antimonio, composti dell’antimonio
C14Tellurio, composti del tellurio
C15Composti del bario, ad eccezione del solfato di bario
C16Mercurio, composti del mercurio
C17Tallio, composti del tallio
C18Piombo, composti del piombo
C19Solfuri inorganici
C20Composti inorganici del fluoro, escluso il fluoruro di calcio
C21Cianuri inorganici
C22I seguenti metalli alcalini o alcalino-terrosi: litio, sodio, potassio, calcio, magnesio sotto forma non combinata
C23Soluzioni acide o acidi sotto forma solida
C24Soluzioni basiche o basi sotto forma solida
C25Amianto (polvere e fibre)
C26Fosforo, composti del fosforo esclusi i fosfati minerali
C27Metallocarbonili
C28Perossidi
C29Clorati
C30Perclorati
C31Azoturi
C32PCB e/o PCT
C33Composti farmaceutici o veterinari
C34Biocidi e sostanze fitosanitarie (ad esempio antiparassitari, ecc.)
C35Sostanze infettive
C36Oli di creosoto
C37Isocianati, tiocianati
C38Cianuri organici (ad esempio: nitrilli, ecc.)
C39Fenoli, composti fenolati
C40Solventi alogenati
C41Solventi organici, esclusi i solventi alogenati
C42Composti organo-alogenati, escluse le sostanze polimerizzate inerti e le altre sostanze indicate nel presente allegato
C43Composti aromatici, composti organici policiclici ed eterociclici
C44Ammine alifatiche
C45Ammine aromatiche
C46Eteri
C47Sostanze di carattere esplosivo, escluse le sotanze indicate in altri punti del presente allegato
C48Composti organici dello zolfo
C49Qualsiasi prodotto della famiglia dei dibenzofurani policlorati
C50Qualsiasi prodotto della famiglia delle dibenzo-paradiossine policlorate
C51Idrocarburi e loro composti ossigenati azotati e/o solforati non altrimenti indicati nel presente allegato
 
 
(*) Alcune ripetizioni rispetto ai tipi generici di rifiuti pericolosi dell’allegato G sono fatte intenzionalmente.
 
 
 
 
 
 
Allegato  I
 
CARATTERISTICHE DI PERICOLO
PER I RIFIUTI
H1«Esplosivo»: sostanze e preparati che possono esplodere per effetto della fiamma o che sono sensibili agli urti e agli attriti più del dinitrobenzene;
H2«Comburente»: sostanze e preparati che, a contatto con altre sostanze, soprattutto se infiammabili, presentano una forte reazione esotermica;
H3-A«Facilmente infiammabile»: sostanze e preparati:
- liquidi il cui punto di infiammabilità è inferiore a 21 °C (compresi i liquidi estremamente infiammabili), o
- che a contatto con l’aria, a temperatura ambiente e senza apporto di energia, possono riscaldarsi e infiammarsi, o
- solidi che possono facilmente infiammarsi per la rapida azione di una sorgente di accensione e che continuano a bruciare o a consumarsi anche dopo l’allontanamento della sorgente di accensione, o
- gassosi che si infiammano a contatto con l’aria a pressione normale, o
- che, a contatto con l’acqua o l’aria umida, sprigionano gas facilmente infiammabili in quantità pericolose;
H3-B«Infiammabile»: sostanze e preparati liquidi il cui punto di infiammabilità è pari o superiore a 21 °C e inferiore o pari a 55 °C;
H4«Irritante»: sostanze e preparati non corrosivi il cui contatto immediato, prolungato o ripetuto con la pelle o le mucose può provocare una reazione infiammatoria;
H5«Nocivo»: sostanze e preparati che, per inalazione, ingestione o penetrazione cutanea, possono comportare rischi per la salute di gravità limitata;
H6«Tossico»: sostanze e preparati (comprese le sostanze e i preparati molto tossici) che, per inalazione, ingestione o penetrazione cutanea, possono comportare rischi per la salute gravi, acuti o cronici e anche la morte;
H7«Cancerogeno»: sostanze e preparati che, per inalazione, ingestione o penetrazione cutanea, possono produrre il cancro o aumentarne la frequenza;
H8«Corrosivo»: sostanze e preparati che, a contatto con tessuti vivi, possono esercitare su di essi un’azione distruttiva;
H9«Infettivo»: sostanze contenenti microrganismi vitali o loro tossine, conosciute o ritenute per buoni motivi come cause di malattie nell’uomo o in altri organismi viventi;
H10«Teratogeno»: sostanze e preparati che, per inalazione, ingestione o penetrazione cutanea, possono produrre malformazioni congenite non ereditarie o aumentarne la frequenza;
H11«Mutageno»: sostanze e preparati che, per inalazione, ingestione o penetrazione cutanea, possono produrre difetti genetici ereditari o aumentarne la frequenza;
H12Sostanze e preparati che, a contatto con l’acqua, l’aria o un acido, sprigionano un gas tossico o molto tossico;
H13Sostanze e preparati suscettibili, dopo eliminazione, di dare origine in qualche modo ad un’altra sostanza, ad esempio ad un prodotto di lisciviazione avente una delle caratteristiche sopra elencate;
H14«Ecotossico»: sostanze e preparati che presentano o possono presentare rischi immediati o differiti per uno o più settori dell’ambiente.
Note.
1. L’attribuzione delle caratteristiche di pericolo «tossico» (e «molto tossico»), «nocivo», «corrosivo» e «irritante» è effettuata secondo i criteri stabiliti nell’allegato VI, parte I.A e parte II.B della direttiva 67/548/CEE del Consiglio, del 27 giugno 1967, concernente il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative relative alla classificazione, all’imballaggio e all’etichettatura delle sostanze pericolose, nella versione modificata dalla direttiva 79/831/CEE del Consiglio.
2. Per quanto concerne l’attribuzione delle caratteristiche «cancerogeno», «teratogeno» e «mutageno» e riguardo all’attuale stato delle conoscenze, precisazioni supplementari figurano nella guida per la classificazione e l’etichettatura di cui all’allegato VI (parte II D) della direttiva 67/548/CEE, nella versione modificata dalla direttiva 83/467/CEE della Commissione.
Metodi di prova.
I metodi di prova sono intesi a conferire un significato specifico alle definizioni di cui all’allegato I.
I metodi da utilizzare sono quelli descritti nell’allegato V della direttiva 67/548/CEE, nella versione modificata dalla direttiva 84/449/CEE della Commissione o dalle successive direttive della Commissione che adeguano al progresso tecnico la direttiva 67/548/CEE. Questi metodi sono basati sui lavori e sulle raccomandazioni degli organismi internazionali competenti, in particolare su quelli dell’OCSE.

 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

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